"TEMI E PROBLEMI DELLE GARANZIE COSTITUZIONALI IN ITALIA"di Sergio Lariccia
di Sergio Lariccia
27-04-2023 - STORIE&STORIE
Sei anni fa, nel 2017, a cura dell'ANPPIA (associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti) e su iniziativa del caro amico Augusto Cerri, autore dell'Introduzione del libro, è stato pubblicato il volume RIFLESSIONI SULLA COSTITUZIONE. Docenti e costituzionalisti a confronto sui principi fondamentali della Repubblica nel quale, oltre agli Atti del convegno internazionale su La nascita e lo spirito delle Costituzioni europee, sono contenute le risposte che io ed altri nove colleghi (Carlo Amirante, Antonio Baldassarre, Sergio Bartole, Marco Benvenuti, Massimo Luciani, Pio Marconi, Valerio Onida, Cesare Pinelli e Gaetano Silvestri), esprimevamo la nostra opinione, in occasione del settantesimo anniversario della conclusione dei lavori dell'Assemblea Costituente, con riferimento ai singoli punti di un questionario.
Sono lieto di potere pubblicare le mie risposte in questa rivista, sempre impegnata nel valutare con tempestività le novità del nostro ordinamento, con specifico riferimento ai suoi profili di diritto costituzionale; a distanza di sei anni dalla precedente pubblicazione, ho inserito poche e necessarie modifiche.
Nel primo punto si parla dell'importanza derivante dal fatto che ricorreva quell'anno il 70° anniversario della conclusione dei lavori della Costituente: il mio giudizio su quale sia la rilevanza della Costituzione nella vita etica, economica e sociale del Paese è un giudizio che fa riferimento a una mia lunga esperienza. Io ho conosciuto la Costituzione, il costituzionalismo e la storia costituzionale sui banchi della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università La Sapienza di Roma quando nel 1953, iscritto, a diciott'anni, al corso di laurea in Giurisprudenza, ho avuto l'opportunità e direi anche la fortuna di avere un professore che era stato membro della Costituente e che divenne poi giudice costituzionale: Gaspare Ambrosini. Il prof. Ambrosini era un appassionato sostenitore delle autonomie locali e ricordo in particolare il gusto che provava a lezione nel parlare di quello che significava il principio del riconoscimento e della promozione delle autonomie locali nella Costituzione, in modo particolare nel suo articolo 5. Tuttavia il mio ricordo della esperienza come allievo e come studente della Facoltà di Giurisprudenza credo che possa essere significativo perché in quei banchi dell'università – ricordo tra l'altro che eravamo insieme come studenti io e Alessandro Pace, che aveva svolto le funzioni di presidente per il Comitato per il No alle riforme costituzionali proposte dal Parlamento – abbiamo avuto l'opportunità di capire cosa aveva significato l'Assemblea Costituente mentre la maggior parte dei professori, anzi tutti i nostri professori avevano studiato la Costituzione del 1848, lo Statuto di Carlo Alberto (questo dopo qualche anno non era più avvenuto). Anche Gaspare Ambrosini, data la sua età, era stato allievo in una facoltà di Giurisprudenza nella quale per il Diritto costituzionale si studiava lo Statuto albertino. Invece sentire quale era stato lo spirito dell'assemblea costituente negli anni Quaranta fu molto importante: mi ricordo che c'era un testo di Diritto costituzionale di circa 80 pagine, un testo molto breve e litografato.
Dopo la mia laurea, conseguita il 27 ottobre 1957, ho avuto più esperienze: ho fatto il professore di Diritto ed economia politica negli Istituti tecnici, nel 1959 ho conseguito il titolo di avvocato, dal 1965 al 1976 ho fatto il magistrato della Corte dei conti: in tutte le esperienze ho avuto l'opportunità di valutare l'importanza della Costituzione e del suo studio e della rilevanza della Costituzione nell'adempimento dei miei compiti e lo svolgimento delle mie attività professionale. Ricordo che nel 1969 avevo preso una libera docenza in Diritto ecclesiastico e poi due anni dopo mi presentai per avere una libera docenza in Diritto costituzionale, proprio perché mi parve necessario affrontare i problemi prevalentemente dal punto di vista costituzionale. Sento l'orgoglio per avere scritto nel 1974 un libretto sui Principi costituzionali del diritto ecclesiastico, edito in litografia dalla casa editrice Cedam nel periodo in cui io insegnavo a Cagliari, proprio perché mi sembrò opportuno che la disciplina della materia che allora insegnavo fosse impostata dal punto di vista della Costituzione, e quindi dei principi costituzionali di ogni disciplina universitaria. Poi ho fatto lo stesso quando più tardi, nel 1992, sono passato all'insegnamento del Diritto amministrativo. Per esempio, ricordo che negli anni Cinquanta i testi universitari di Diritto ecclesiastico ritenevano che la Costituzione non avesse nessuna particolare importanza nella studio e nell'insegnamento di tale materia e che un autore importante come Vincenzo Del Giudice, che aveva scritto un importante manuale di Diritto ecclesiastico, anche dopo l'entrata in vigore della Costituzione, scriveva che la Costituzione non aveva portato novità nella disciplina del Diritto ecclesiastico, il che parve subito inesatto perché in particolare gli articoli 2, 3, 7, 8, 19, 20, 21 33 e 38 della Costituzione affermavano dei principi che modificano completamente l'impostazione di questa materia.
In proposito - per ricollegarmi a quanto detto prima sull'esperienza di magistrato della Corte dei conti - posso ricordare un altro aspetto: nelle camere di consiglio alle quali partecipavo alla Corte dei conti ricordo che ero quasi sempre il più giovane del collegio, perché ero entrato nella Corte dei conti all'età di 30 anni, e la maggior parte dei miei colleghi avevano anch'essi studiato all'università lo Statuto albertino e non la carta costituzionale del 1948, perché erano più anziani di me. Io invece avevo l'opportunità di affrontare in molti casi il problema della rilevanza della Costituzione, per esempio a proposito delle questioni di costituzionalità sollevate con riferimento alle norme che noi avevamo l'occasione di applicare. Era importante, soprattutto in quegli anni sostenere la sussistenza di diritti che assumevano il valore di diritti costituzionalmente riconosciuti e che quindi meritavano un'attenzione proprio dal punto di vista della Carta costituzionale. Ad esempio nei giudizi di responsabilità presso la Corte dei conti questo profilo ha avuto ed ha notevole importanza. La causa più significativa che io ho impostato quando ero pubblico ministero della Corte dei conti fu a proposito della concezione del danno erariale nella soluzione di una vicenda che avevo avuto occasione di esaminare per la costruzione di 42 villette all'interno del Parco Nazionale d'Abruzzo e la valutazione del problema se questo potesse costituire un danno per l'Erario. Per arrivare a questa decisione occorreva sostenere che il danno all'Erario non era soltanto un danno di natura patrimoniale ma era anche un danno derivante dalla distruzione di flora e fauna. Quindi, per ritornare alla domanda formulata nel questionario, io penso che, non soltanto guardando a quel periodo ma poi all'intero tempo che è trascorso da quando è stata eletta la Costituente e sono iniziati i lavori di elaborazione della Carta costituzionale conclusi nel 1948, la rilevanza per il nostro Paese, sia dal punto di vista dell'etica sia dal punto di vista dell'economia sia dal punto di vista dell'evoluzione sociale, è stata molto forte.
