21 Novembre 2024
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1929 – 2019 # I NOVANT’ANNI DI “GIUSTIZIA E LIBERTA’"

Novant'anni orsono - agosto 1929 - Carlo Rosselli fondava a Parigi presso l'Hotel du Nord de Champagne a Montmartre, il movimento di “Giustizia e Libertà”. Con lui Emilio Lussu, Francesco Fausto Nitti, Vincenzo Nitti, Gaetano Salvemini, Alberto Tarchiani, Raffaele Rossetti e Gioacchino Dolci. Quest'ultimo aveva incontrato Rosselli e Lussu al confino di Lipari. Aveva lasciato l'isola siciliana il 4 dicembre 1928 e vi era tornato sulla barca guidata da Italo Oxilia per condurre i tre evasi in salvo. E' Dolci che disegnerà il simbolo di GL. La fuga avviene nella notte del 27 luglio; gli evasi giungono a Parigi il 1 agosto; dopo pochi giorni viene fondato il movimento. La dinamica degli eventi ci dice come la decisione fosse frutto di ponderata riflessione. Si trattava di una scelta coraggiosa, di una scommessa che, nell'impegno di lotta contro il fascismo, pensava all'Italia che sarebbe dovuta nascere dopo la sconfitta della dittatura. Una scommessa sicuramente incerta perché nessuno poteva sapere quale sarebbe stato l'esito dello scontro contro il fascismo e quale indirizzo avrebbero peso gli eventi, ma ben certa nel fatto che la lotta per la libertà dovesse avere carattere rivoluzionario. Si trattava, infatti, di progettare un'Italia che, nelle sue fondamenta, fosse del tutto nuova rispetto a quella crollata nel 1922. Una scommessa duplice, verso la storia e le altre forze dell'antifascismo che, pure impegnate nello scontro, venivano tutte dal prefascismo e che erano state tutte sconfitte. Rispetto ad esse “Giustizia e Libertà” non guarda al futuro venendo dal passato, ma rappresenta il futuro poiché si propone di esprimere un disegno democratico non di parte, senza vincoli ideologici preesistenti; un progetto che delinea le forme di una democrazia fondata sulla libertà, su istituzioni democratiche e su un sistema economico rispondente all'utilità sociale. Insomma, quella di Rosselli, nessuno lo può ragionevolmente mettere in dubbio, è una scelta che dall'impegno immediato nella lotta contro il fascismo all'estero e in Italia, gioca consapevolmente sui tempi più lunghi della storia medesima. Quale sia stato il decorso degli eventi è cosa nota, ma resta il fatto che la cultura rosselliana e le intenzioni che essa esprime, al di là delle vicende di merito, non sono scomparse dalla cultura politica italiana anche se, dopo la breve e gloriosa esperienza del Partito d'Azione (1942 – 1947), benché ci siano stati gruppi e movimenti politici, soprattutto nel campo socialista, che vi hanno fatto riferimento, non vi è stata nessuna grande forza organizzata che si sia richiamata a Carlo Rosselli, al suo pensiero e al movimento da lui fondato nel 1929. Il fatto, poi - lo abbiamo visto in occasione della ricorrenza dell'ottantesimo della morte di Carlo e di Nello - che si sia riaperto un dibattito assai acceso sulle idee rosselliane e sull'interpretazione relativa alla politica di GL, conferma come quelle idee non solo siano ben vive e ancora assai scomode per un Paese che, nonostante tutto, rimane quasi imbalsamato in canoni politico-culturali asfittici, vincolanti pesantezze di tradizionalismo ideologico, ben poco incline al cambiamento e quasi prigioniero in un italico canone di manierismi intellettuali elevati a espressione di valida e preminente mentalità nazionale. Inoltre, essendo il nostro un Paese che non ama gli sconfitti – come se esserlo significasse avere torto – ecco che, alla fine, preferisce rifugiarsi nella retorica delle ricorrenze, delle frasi fatte, delle usualità interpretative marginalizzando esperienze che, come quella di Giustizia e Libertà, rappresenta, non avendo ancora smesso di esserlo, lievito per le sorti democratiche del Paese.
