"25 APRILE 2023" di Paolo Bagnoli
di Paolo Bagnoli
26-04-2023 - EDITORIALE
Ci siamo purificati, cittadini, col sangue dei figli migliori. Ed il sigillo di sangue abbiamo posto sul fascismo perché ogni ponte fosse rotto ed impossibile ogni ritorno verso il passato.
Sono parole di Ferruccio Parri nel Radiomessaggio indirizzato al popolo italiano in occasione della formazione del governo da lui presieduto. Leader della Resistenza armata, Parri la personifica e tutta la sua vita ci dice come egli sia uno degli italiani più alti del nostro Novecento; per capire cosa significhi amore della Patria, della libertà, della democrazia nonché i valori etici e morali della vita basta riandare alla sua vita spesa per gli ideali della giustizia e della libertà. Il suo governo – il governo della Resistenza – durò dal 21 giugno al 24 novembre 1945; mesi intensi e drammatici e la sua messa in crisi fu dovuta a un'ampia trama di Palazzo promossa dal partitismo di destra e di sinistra, motivato da ragioni diverse, ma convergente nel voler prendere la scena. Il governo da lui presieduto cadde, ma ciò non intaccò la sua spessa caratura morale. Rimase sempre Maurizio: punto di riferimento costante del partigianato e dell'Italia antifascista, di tutta l'Italia antifascista; non solo di una parte, non solo di quella del Partito in cui militava, il Partito d'Azione, che ebbe vita breve e gloriosa.
25 aprile ed è subito Parri. Anche quest'anno in cui la ricorrenza, da come succede dal 1994, anno dell'ascesa di Silvio Berlusconi al governo, è oggetto di polemica politica. La disputa sul suo significato è cominciata con la stagione berlusconiana e ogni anno è andata in onda, regolarmente, sempre suonando il solito spartito, in una baraonda di falsità, di ipocrisie, di riproposizione di questioni che puzzano di stantio, sia storico che politico. Tutti gli anni; quest'anno, essendo al governo l'ultima fioritura dell'albero piantato dal fascismo repubblicano, lo scenario della polemica è stato ancora più forte in un insieme di idiozie politiciste che si mixano. Riassumerle tutte è praticamente impossibile, ma se ancora si continua a sostenere che la Resistenza fu sostanzialmente “rossa” e che c'è bisogno di una “pacificazione” oppure che non c'è bisogno di dichiararsi antifascisti perché il termine “antifascista” nella Costituzione non appare, bisognerà pur domandarsi perché ciò avvenga e quali insidie si celino dietro tutto ciò. Certo che lo si può fare anche senza formalmente negare le radici della Repubblica, basta modificare la Costituzione nella sua fondante istituzionalità ed ecco che il gioco è fatto; poi, magari, si chiamerà necessario ammodernamento, ma a quel punto si risistema artatamente la storia d'Italia e si apre una pagina nuova con la Resistenza e l'antifascismo archiviati definitivamente inneggiando sicuramente alla pacificazione e all'assurdità della storia condivisa che non si capisce cosa vogliano dire. O meglio, si capisce bene: rendere l'onore del valore ideale a chi scelse Salò giustificandone la decisione in quanto “ragazzi” volendo indicare con la parola come la giovinezza di chi si arruolò nelle Brigare Nere, nella Guardia Nazionale Repubblicana, nelle SS italiane, nella X Mas, operò nelle bande Koch e Carità o rispose ai bandi del maresciallo Rodolfo Graziani, debba essere considerata come un dato che giustifica l'aver scelto la parte sbagliata. Ai morti di tutte le parti l'onore di tutti, ma le scelte politiche e i comportamenti che ne seguono non ammettono scusanti; e poi, come si fa, a parlare di pacificazione e riconciliazione – ciò vale anche per quanto disse Luciano Violante nel 1996 al momento di insediarsi alla presidenza della Camere – e poi parlare di guerra civile. In effetti ci fu. La Resistenza è stata anche una guerra civile; se non andiamo errati, Leo Valiani lo disse prima di Claudio Pavone senza nulla togliere, naturalmente, al suo pregevolissimo libro. E poi ancora “ragazzi”? Ma quelli che andarono in montagna o che si arruolarono nei Gruppi di Combattimento, cosa mai erano? Pensionati? Fuggiti da case di riposo? Ma via, almeno un po' di decoro! Sì, la resistenza fu anche una guerra civile con il carico di odio e di crudeltà proprio di tali scontri e con le scie lunghe e dolorose che esse lasciano oltre la fine formale del conflitto.