Nel secondo quesito si fa riferimento alla natura programmatica della nostra Costituzione. Effettivamente questo è un punto fondamentale: è noto a tutti quanto sia importante ricordare che la Costituzione italiana sia stata una Costituzione “promessa per il futuro”: questo è stato un punto fondamentale dei miei studi perché ho avuto spesso occasione di precisare come nell'intera Carta costituzionale vi sia probabilmente un'unica disposizione normativa nella quale sia stato approvato un testo con riferimento non al futuro, non all'evoluzione dei principi costituzionali nel periodo futuro - ma l'art. 7, 2° comma della Costituzione dove si legge che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti Lateranensi -, questo riferimento a un avvenimento del 1929 – evento significativo del periodo fascista – ha rappresentato un'anomalia che impediva un'evoluzione delle libertà di religione nel nostro Paese, tenendo conto che questa disciplina degli accordi concordatari del 1929 era una disciplina orientata per l'attuazione di principi fondanti dell'ordinamento fascista. Si voleva ribadire che la confessione cattolica fosse l'unica religione dello Stato, la materia del matrimonio era impostata secondo l'idea che lo stesso matrimonio non potesse che essere indissolubile, i principi della scuola erano legati a un'importante disposizione del concordato del 1929, quella dell'art. 36 nella quale si affermava che l'insegnamento della religione cattolica avrebbe dovuto costituire il fondamento e il coronamento di tutta l'istruzione pubblica. Queste sono tutte disposizione che poi hanno determinato nel tempo molte polemiche e molti interventi della Corte costituzionale e quindi questa affermazione di una Costituzione promessa per il futuro ha a lungo condizionato l'evoluzione del nostro ordinamento giuridico, in modo particolare della nostra legislazione, in un senso coerente con la Carta costituzionale. Naturalmente quando si parla di Costituzione promessa per il futuro non si può non fare riferimento al 2° comma dell'articolo 3 dove si legge che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d'ordine economico e sociale che di fatto impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'esercizio dei diritti di libertà e uguaglianza. Questo è un aspetto molto importante: di questa disposizione io ho avuto molto spesso occasione di verificarne l'importanza nell'esercizio della mia attività d'insegnante, dato che, come ho già ricordato, sono stato per molti anni insegnante di diritto e di economia nelle scuole pubbliche. L'idea che fosse compito della Repubblica, e quindi anche dei professori della Repubblica, di tenere conto che vi erano degli ostacoli di fatto che ostacolavano l'esercizio dei diritti di libertà e uguaglianza ha rappresentato un aspetto importante della mia attività di insegnante.
Nel terzo quesito ci si domanda se dopo 70 anni possa ritenersi attuato il programma costituzionale e quale sia il suo valore attuale: in proposito non si può fare riferimento alla realtà, se non ponendosi anche degli interrogativi pesanti, considerando che vi sono disposizioni davanti alle quali si ha proprio il disagio di ricordarne la sussistenza: quando si dice che la Repubblica italiana è una Repubblica democratica fondata sul lavoro spesso si prova il disagio di guardare i giovani che seguono le lezioni, i quali sanno quanto non sia vero che la nostra Repubblica sia fondata sul lavoro per la realtà drammatica che si presenta quando si valuta quante difficoltà trovi qualunque giovane, soprattutto quanti non hanno un aiuto da parte della famiglia, nel trovare un lavoro, soprattutto poi se si dice che il lavoro dovrebbe essere coerente con la formazione ricevuta durante gli anni degli studi. Dunque, quale è il valore attuale del programma costituzionale? Secondo me è ancora enorme, grandissimo l'impegno che nasce, per qualunque funzionario o persona che esercita qualunque attività nella società, quella di porsi l'obiettivo che la Costituente ha voluto porre come obiettivo di tutta la struttura pubblica e di tutte le istituzioni.
Quando si parla dello stato di garanzia dei diritti civili nel nostro Paese, ricordo che per molti anni ho avuto una grande passione per il tema delle unioni civili in Italia. Ho scritto e studiato molto, ho considerato molti nuovi argomenti e ho pubblicato un mio libro nel 2011 il cui titolo è Battaglie di libertà, diritti civili in Italia, 1943-2011, un libro scritto con la speranza di potere constatare una sempre maggiore attenzione e sensibilità della società e delle istituzioni e nell'auspicare sempre maggiore rispetto e garanzia nei confronti di quelli che vengono definiti come diritti civili. Questo libro è impostato proprio sulla storia costituzionale che inizia nel 1943, perché già in quegli anni si inizia a definire quella che sarebbe poi stata la problematica degli anni successivi: il problema esiste tutt'ora. Ho partecipato con grande passione alle discussioni e al dibattito sul referendum per il divorzio, che fu uno dei casi nel quale questo problema si pose con urgenza. Nei quattro anni compresi tra il 1° dicembre 1970 – che è la data di approvazione della legge n. 898 del 1970 in materia di divorzio – e il 12 aprile 1974, quando si è svolto il referendum in materia di divorzio e si è determinata una situazione per la quale il 59% degli italiani hanno votato a favore della conservazione della legge sul divorzio e circa il 41% ha votato per l'abrogazione della stessa legge. I più giovani non sanno quanto sia stata approfondita, appassionata e anche drammatica la situazione che si presentò in quei 4 anni perché fu proprio uno scontro di concezioni della vita civile e della vita sociale che si svolse in quegli anni. Vi furono professori di scuole private allontanati dall'insegnamento perché avevano assunto una determinata posizione, vi furono casi di professori dell'università cattolica che si trovarono di fronte allo scioglimento del rapporto di lavoro in applicazione di una norma del concordato che prevedeva che vi fosse una necessità di coerenza tra l'impostazione ideologica dell'università cattolica e i professori di quel periodo che insegnavano al suo interno. Io dedicai un forte impegno per affrontare con molta passione la situazione che si era verificata a Milano, quando il professore Franco Cordero era un professore dell'università cattolica di Milano – Facoltà di Giurisprudenza – e insegnava Diritto processuale penale e come materia facoltativa Filosofia del diritto: il prof. Cordero, che aveva avuto occasione di esprimere un'opinione a favore della conservazione della legge sul divorzio, subì una procedura di sospensione del rapporto di lavoro. Si