Il paradigma dell'esperienza politica di Carlo è ben conosciuto. Testimone e protagonista della disfatta dello Stato liberale, animatore a Firenze tra il 1922 e il 1925 insieme, tra gli altri, al fratello Nello, Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, Piero Calamandrei e Nello Traquandi, del primo gruppo antifascista organizzato, maturato politicamente dentro il travaglio della disfatta socialista, quando arriva al confino di Lipari nel 1927, colpevole di aver messo in salvo Filippo Turati insieme a Ferruccio Parri e Sandro Pertini, ha già maturato un pensiero compiuto; quello contenuto in Socialismo liberale – steso tra il 1928 e il 1929 - che uscirà a Parigi nel dicembre 1930. Nel saggio, Rosselli, delinea una concezione nuova del socialismo; sottopone a critica i motivi della debolezza dimostrata dal partito italiano nella prova decisiva; ripercorre, facendola propria, la visione storica di Piero Gobetti su cosa era stata l'Italia nata dal Risorgimento e, soprattutto, scandisce quella che deve essere la funzione che la storia italiana assegna al socialismo quale grande idea di progresso, di giustizia e di democrazia. Dà, cioè, al socialismo una precisa consapevolezza storica quale idea fondativa della democrazia e, quindi, moto di libertà degli uomini che, solo sul principio e sul metodo che ne consegue, quello della democrazia, possono riscattarsi socialmente costruendo, nella libertà e coi mezzi della democrazia, un sistema sociale di giustizia. Rosselli aveva capito che al socialismo italiano – concordando, anche in questo, con Gobetti – spettava pure il compito di supplire alle deficienze di un liberalismo che, per le ragioni proprie della vicenda nazionale, si era espresso come un “liberalismo istituzionale” e non come portato di un sentire attivo nella società. In questa agiva lo scontro di classe, ma non quel fattore pedagogico proprio della modernità politica; al fascismo, in conclusione, era bastato farsi alleata la Monarchia per avere in mano lo Stato e la società. Con rapidità era caduta un'intera classe dirigente, al centro e alla periferia. Il fascismo aveva rappresentato, certo, interessi di classe, ma aveva trovato terreno fertile soprattutto nella debolezza del liberalismo nostrano. Il socialismo doveva essere, in primo luogo, la forza della libertà. L'essersi appiattito sul determinismo marxista in attesa di un cambiamento rivoluzionario che non era in grado né di preparare né di attuare, gli aveva impedito di valutare il pericolo rappresentato dal fascismo quale forza contro la libertà e la democrazia, prima ancora che come reazione padronale di classe Quando la componente turatiana, quella di Claudio Treves, di Giacomo Matteotti e di Bruno Buozzi, capisce che occorre cambiare politica e uscire da una situazione che Gobetti definisce “la tragicommedia dell'indecisione”, siamo nel 1922 ed è ormai troppo tardi. Ad un socialismo rifondato sulla base della libertà spetta, quindi, un duplice compito: da un lato rappresentare, organizzare e far sì che diventino anch'esse Stato, le forze del lavoro e, dall'altro, rifondare le basi dello Stato sul principi della libertà e della democrazia.
Caro Rosselli, quindi, una volta in Francia ha ben presente quale sia il posto di combattimento da assumere contro il fascismo: è quello della libertà, della democrazia e della giustizia sociale. E' un socialista, ma si guarda bene dal fondare un altro partito socialista perché ciò, possiamo dire, avrebbe comportato rimanere nell'ottica del prefascismo rispetto a cui occorre una netta cesura politica. Con il movimento di “Giustizia e Libertà” si attua tale cesura; i parametri della lotta antifascista escono dai confini ideologici propri della forze che dall'esilio combattono il regime; la lotta deve essere rivoluzionaria poiché si deve perseguire una palingenesi dello Stato italiana ma il fine di essa è la sua rifondazione sulla base della libertà e della democrazia e quanto si lega all'una come all'altra diventano concreta realtà storica se a loro si accompagna la giustizia sociale. Il progetto è programmaticamente delineato nello Schema di programma pubblicato nel gennaio 1932 sul primo dei “Quaderni di Giustizia e Libertà”. Esso è parte centrale di tre articoli scritti da Rosselli: il primo è Il programma rivoluzionario di “Giustizia e Libertà” ; il terzo, Chiarimenti al Programma ove vengono illustrate tre riforme: l'agraria, l' industriale e bancaria e quella riguardante le questioni relative all'Indennità e confisca.