Di come sono andate le cose si sa e la storia non è cambiabile. In un discorso dai toni alti, forti e chiari tenuto a Cuneo, Sergio Mattarella ha richiamato in maniera ferma i fondamenti della Repubblica e il suo senso storico-politico che è un tutt'uno con quello dell'antifascismo. Un passaggio, in particolare, ci è parso rivolto alla destra e alla presidente del consiglio. Giorgia Meloni, infatti, ha concluso una lunga articolessa pubblicata il giorno della ricorrenza sul “Corriere della Sera” - scritta con il passo di una calibrata corsa sul posto, ben attenta a non sbilanciarsi - facendo capire che, sia quelli che avevano combattuto da una parte e quelli che lo avevano fatto sull'altra, dovevano tutti essere considerati “patrioti”. Mattarella è andato dritto al cuore del problema dicendo: “La Resistenza fu anzitutto una rivolta morale di patrioti contro il fascismo per il riscatto nazionale, un moto di popolo.”
Il fatto che si usi la storia politicamente non è certo una novità. Il 25 aprile ha vinto la libertà, ha vinto l'antifascismo e, in questo caso, l'essere contro il comunismo non c'entra proprio niente. La data che celebra la libertà riconquistata non è contaminabile con nulla o nient'altro che non sia la lotta contro il fascismo e il nazismo. I crimini del comunismo li conosciamo e benché il comunismo bolscevico sia caduto da un pezzo, Vladimir Putin ne rappresenta, tragicamente e drammaticamente, la coda astenica. Se il mondo, tuttavia, è riuscito a liberarsi da Hitler e Mussolini e dei vari fascismi che imperversavano un po' in tutta l'Europa lo dobbiamo anche agli ottocentomila morti caduti nella difesa di Leningrado assediata dalle truppe tedesche dal settembre 1941 al gennaio 1944. Dichiarare che celebrare la vittoria sul fascismo ha un senso “nazionale” solo se si fa dichiarazione di anticomunismo è un'operazione che non solo annacqua il senso “nazionale” e pluralistico che ebbe la Resistenza, ma significa privarla della sua specificità storica, politica, civile e morale; significa negare ciò che giustifica la Repubblica, ciò che rappresenta ed esprime la Costituzione, lo spirito e il senso della democrazia repubblicana. Fu un'Italia unita quella che prese le armi contro il nazifascismo; non ideologicamente, ma per spirito nazionale che accomunava uomini e donne di fede politica diversa: azionisti, socialisti, comunisti, democristiani, repubblicani, anarchici, liberali, monarchici, militari, si batterono in nome dell'Italia da liberare. Preti, suore, protestanti, ebrei li ritroviamo nella lotta comune contro il nazifascismo e quanti dettero la vita per quest'ideale che era superiore a ogni altro credo personale, fosse esso politico, filosofico o religioso; ma che storia condivisa: non ci può essere condivisione per l'inconfutabile realtà dei fatti, tra chi è dalla parte della libertà e chi no.
Il poco edificante spettacolo cui stiamo assistendo con una destra che non sarà mai antifascista così come va inteso il termine e che non riesce nemmeno a pronunciare la parola fascismo per nascondere quanto vi si senta culturalmente ancora legata e un campo opposto che si ricorda dell'antifascismo quando il calendario lo impone, ci dà ragione di una crisi generale dell'antifascismo medesimo, non formalmente abbandonato nel corso di tutti questi lunghi anni di crisi, del suo parlarne quasi solo in termini di retorica, nel considerarlo esclusivamente un passaggio della storia e non, come dovrebbe essere per l'Italia, di un dato politico permanente: è da lì, infatti, che dopo la fine della prima repubblica, da quei valori, che poi sono quelli costituzionali e dalla sua cultura corale, che si doveva ripartire per ricostruire il sistema democratico italiano, rifuggendo da ogni tentazione governista oppure da continui tentativi di cercar di saltare la propria ombra: un tentativo che non è mai riuscito a nessuno. Nel momento storico in cui ci sarebbe stato più bisogno, anzi necessità, di una reale ed efficace pedagogia repubblicana, si è preferito lasciar andare, rendersi schiavi della comunicazione rinunciando ai pensieri compiuti, consegnarsi al leaderismo alimentato dai social, al vuoto della consapevolezza culturale e pure alla bulimia dell'ignoranza fattuale – per esempio, per leggere le cose grandi dalla lente di quelle piccole un autorevole, così almeno riteniamo si creda lui, parlamentare del Pd affabulando sulla necessità di pacificare ha citato Ciampi che fu combattente nella guerra di liberazione come un partigiano della Brigata Maiella!!! - insomma, alla costruzione di quel vuoto politico che ha portato i pronipoti di Salò al governo del Paese e ridotto l'antifascismo alla sola data del 25 aprile. Il presidente Ciampi seppe precisare il senso fattuale della patria repubblicana partendo dal Risorgimento, dipanando il filo lungo dell'unitarietà nazionale nell'idea di libertà e con ciò, non solo rispose alla tesi assurda della morte della patria, ma esplicitò il nocciolo di una battaglia che da opposizione e Resistenza si era fatta di liberazione e questa riguardava tutti. La libertà era divenuta patrimonio di tutti gli italiani. Carlo Azeglio Ciampi veniva dalle file dell'antifascismo democratico, dal Partito d'Azione la cui sezione fondò appena rimise piede nella sua Livorno distrutta dalla guerra, divenendone segretario e come primo atto organizzò una celebrazione di Carlo e Nello Rosselli.