pronunciò anche la Corte costituzionale perché gli avvocati Arturo Carlo Jemolo, Paolo Barile e Leopoldo Piccardi presentarono ricorso al Consiglio di stato, il quale ritenne rilevante la questione di legittimità costituzionale e prese una decisione, firmata da Vincenzo Caianello: la vicenda venne esaminata dalla Corte costituzionale, la quale nel 1972 espresse un giudizio favorevole all'università cattolica riconoscendo che questa università potesse privarsi dell'insegnamento di docenti che fossero in contrasto con le convinzioni espresse dalla stessa struttura dell'università cattolica. Io scrissi un commento fortemente critico nei confronti di quella sentenza: può sembrare strano che si parli ora anche di questo argomento nel rispondere a una domanda che riguarda lo stato di garanzia dei diritti civili nel nostro Paese, però è a mio avviso significativo il riferimento a una questione che ha grande rilevanza che è quello della laicità, problema per il quale in Italia ci sono state molte vicende che inducono a prestare attenzione alla problematica riguardante i diritti civili. Nella situazione attuale naturalmente si è molto modificata: nei dibattiti che si svolsero in quegli anni, tra il 1970 e il 1974, sono rimasti come termini di riferimento per valutare quale sia stata la ragione per la quale per alcuni diritti civili vi sia stata la necessità di far passare tanto tempo, di superare tanti ostacoli. La domanda fa riferimento a molti problemi che dovrebbero essere esaminati anche singolarmente, come il divorzio che è soltanto uno dei tanti temi che riguardano la materia familiare o la necessità di una legge in materia di unioni civili, che è stata molto di recente approvata e che ha dovuto superare molti ostacoli; basta pensare al periodo di Presidenza del Consiglio di Prodi e alle difficoltà che sorsero a proposito delle proposte che in quel periodo vennero presentate per cercare di affrontare il tema delle unioni civili in Italia.
Uno dei quesiti faceva riferimento all'attualità o meno della centralità del lavoro a proposito dei valori costituzionali. Io ho già espresso al riguardo un giudizio di perplessità, sostenendo che il lavoro non è centrale nell'esperienza di vita quotidiana dei giovani che hanno concluso gli studi e si avviano a dover trovare un lavoro. Non c'è dubbio però che tale tema sia molto centrale e che la questione del lavoro meriti di essere considerato nell'ambito dei valori costituzionale: Piero Calamandrei affermava che se alcuni valori costituzionali rimangono centrali nella disposizione normativa ma non sono divenuti centrali nell'evoluzione giuridica dell'ordinamento c'è da preoccuparsi perché significa che siamo di fronte a gravi episodi di inattuazione della Costituzione. Il lavoro è un valore senz'altro presente come valore costituzionale ma è non attuato nell'esperienza dell'ordinamento giuridico nazionale.
Argomento complesso è quello dello stato di salute della nostra forma di governo, anche perché parlando nel dicembre del 2016 si aveva ben presente come si fosse ancora alla ricerca di una legge elettorale adeguata, una legge elettorale capace di trovare un giusto equilibrio fra la cosiddetta “esigenza della rappresentanza” e la cosiddetta “esigenza della governabilità”. Esse sono due esigenze che indubbiamente sono presenti e che non possono non essere presenti in ogni Paese, in ogni sistema giuridico. Io sono convinto, come mi sembri derivi con certezza da una lettura attenta della sentenza n.1 del 2014, che l'esigenza della rappresentanza non possa essere sacrificata per garantire l'esigenza della governabilità. Quindi siamo ancora alla ricerca di una forma di governo adeguata, e questa conclusione è sconsolante, se pensiamo a quanti contributi e quanti studi sono stati forniti a proposito di questo argomento. Nella mia esperienza di docente, io ho avuto occasione di avere come testo di base per il mio insegnamento di Diritto costituzionale comparato, un libro sulla forma di governo di Costantino Mortati, un libro della Cedam che utilizzavo come testo di studio universitario, costituzionalisti importanti, e numerosi hanno fornito grandi contributi su questo tema, ma siamo però ancora alla ricerca di una forma di governo adeguata (e certo le leggi elettorali non si approvano in tempo di elezioni).
In uno dei quesiti si faceva riferimento ai numerosi mutamenti storici, culturali e sociali, come ad esempio nel caso delle scienze biologiche o nella comunicazione, e ai fenomeni migratori di massa e ci si domandava se questi elementi abbiano inciso sul valore della Costituzione ed eventualmente come. Io ricordo sempre quell'osservazione che una volta avevo letto in una pagina di Paolo Barile a proposito dei compiti della Corte costituzionale; Barile osservava che è indubbiamente singolare notare come la Costituzione, essendo proprio un insieme di disposizioni scritte guardando all'avvenire, sia stata capace di affrontare i temi e i problemi del periodo successivo alla sua approvazione nel 1947, applicando valori costituzionali che, ad esempio in materia di esercizio dei diritti di libertà, sono stati capaci di portare a risposte soddisfacenti nei confronti di tante nuove questioni che si ponevano nella società italiana. Quindi io non credo che si possa parlare di un venir meno dei valori della Costituzione, anzi tutte queste vicende hanno reso possibile l'utilizzazione dei valori costituzionali, basta pensare al problema della dignità della persona umana – tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono pari difronte alla legge – quindi ai principi dell'uguaglianza, ai principi della formazione di nuove famiglie, ai principi della solidarietà. Qui credo che ci siano moltissime vicende per le quali sia stata preziosa l'attività degli interpreti della Costituzione, in particolare i giudici della Corte costituzionale ma anche di tutti coloro che, fondandosi sulla Costituzione, hanno ritenuto di poter trovare disposizioni capaci di avviare a soluzioni adeguate ai nuovi problemi.
Il fenomeno del cosiddetto “costituzionalismo multilivello” incide sul valore sostanziale della nostra Costituzione? Anche questo è un problema che si riferisce al tema del quale si era parlato anche in precedenza, cioè le Costituzioni multilivello – sia il livello superiore, con riferimento naturalmente ai temi della Carta europea e dei diritti d'Europa, dei giudizi costituzionali che riguardano il problema dal punto di vista europeo, oppure il livello inferiore, quello relativo alle autonomie locali – sono aspetti sempre più centrali e quindi hanno, anche in questo caso, consentito di utilizzare il valore della Costituzione con riferimento a questi aspetti che sono stati nuovi.