GL nasce come forza rivoluzionaria. “La lotta contro il fascismo – scrive Rosselli – non può (…) esaurirsi nella lotta contro la dittatura e i suoi organi essenziali, essa è al tempo stesso lotta contro l ‘ordinamento politico-sociale che l'ha originata (…) per fare del popolo italiano una grande e moderna democrazia del lavoro capace di esprimere, in atmosfera di libertà, una nuova classe politica.” Proprio perché forza rivoluzionaria GL ci tiene a precisare a chiare note il “fondamentale dissenso” fra essa e i comunisti. Si legge:” GL ricorre alla rivoluzione per abbattere la dittatura fascista e conquistare un regime di vera democrazia in cui la libertà sia posta al riparo da ogni attentato e da ogni usurpazione. Il Partito Comunista ricorre alla rivoluzione per sostituire alla dittatura fascista la sua dittatura.
GL è democratica e non riconosce che un solo sovrano: il Popolo. Il Partito Comunista è antidemocratico e riconosce un ben diverso sovrano, esso partito.”
“Giustizia e Libertà”, quindi, ha nella dottrina del socialismo liberale – che è, lo ripetiamo, un pensiero compiuto e non il frutto, come nel caso del liberalsocialimo calogeriano, dell'incontro tra “socialismo” e “liberalismo”. Secondo la sua concezione, il socialismo non può che fondarsi sulla libertà - sua ispirazione e sua motivazione - ma in quanto soggetto nuovo dell'antifascismo supera le vecchie ideologie e nell'intenzionalità storico-politico che esprime chiama a raccolta tutti coloro che vogliono scrivere questa nuova pagina della politica italiana nei tempi duri e drammatici dello scontro tra libertà e dittatura. GL postula l'archiviazione delle tessere; così, in esso, troviamo uomini che dal passato politico diverso da quello di Rosselli, non solo socialisti, ma repubblicani, democratici e liberali dalle più diverse sfumature ed esperienze, ex-comunisti, nonché giovani energie che scelgono di entrare per la prima volta nella lotta. In “Giustizia e Libertà” troviamo lo schema che sarà poi, nel 1942,quello che sovrintende alla nascita del Partito d'Azione in cui confluisce quanto, dopo la morte di Carlo, la guerra di Spagna e l'invasione della Francia, è rimasto sul campo della lotta antifascista, del giellismo propriamente socialista liberale insieme ad altre forze di diversa origine ideologico-politica nell'intento comune di attuare quella “rivoluzione democratica” che l'Italia non aveva mai avuto e che, in parte, si realizzerà con la vittoria della Resistenza, la nascita della Repubblica e la Costituzione.
Alla nascita della democrazia “Giustizia e Libertà” non c'è, il movimento è confluito nel Partito d'Azione che rappresenta, nel quadro delle forze che hanno lottato contro il fascismo, un soggetto del tutto nuovo essendo l'unico che non ha radice alcuna nel prefascismo. Tutte le altre esprimono una continuità di natura ideale e di matrice storica che affonda nello Stato “liberale”. Il PdA scomparirà dalla scena nell'ottobre del 1947. Non scompariranno, invece, gli azionisti che, pur attraverso percorsi e con tempi diversi, aderiranno nella stragrande maggioranza al PSI, altri al PRI ed alcuni pure al PCI. Non scomparirà l'azionismo, quale cultura politica, che continuerà, dalla nuove collocazioni in cui i suoi uomini si trovano a militare – il discorso vale, soprattutto, per coloro che hanno scelto il partito socialista – a rappresentare le ragioni della “rivoluzione democratica” e a perseguire un socialismo nella libertà. All'inizio degli anni Sessanta, in occasione della stagione del centro-sinistra, sia dal versante socialista che da quello repubblicano, gli azionisti si troveranno uniti ancora, in qualche modo, nella formula della “rivoluzione democratica” poiché la nuova fase della politica italiana che vede convergere la sinistra socialista e quella democratica segni una stagione di riforme connotate a sinistra, in un processo riformatore che cambi profondamente il sistema per determinare un equilibrio democratico, di cifra strutturale, più avanzato rispetto al lungo periodo del centrismo dominato dalla democrazia cristiana. In quella stagione tanti motivi politico-culturali dell'esperienza giellista-azionista tornano sul piano effettuale della politica dimostrando quanto tutto ciò che si era inanellato sul lungo filo rosso che da GL arriva al PdA, non fosse andato disperso. Confermando come tante idee di quella esperienza che ha in Carlo Rosselli il suo avvio si legassero concretamente a storiche esigenze della realtà italiana rimaste irrisolte nonostante la nascita della Repubblica e l'adozione di una Costituzione che non è solo una carta di principi, ma un vero progetto politico anche se, naturalmente, il suo sviluppo è affidato alla lotta politica democratica.