Sono convinto, con riferimento alla domanda n.10 (se la nostra esperienza costituzionale abbia influito su quella degli altri paesi europei), che nella realtà vi sia stato a livello europeo una forte influenza della nostra esperienza costituzionale. Avendo avuto fin dal 1974 occasione di andare in Spagna e di partecipare al lavoro dei colleghi nelle università spagnole, ricordo i molti convegni in cui vari colleghi delle Università spagnole ritenevano prezioso il contributo degli studiosi di diritto costituzionale italiano per la formazione della Costituzione nel loro Paese. In Spagna c'era una vicenda che accumunava l'esperienza, anche dal punto di vista politico, perché come in Spagna c'era stato il franchismo, in Italia c'era stato il fascismo. Quindi ci si rendeva conto che le disposizioni della Costituzione che si stava elaborando e costruendo in Spagna avevano molti elementi in comune. In Spagna ci si rendeva conto come le vicende, le esperienze, i problemi dell'approvazione di una nuova Costituzione avevano molti punti in comune con quella che era stata l'approvazione della Carta costituzionale italiana. Quindi qui giustamente non si parla solamente di “influenza delle disposizioni costituzionali italiane” ma di influenza dell'esperienza costituzionale e quindi quell'esperienza costituzionale significa dare importanza a qualcosa che va al di là della singola norma costituzionale ma fa riferimento a un insieme di fattori che contribuiscono all'approvazione della Costituzione. Il problema è visto con riferimento ai partiti politici, con riferimento al sistema elettorale, con riferimento ai valori e ai diritti che sono evoluti con l'evoluzione della società in Paesi diversi dal nostro.
Il riferimento dell'ultimo quesito è quello relativo a un'importante affermazione di Moro in un intervento all'Assemblea costituente quando Aldo Moro dichiarò che la Costituzione italiana non poteva essere semplicemente afascista perchè nasceva dal presupposto etico e civile e storico di opposizione al fascismo.
Qui poi la domanda si sviluppa con un'ulteriore domanda: se l'antifascismo oggi abbia ancora un fondamento politico e morale della nostra Costituzione. Io credo che qui con il passare degli anni sia evidentemente giusto continuare a fare riferimento alla necessità di una Costituzione non soltanto afascista ma anche antifascista perché indubbiamente – faccio ancora una volta riferimento a quello che è stato lo spirito che ha governato i componenti dell'Assemblea costituente, come dicevo a proposito dell'insegnamento di Gaspare Ambrosini – non vi sono dubbi che nell'Assemblea costituente in molti casi ci si propose di ottenere che in Italia non vi fosse un'esperienza come quella del fascismo al governo dell'Italia. Cioè ci si impegnava guardando al futuro ma tentando di evitare ciò che nel passato era avvenuto. E' significativa in proposito una disposizione come quella dell'art. 3, 2° comma della Costituzione, in materia di uguaglianza, nella quale, quando si dice che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, non ci si limita ad affermare la necessità dell'uguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini e si ritiene necessario affermare anche che questa uguaglianza deve essere garantita con particolare riferimento ad alcuni aspetti, ad alcuni elementi della storia giuridica che fanno riferimento al sesso, alla lingua, alle condizioni personali e sociali e alla religione. Quindi si vuole dire che tutto ciò che aveva costituito nel periodo precedente un problema di lesione dei diritti, per esempio, sostenere che sono uguali senza distinzione di sesso, vuol dire ricordare che evidentemente in Italia le donne hanno votato per la prima volta nel 1946 e quindi era importante che si facesse riferimento a questo elemento del sesso come motivo di attenzione per un'affermazione dell'uguaglianza. Questo riferimento può valere per tutti gli argomenti, cioè il riferimento dell'articolo 3 della Costituzione alla religione, per esempio, sancisce come non era vero che in Italia vi fosse un'uguaglianza di religione perché anzi vi erano state molte pesanti discriminazioni: basti pensare a tutte le esperienze del fascismo di violazione della libertà religiosa, nella pagina nera rappresentata dalle posizioni governative nei confronti delle comunità protestanti. Da qui la necessità che con la Costituzione si affermasse anche l'esigenza di una uguaglianza con riferimento a questo aspetto del problema. L'antifascismo, e la necessità della sua conservazione nell'ordinamento giuridico, in realtà si esprimeva con una contrapposizione a una serie di obiettivi: ad esempio, un uomo solo al comando. Ecco, questo è ancora un problema attuale nella società italiana, dove è ancora viva l'esigenza di ostacolare in ogni modo le forme di evoluzioni legislative dalle quali possano derivare situazioni politiche in cui il potere sia più accentrato. Quando si ricordava negli interventi in Assemblea costituente quello che era uno dei discorsi più significativi del fascismo in Italia – cioè tutto nello Stato, nulla fuori dallo Stato, nulla contro lo Stato – , che era una frase utilizzata spesso da Benito Mussolini per affermare l'esigenza dell'accentramento, in contrasto con l'esigenza del decentramento, il no ai partiti politici diversi dal partito nazionale fascista, il no a religioni diverse dalla religione cattolica, che appunto si riteneva dovesse avere una situazione di privilegio nel Paese, si affermavano esigenze che sono vive anche oggi.
Quindi è necessario valutare i singoli aspetti del problema, per esempio l'importanza di un articolo come quello 2 della Costituzione dove si afferma che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, si ribadisce l'esigenza di superamento di concezioni autoritarie nelle quali vi sia un rifiuto del valore delle formazioni sociali, cioè dei gruppi sociali, della formazione di personalità in situazioni come quella della scuola, come quella in cui è necessario che non vi sia solo una scuola di stato ma è necessario che vi siano tante forme anche diverse dalla scuola di stato. Quindi io credo che occorra, proprio come esigenza della cultura costituzionale, cercare di continuare ad affermare l'importanza di espressioni di libertà che vadano al di là dell'espressione di libertà garantite dalle istituzioni statali. E' significativa l'esperienza di quando insegnavo – oramai sono in pensione dal 2010, da molto tempo, e quindi il ricordo del passato va alle numerose occasioni in cui si richiama l'attenzione sull'ordine del giorno Dossetti del 9 settembre 1946, con il quale si richiamava l'attenzione sulla necessità di superare la concezione antica. Credo che lì, quando vi fu un dibattito in Assemblea costituente, su questo tema – che fa riferimento alle disposizioni dell'art. 2 della Costituzione – e a conclusione dell'intervento di Dossetti vi fu una dichiarazione di Togliatti che disse: “su alcuni aspetti possiamo non essere d'accordo ma che il riconoscimento della persona umana costituisca l'elemento essenziale della democrazia non possiamo non convenire”. Quindi diciamo che con riferimento a questa espressione dell'antifascismo mi sembra importante che la cultura costituzionale, non soltanto all'interno dei libri di diritto e nelle lezioni della Facoltà di Giurisprudenza, ma nell'intera evoluzione della società si continui ad insistere sul valore di questi principi e sulla necessità di superare concezioni nelle quali, ad esempio, l'accentramento sia ritenuto un valore più importante del decentramento e delle autonomie locali. Qui faccio anche riferimento a una recente proposta di riforma costituzionale nella quale mi sembra che fosse evidente la convinzione che fosse superata la fase di riconoscimento e promozione delle autonomie locali e fosse invece giunto il momento di arrivare ad affermare un'esigenza di forte accentramento nei confronti di quelli che sono i poteri delle autonomie locali, in particolare dei comuni e delle Regioni.
Sono lieto di potere pubblicare le mie risposte in questa rivista, sempre impegnata nel valutare con tempestività le novità del nostro ordinamento, con specifico riferimento ai suoi profili di diritto costituzionale; a distanza di sei anni dalla precedente pubblicazione, ho inserito poche e necessarie modifiche.
Nel primo punto si parla dell'importanza derivante dal fatto che ricorreva quell'anno il 70° anniversario della conclusione dei lavori della Costituente: il mio giudizio su quale sia la rilevanza della Costituzione nella vita etica, economica e sociale del Paese è un giudizio che fa riferimento a una mia lunga esperienza. Io ho conosciuto la Costituzione, il costituzionalismo e la storia costituzionale sui banchi della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università La Sapienza di Roma quando nel 1953, iscritto, a diciott'anni, al corso di laurea in Giurisprudenza, ho avuto l'opportunità e direi anche la fortuna di avere un professore che era stato membro della Costituente e che divenne poi giudice costituzionale: Gaspare Ambrosini. Il prof. Ambrosini era un appassionato sostenitore delle autonomie locali e ricordo in particolare il gusto che provava a lezione nel parlare di quello che significava il principio del riconoscimento e della promozione delle autonomie locali nella Costituzione, in modo particolare nel suo articolo 5. Tuttavia il mio ricordo della esperienza come allievo e come studente della Facoltà di Giurisprudenza credo che possa essere significativo perché in quei banchi dell'università – ricordo tra l'altro che eravamo insieme come studenti io e Alessandro Pace, che aveva svolto le funzioni di presidente per il Comitato per il No alle riforme costituzionali proposte dal Parlamento – abbiamo avuto l'opportunità di capire cosa aveva significato l'Assemblea Costituente mentre la maggior parte dei professori, anzi tutti i nostri professori avevano studiato la Costituzione del 1848, lo Statuto di Carlo Alberto (questo dopo qualche anno non era più avvenuto). Anche Gaspare Ambrosini, data la sua età, era stato allievo in una facoltà di Giurisprudenza nella quale per il Diritto costituzionale si studiava lo Statuto albertino. Invece sentire quale era stato lo spirito dell'assemblea costituente negli anni Quaranta fu molto importante: mi ricordo che c'era un testo di Diritto costituzionale di circa 80 pagine, un testo molto breve e litografato.
Dopo la mia laurea, conseguita il 27 ottobre 1957, ho avuto più esperienze: ho fatto il professore di Diritto ed economia politica negli Istituti tecnici, nel 1959 ho conseguito il titolo di avvocato, dal 1965 al 1976 ho fatto il magistrato della Corte dei conti: in tutte le esperienze ho avuto l'opportunità di valutare l'importanza della Costituzione e del suo studio e della rilevanza della Costituzione nell'adempimento dei miei compiti e lo svolgimento delle mie attività professionale. Ricordo che nel 1969 avevo preso una libera docenza in Diritto ecclesiastico e poi due anni dopo mi presentai per avere una libera docenza in Diritto costituzionale, proprio perché mi parve necessario affrontare i problemi prevalentemente dal punto di vista costituzionale. Sento l'orgoglio per avere scritto nel 1974 un libretto sui Principi costituzionali del diritto ecclesiastico, edito in litografia dalla casa editrice Cedam nel periodo in cui io insegnavo a Cagliari, proprio perché mi sembrò opportuno che la disciplina della materia che allora insegnavo fosse impostata dal punto di vista della Costituzione, e quindi dei principi costituzionali di ogni disciplina universitaria. Poi ho fatto lo stesso quando più tardi, nel 1992, sono passato all'insegnamento del Diritto amministrativo. Per esempio, ricordo che negli anni Cinquanta i testi universitari di Diritto ecclesiastico ritenevano che la Costituzione non avesse nessuna particolare importanza nella studio e nell'insegnamento di tale materia e che un autore importante come Vincenzo Del Giudice, che aveva scritto un importante manuale di Diritto ecclesiastico, anche dopo l'entrata in vigore della Costituzione, scriveva che la Costituzione non aveva portato novità nella disciplina del Diritto ecclesiastico, il che parve subito inesatto perché in particolare gli articoli 2, 3, 7, 8, 19, 20, 21 33 e 38 della Costituzione affermavano dei principi che modificano completamente l'impostazione di questa materia.
In proposito - per ricollegarmi a quanto detto prima sull'esperienza di magistrato della Corte dei conti - posso ricordare un altro aspetto: nelle camere di consiglio alle quali partecipavo alla Corte dei conti ricordo che ero quasi sempre il più giovane del collegio, perché ero entrato nella Corte dei conti all'età di 30 anni, e la maggior parte dei miei colleghi avevano anch'essi studiato all'università lo Statuto albertino e non la carta costituzionale del 1948, perché erano più anziani di me. Io invece avevo l'opportunità di affrontare in molti casi il problema della rilevanza della Costituzione, per esempio a proposito delle questioni di costituzionalità sollevate con riferimento alle norme che noi avevamo l'occasione di applicare. Era importante, soprattutto in quegli anni sostenere la sussistenza di diritti che assumevano il valore di diritti costituzionalmente riconosciuti e che quindi meritavano un'attenzione proprio dal punto di vista della Carta costituzionale. Ad esempio nei giudizi di responsabilità presso la Corte dei conti questo profilo ha avuto ed ha notevole importanza. La causa più significativa che io ho impostato quando ero pubblico ministero della Corte dei conti fu a proposito della concezione del danno erariale nella soluzione di una vicenda che avevo avuto occasione di esaminare per la costruzione di 42 villette all'interno del Parco Nazionale d'Abruzzo e la valutazione del problema se questo potesse costituire un danno per l'Erario. Per arrivare a questa decisione occorreva sostenere che il danno all'Erario non era soltanto un danno di natura patrimoniale ma era anche un danno derivante dalla distruzione di flora e fauna. Quindi, per ritornare alla domanda formulata nel questionario, io penso che, non soltanto guardando a quel periodo ma poi all'intero tempo che è trascorso da quando è stata eletta la Costituente e sono iniziati i lavori di elaborazione della Carta costituzionale conclusi nel 1948, la rilevanza per il nostro Paese, sia dal punto di vista dell'etica sia dal punto di vista dell'economia sia dal punto di vista dell'evoluzione sociale, è stata molto forte.