“Giustizia e Libertà è un tipico caso per cui un'esperienza nuova nata nella lotta politica, assorbita dalla storia nel suo “prima” e nel suo “dopo” non appartenga solo alla storia, ma alla politica. Così, se la stagione del centro-sinistra, come abbiamo cercato di accennare, costituisce il termine di paragone a conferma di quanto veniamo dicendo, cosa ne è oggi, a quasi un secolo di distanza, del significato di GL? Il suo senso generale e i valori su cui è nata e ha sviluppato la propria presenza politica e che furono a motivazione di un alto impegno patriottico nella lotta per la libertà, debbano essere ritenuti degni solo di stare nei piani nobili della storia democratica del nostro Paese oppure tutto ciò rappresenta ancora, al di là del tempo trascorso un qualcosa di valido per il nostro Paese e per le sorti della nostra democrazia repubblicana? La domanda può apparire retorica perché induce al sì, ma retorica non lo è poiché c'è una pervicace persistenza tra le ragioni storiche di quell'esperienza e le difficoltà, altrettanto storiche, del nostro Paese a evolvere nel progresso di processi di libertà, democrazia e giustizia sociale. E soprattutto nell'incentivare quella conquista della modernità e dell'acquisizione di una conseguente mentalità collettiva che permetta di realizzare quella riforma intellettuale e morale del popolo italiano che è questione ultrasecolare della nostra vita nazionale, che la Costituzione peraltro ci ha fatto e continua a farci sperare, soprattutto oggi in un confuso e pericoloso passaggio storico-politico in cui sembra tramontare l'essenza stessa della democrazia e dello Stato che su di essa si fonda negando l'imprescindibile principio per cui lo “Stato di diritto” è quello governato dalle leggi e non dagli uomini. In altri termini, negando il principio stesso della legittimità. Oggi, che sembrano venire a sintesi i frutti, maturati dal naufragio dei partiti storici della democrazia italiana e che un vuoto di grandi dimensioni morali e di proposta politica fa emergere una dimensione del governo ridotto a governismo basato sulla rabbia egoistica, sull'odio sociale e sulle paure alimentate ad arte frantumando, giorno dopo giorno, i margini – in Italia non sempre solidi – della coesione sociale e nel quale sia la sinistra socialista che quella democratica non esistono più e in cui l'esigenza di un rinnovamento profondo del sistema, avvertita con tanta forza quanto con nullità di risultati dopo Tangentopoli, sembra urlare la propria messa in essere, non torna con forza, sempre che la si sappia e la si voglia cogliere, a imporsi la questione di una “rivoluzione democratica” ? Il giellismo esprime un campo più ampio rispetto a quello rappresentato dal socialismo liberale; entrambi, tuttavia, sono fattori del rossellismo, di Carlo Rosselli che novant'anni orsono indicava un cammino nuovo per l'Italia in un momento terribilmente buio per chi si opponeva alla dittatura sulla base di una decisa scelta dottrinaria che riguardava la concezione del socialismo nel quadro di un vero e proprio progetto fondativo per la democrazia italiana indicando un futuro, dando una speranza in chi l'aveva persa per la sconfitta delle forze politiche dello Stato liberale.
La storia non si ripete e non insegna, però ricorda e il passato ammonisce sempre; oggi, a novant'anni dalla fondazione di “Giustizia e Libertà”, in un passaggio critico della vicenda nazionale presente, il problema della riprogettualità della democrazia e del fatto che senza una consapevole cultura della democrazia – e nel caso del riferimento specifico a chi crede che il socialismo o è ”liberale” o non è – quel movimento politico conferma la validità dei propri presupposti e dei propri sviluppi e della figura di Carlo Rosselli quale solido innovatore dell'idea socialista nel Novecento e di pensatore della democrazia.

PAOLO BAGNOLI
("Nuova Antologia", Luglio-Settembre 2019, pp. 101-106)

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