Nel secondo quesito si fa riferimento alla natura programmatica della nostra Costituzione. Effettivamente questo è un punto fondamentale: è noto a tutti quanto sia importante ricordare che la Costituzione italiana sia stata una Costituzione “promessa per il futuro”: questo è stato un punto fondamentale dei miei studi perché ho avuto spesso occasione di precisare come nell'intera Carta costituzionale vi sia probabilmente un'unica disposizione normativa nella quale sia stato approvato un testo con riferimento non al futuro, non all'evoluzione dei principi costituzionali nel periodo futuro - ma l'art. 7, 2° comma della Costituzione dove si legge che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti Lateranensi -, questo riferimento a un avvenimento del 1929 – evento significativo del periodo fascista – ha rappresentato un'anomalia che impediva un'evoluzione delle libertà di religione nel nostro Paese, tenendo conto che questa disciplina degli accordi concordatari del 1929 era una disciplina orientata per l'attuazione di principi fondanti dell'ordinamento fascista. Si voleva ribadire che la confessione cattolica fosse l'unica religione dello Stato, la materia del matrimonio era impostata secondo l'idea che lo stesso matrimonio non potesse che essere indissolubile, i principi della scuola erano legati a un'importante disposizione del concordato del 1929, quella dell'art. 36 nella quale si affermava che l'insegnamento della religione cattolica avrebbe dovuto costituire il fondamento e il coronamento di tutta l'istruzione pubblica. Queste sono tutte disposizione che poi hanno determinato nel tempo molte polemiche e molti interventi della Corte costituzionale e quindi questa affermazione di una Costituzione promessa per il futuro ha a lungo condizionato l'evoluzione del nostro ordinamento giuridico, in modo particolare della nostra legislazione, in un senso coerente con la Carta costituzionale. Naturalmente quando si parla di Costituzione promessa per il futuro non si può non fare riferimento al 2° comma dell'articolo 3 dove si legge che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d'ordine economico e sociale che di fatto impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'esercizio dei diritti di libertà e uguaglianza. Questo è un aspetto molto importante: di questa disposizione io ho avuto molto spesso occasione di verificarne l'importanza nell'esercizio della mia attività d'insegnante, dato che, come ho già ricordato, sono stato per molti anni insegnante di diritto e di economia nelle scuole pubbliche. L'idea che fosse compito della Repubblica, e quindi anche dei professori della Repubblica, di tenere conto che vi erano degli ostacoli di fatto che ostacolavano l'esercizio dei diritti di libertà e uguaglianza ha rappresentato un aspetto importante della mia attività di insegnante.
Nel terzo quesito ci si domanda se dopo 70 anni possa ritenersi attuato il programma costituzionale e quale sia il suo valore attuale: in proposito non si può fare riferimento alla realtà, se non ponendosi anche degli interrogativi pesanti, considerando che vi sono disposizioni davanti alle quali si ha proprio il disagio di ricordarne la sussistenza: quando si dice che la Repubblica italiana è una Repubblica democratica fondata sul lavoro spesso si prova il disagio di guardare i giovani che seguono le lezioni, i quali sanno quanto non sia vero che la nostra Repubblica sia fondata sul lavoro per la realtà drammatica che si presenta quando si valuta quante difficoltà trovi qualunque giovane, soprattutto quanti non hanno un aiuto da parte della famiglia, nel trovare un lavoro, soprattutto poi se si dice che il lavoro dovrebbe essere coerente con la formazione ricevuta durante gli anni degli studi. Dunque, quale è il valore attuale del programma costituzionale? Secondo me è ancora enorme, grandissimo l'impegno che nasce, per qualunque funzionario o persona che esercita qualunque attività nella società, quella di porsi l'obiettivo che la Costituente ha voluto porre come obiettivo di tutta la struttura pubblica e di tutte le istituzioni.
Quando si parla dello stato di garanzia dei diritti civili nel nostro Paese, ricordo che per molti anni ho avuto una grande passione per il tema delle unioni civili in Italia. Ho scritto e studiato molto, ho considerato molti nuovi argomenti e ho pubblicato un mio libro nel 2011 il cui titolo è Battaglie di libertà, diritti civili in Italia, 1943-2011, un libro scritto con la speranza di potere constatare una sempre maggiore attenzione e sensibilità della società e delle istituzioni e nell'auspicare sempre maggiore rispetto e garanzia nei confronti di quelli che vengono definiti come diritti civili. Questo libro è impostato proprio sulla storia costituzionale che inizia nel 1943, perché già in quegli anni si inizia a definire quella che sarebbe poi stata la problematica degli anni successivi: il problema esiste tutt'ora. Ho partecipato con grande passione alle discussioni e al dibattito sul referendum per il divorzio, che fu uno dei casi nel quale questo problema si pose con urgenza. Nei quattro anni compresi tra il 1° dicembre 1970 – che è la data di approvazione della legge n. 898 del 1970 in materia di divorzio – e il 12 aprile 1974, quando si è svolto il referendum in materia di divorzio e si è determinata una situazione per la quale il 59% degli italiani hanno votato a favore della conservazione della legge sul divorzio e circa il 41% ha votato per l'abrogazione della stessa legge. I più giovani non sanno quanto sia stata approfondita, appassionata e anche drammatica la situazione che si presentò in quei 4 anni perché fu proprio uno scontro di concezioni della vita civile e della vita sociale che si svolse in quegli anni. Vi furono professori di scuole private allontanati dall'insegnamento perché avevano assunto una determinata posizione, vi furono casi di professori dell'università cattolica che si trovarono di fronte allo scioglimento del rapporto di lavoro in applicazione di una norma del concordato che prevedeva che vi fosse una necessità di coerenza tra l'impostazione ideologica dell'università cattolica e i professori di quel periodo che insegnavano al suo interno. Io dedicai un forte impegno per affrontare con molta passione la situazione che si era verificata a Milano, quando il professore Franco Cordero era un professore dell'università cattolica di Milano – Facoltà di Giurisprudenza – e insegnava Diritto processuale penale e come materia facoltativa Filosofia del diritto: il prof. Cordero, che aveva avuto occasione di esprimere un'opinione a favore della conservazione della legge sul divorzio, subì una procedura di sospensione del rapporto di lavoro. Si pronunciò anche la Corte costituzionale perché gli avvocati Arturo Carlo Jemolo, Paolo Barile e Leopoldo Piccardi presentarono ricorso al Consiglio di stato, il quale ritenne rilevante la questione di legittimità costituzionale e prese una decisione, firmata da Vincenzo Caianello: la vicenda venne esaminata dalla Corte costituzionale, la quale nel 1972 espresse un giudizio favorevole all'università cattolica riconoscendo che questa università potesse privarsi dell'insegnamento di docenti che fossero in contrasto con le convinzioni espresse dalla stessa struttura dell'università cattolica. Io scrissi un commento fortemente critico nei confronti di quella sentenza: può sembrare strano che si parli ora anche di questo argomento nel rispondere a una domanda che riguarda lo stato di garanzia dei diritti civili nel nostro Paese, però è a mio avviso significativo il riferimento a una questione che ha grande rilevanza che è quello della laicità, problema per il quale in Italia ci sono state molte vicende che inducono a prestare attenzione alla problematica riguardante i diritti civili. Nella situazione attuale naturalmente si è molto modificata: nei dibattiti che si svolsero in quegli anni, tra il 1970 e il 1974, sono rimasti come termini di riferimento per valutare quale sia stata la ragione per la quale per alcuni diritti civili vi sia stata la necessità di far passare tanto tempo, di superare tanti ostacoli. La domanda fa riferimento a molti problemi che dovrebbero essere esaminati anche singolarmente, come il divorzio che è soltanto uno dei tanti temi che riguardano la materia familiare o la necessità di una legge in materia di unioni civili, che è stata molto di recente approvata e che ha dovuto superare molti ostacoli; basta pensare al periodo di Presidenza del Consiglio di Prodi e alle difficoltà che sorsero a proposito delle proposte che in quel periodo vennero presentate per cercare di affrontare il tema delle unioni civili in Italia.
Uno dei quesiti faceva riferimento all'attualità o meno della centralità del lavoro a proposito dei valori costituzionali. Io ho già espresso al riguardo un giudizio di perplessità, sostenendo che il lavoro non è centrale nell'esperienza di vita quotidiana dei giovani che hanno concluso gli studi e si avviano a dover trovare un lavoro. Non c'è dubbio però che tale tema sia molto centrale e che la questione del lavoro meriti di essere considerato nell'ambito dei valori costituzionale: Piero Calamandrei affermava che se alcuni valori costituzionali rimangono centrali nella disposizione normativa ma non sono divenuti centrali nell'evoluzione giuridica dell'ordinamento c'è da preoccuparsi perché significa che siamo di fronte a gravi episodi di inattuazione della Costituzione. Il lavoro è un valore senz'altro presente come valore costituzionale ma è non attuato nell'esperienza dell'ordinamento giuridico nazionale.
Argomento complesso è quello dello stato di salute della nostra forma di governo, anche perché parlando nel dicembre del 2016 si aveva ben presente come si fosse ancora alla ricerca di una legge elettorale adeguata, una legge elettorale capace di trovare un giusto equilibrio fra la cosiddetta “esigenza della rappresentanza” e la cosiddetta “esigenza della governabilità”. Esse sono due esigenze che indubbiamente sono presenti e che non possono non essere presenti in ogni Paese, in ogni sistema giuridico. Io sono convinto, come mi sembri derivi con certezza da una lettura attenta della sentenza n.1 del 2014, che l'esigenza della rappresentanza non possa essere sacrificata per garantire l'esigenza della governabilità. Quindi siamo ancora alla ricerca di una forma di governo adeguata, e questa conclusione è sconsolante, se pensiamo a quanti contributi e quanti studi sono stati forniti a proposito di questo argomento. Nella mia esperienza di docente, io ho avuto occasione di avere come testo di base per il mio insegnamento di Diritto costituzionale comparato, un libro sulla forma di governo di Costantino Mortati, un libro della Cedam che utilizzavo come testo di studio universitario, costituzionalisti importanti, e numerosi hanno fornito grandi contributi su questo tema, ma siamo però ancora alla ricerca di una forma di governo adeguata (e certo le leggi elettorali non si approvano in tempo di elezioni).
In uno dei quesiti si faceva riferimento ai numerosi mutamenti storici, culturali e sociali, come ad esempio nel caso delle scienze biologiche o nella comunicazione, e ai fenomeni migratori di massa e ci si domandava se questi elementi abbiano inciso sul valore della Costituzione ed eventualmente come. Io ricordo sempre quell'osservazione che una volta avevo letto in una pagina di Paolo Barile a proposito dei compiti della Corte costituzionale; Barile osservava che è indubbiamente singolare notare come la Costituzione, essendo proprio un insieme di disposizioni scritte guardando all'avvenire, sia stata capace di affrontare i temi e i problemi del periodo successivo alla sua approvazione nel 1947, applicando valori costituzionali che, ad esempio in materia di esercizio dei diritti di libertà, sono stati capaci di portare a risposte soddisfacenti nei confronti di tante nuove questioni che si ponevano nella società italiana. Quindi io non credo che si possa parlare di un venir meno dei valori della Costituzione, anzi tutte queste vicende hanno reso possibile l'utilizzazione dei valori costituzionali, basta pensare al problema della dignità della persona umana – tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono pari difronte alla legge – quindi ai principi dell'uguaglianza, ai principi della formazione di nuove famiglie, ai principi della solidarietà. Qui credo che ci siano moltissime vicende per le quali sia stata preziosa l'attività degli interpreti della Costituzione, in particolare i giudici della Corte costituzionale ma anche di tutti coloro che, fondandosi sulla Costituzione, hanno ritenuto di poter trovare disposizioni capaci di avviare a soluzioni adeguate ai nuovi problemi.
Il fenomeno del cosiddetto “costituzionalismo multilivello” incide sul valore sostanziale della nostra Costituzione? Anche questo è un problema che si riferisce al tema del quale si era parlato anche in precedenza, cioè le Costituzioni multilivello – sia il livello superiore, con riferimento naturalmente ai temi della Carta europea e dei diritti d'Europa, dei giudizi costituzionali che riguardano il problema dal punto di vista europeo, oppure il livello inferiore, quello relativo alle autonomie locali – sono aspetti sempre più centrali e quindi hanno, anche in questo caso, consentito di utilizzare il valore della Costituzione con riferimento a questi aspetti che sono stati nuovi.
Sono convinto, con riferimento alla domanda n.10 (se la nostra esperienza costituzionale abbia influito su quella degli altri paesi europei), che nella realtà vi sia stato a livello europeo una forte influenza della nostra esperienza costituzionale. Avendo avuto fin dal 1974 occasione di andare in Spagna e di partecipare al lavoro dei colleghi nelle università spagnole, ricordo i molti convegni in cui vari colleghi delle Università spagnole ritenevano prezioso il contributo degli studiosi di diritto costituzionale italiano per la formazione della Costituzione nel loro Paese. In Spagna c'era una vicenda che accumunava l'esperienza, anche dal punto di vista politico, perché come in Spagna c'era stato il franchismo, in Italia c'era stato il fascismo. Quindi ci si rendeva conto che le disposizioni della Costituzione che si stava elaborando e costruendo in Spagna avevano molti elementi in comune. In Spagna ci si rendeva conto come le vicende, le esperienze, i problemi dell'approvazione di una nuova Costituzione avevano molti punti in comune con quella che era stata l'approvazione della Carta costituzionale italiana. Quindi qui giustamente non si parla solamente di “influenza delle disposizioni costituzionali italiane” ma di influenza dell'esperienza costituzionale e quindi quell'esperienza costituzionale significa dare importanza a qualcosa che va al di là della singola norma costituzionale ma fa riferimento a un insieme di fattori che contribuiscono all'approvazione della Costituzione. Il problema è visto con riferimento ai partiti politici, con riferimento al sistema elettorale, con riferimento ai valori e ai diritti che sono evoluti con l'evoluzione della società in Paesi diversi dal nostro.
Il riferimento dell'ultimo quesito è quello relativo a un'importante affermazione di Moro in un intervento all'Assemblea costituente quando Aldo Moro dichiarò che la Costituzione italiana non poteva essere semplicemente afascista perchè nasceva dal presupposto etico e civile e storico di opposizione al fascismo.
Qui poi la domanda si sviluppa con un'ulteriore domanda: se l'antifascismo oggi abbia ancora un fondamento politico e morale della nostra Costituzione. Io credo che qui con il passare degli anni sia evidentemente giusto continuare a fare riferimento alla necessità di una Costituzione non soltanto afascista ma anche antifascista perché indubbiamente – faccio ancora una volta riferimento a quello che è stato lo spirito che ha governato i componenti dell'Assemblea costituente, come dicevo a proposito dell'insegnamento di Gaspare Ambrosini – non vi sono dubbi che nell'Assemblea costituente in molti casi ci si propose di ottenere che in Italia non vi fosse un'esperienza come quella del fascismo al governo dell'Italia. Cioè ci si impegnava guardando al futuro ma tentando di evitare ciò che nel passato era avvenuto. E' significativa in proposito una disposizione come quella dell'art. 3, 2° comma della Costituzione, in materia di uguaglianza, nella quale, quando si dice che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, non ci si limita ad affermare la necessità dell'uguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini e si ritiene necessario affermare anche che questa uguaglianza deve essere garantita con particolare riferimento ad alcuni aspetti, ad alcuni elementi della storia giuridica che fanno riferimento al sesso, alla lingua, alle condizioni personali e sociali e alla religione. Quindi si vuole dire che tutto ciò che aveva costituito nel periodo precedente un problema di lesione dei diritti, per esempio, sostenere che sono uguali senza distinzione di sesso, vuol dire ricordare che evidentemente in Italia le donne hanno votato per la prima volta nel 1946 e quindi era importante che si facesse riferimento a questo elemento del sesso come motivo di attenzione per un'affermazione dell'uguaglianza. Questo riferimento può valere per tutti gli argomenti, cioè il riferimento dell'articolo 3 della Costituzione alla religione, per esempio, sancisce come non era vero che in Italia vi fosse un'uguaglianza di religione perché anzi vi erano state molte pesanti discriminazioni: basti pensare a tutte le esperienze del fascismo di violazione della libertà religiosa, nella pagina nera rappresentata dalle posizioni governative nei confronti delle comunità protestanti. Da qui la necessità che con la Costituzione si affermasse anche l'esigenza di una uguaglianza con riferimento a questo aspetto del problema. L'antifascismo, e la necessità della sua conservazione nell'ordinamento giuridico, in realtà si esprimeva con una contrapposizione a una serie di obiettivi: ad esempio, un uomo solo al comando. Ecco, questo è ancora un problema attuale nella società italiana, dove è ancora viva l'esigenza di ostacolare in ogni modo le forme di evoluzioni legislative dalle quali possano derivare situazioni politiche in cui il potere sia più accentrato. Quando si ricordava negli interventi in Assemblea costituente quello che era uno dei discorsi più significativi del fascismo in Italia – cioè tutto nello Stato, nulla fuori dallo Stato, nulla contro lo Stato – , che era una frase utilizzata spesso da Benito Mussolini per affermare l'esigenza dell'accentramento, in contrasto con l'esigenza del decentramento, il no ai partiti politici diversi dal partito nazionale fascista, il no a religioni diverse dalla religione cattolica, che appunto si riteneva dovesse avere una situazione di privilegio nel Paese, si affermavano esigenze che sono vive anche oggi.
Quindi è necessario valutare i singoli aspetti del problema, per esempio l'importanza di un articolo come quello 2 della Costituzione dove si afferma che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, si ribadisce l'esigenza di superamento di concezioni autoritarie nelle quali vi sia un rifiuto del valore delle formazioni sociali, cioè dei gruppi sociali, della formazione di personalità in situazioni come quella della scuola, come quella in cui è necessario che non vi sia solo una scuola di stato ma è necessario che vi siano tante forme anche diverse dalla scuola di stato. Quindi io credo che occorra, proprio come esigenza della cultura costituzionale, cercare di continuare ad affermare l'importanza di espressioni di libertà che vadano al di là dell'espressione di libertà garantite dalle istituzioni statali. E' significativa l'esperienza di quando insegnavo – oramai sono in pensione dal 2010, da molto tempo, e quindi il ricordo del passato va alle numerose occasioni in cui si richiama l'attenzione sull'ordine del giorno Dossetti del 9 settembre 1946, con il quale si richiamava l'attenzione sulla necessità di superare la concezione antica. Credo che lì, quando vi fu un dibattito in Assemblea costituente, su questo tema – che fa riferimento alle disposizioni dell'art. 2 della Costituzione – e a conclusione dell'intervento di Dossetti vi fu una dichiarazione di Togliatti che disse: “su alcuni aspetti possiamo non essere d'accordo ma che il riconoscimento della persona umana costituisca l'elemento essenziale della democrazia non possiamo non convenire”. Quindi diciamo che con riferimento a questa espressione dell'antifascismo mi sembra importante che la cultura costituzionale, non soltanto all'interno dei libri di diritto e nelle lezioni della Facoltà di Giurisprudenza, ma nell'intera evoluzione della società si continui ad insistere sul valore di questi principi e sulla necessità di superare concezioni nelle quali, ad esempio, l'accentramento sia ritenuto un valore più importante del decentramento e delle autonomie locali. Qui faccio anche riferimento a una recente proposta di riforma costituzionale nella quale mi sembra che fosse evidente la convinzione che fosse superata la fase di riconoscimento e promozione delle autonomie locali e fosse invece giunto il momento di arrivare ad affermare un'esigenza di forte accentramento nei confronti di quelli che sono i poteri delle autonomie locali, in particolare dei comuni e delle Regioni.