L'Italia antifascista, comunque, è scesa in piazza e, alla fine il 25 aprile è stato onorato. Ancor più onorato visto che quest'anno non ci sono state contestazioni allo striscione della Brigata Ebraica. Noi siamo andati a Sant'Anna di Stazzema ove il 12 agosto 1944 – il giorno dopo l'insurrezione di Firenze – tre reparti di SS insieme a militi della RSI – i famosi “ragazzi” - rastrellarono tutta la popolazione, uccidendo centinaia di civili, di cui solo 320 poterono essere riconosciuti con raffiche di mitra, bombe a mano, rivoltelle. L'obbiettivo era quello di soggiogare la popolazione al terrore, distruggere il paese e sterminare i civili per rompere ogni collegamento fra gli abitanti e le formazioni partigiane della zona. Nella motivazione della Medaglia d'Oro conferita al Comune di Stazzema per la strage di Sant'Anna e per quelle di quella parte della Versilia si parla di 560 vittime. Siamo saliti fino al Monumento Ossario di Sant'Anna memori delle parole di Piero Calamandrei che ricordava come la Costituzione sia stata scritta là dove si è caduti per mano nazifascista.
Da pacificare non c'è proprio niente; da riflettere c'è ancora molto; partire dalle citate parole di Ferruccio Parri può essere un buon avvio.
Sono parole di Ferruccio Parri nel Radiomessaggio indirizzato al popolo italiano in occasione della formazione del governo da lui presieduto. Leader della Resistenza armata, Parri la personifica e tutta la sua vita ci dice come egli sia uno degli italiani più alti del nostro Novecento; per capire cosa significhi amore della Patria, della libertà, della democrazia nonché i valori etici e morali della vita basta riandare alla sua vita spesa per gli ideali della giustizia e della libertà. Il suo governo – il governo della Resistenza – durò dal 21 giugno al 24 novembre 1945; mesi intensi e drammatici e la sua messa in crisi fu dovuta a un'ampia trama di Palazzo promossa dal partitismo di destra e di sinistra, motivato da ragioni diverse, ma convergente nel voler prendere la scena. Il governo da lui presieduto cadde, ma ciò non intaccò la sua spessa caratura morale. Rimase sempre Maurizio: punto di riferimento costante del partigianato e dell'Italia antifascista, di tutta l'Italia antifascista; non solo di una parte, non solo di quella del Partito in cui militava, il Partito d'Azione, che ebbe vita breve e gloriosa.
25 aprile ed è subito Parri. Anche quest'anno in cui la ricorrenza, da come succede dal 1994, anno dell'ascesa di Silvio Berlusconi al governo, è oggetto di polemica politica. La disputa sul suo significato è cominciata con la stagione berlusconiana e ogni anno è andata in onda, regolarmente, sempre suonando il solito spartito, in una baraonda di falsità, di ipocrisie, di riproposizione di questioni che puzzano di stantio, sia storico che politico. Tutti gli anni; quest'anno, essendo al governo l'ultima fioritura dell'albero piantato dal fascismo repubblicano, lo scenario della polemica è stato ancora più forte in un insieme di idiozie politiciste che si mixano. Riassumerle tutte è praticamente impossibile, ma se ancora si continua a sostenere che la Resistenza fu sostanzialmente “rossa” e che c'è bisogno di una “pacificazione” oppure che non c'è bisogno di dichiararsi antifascisti perché il termine “antifascista” nella Costituzione non appare, bisognerà pur domandarsi perché ciò avvenga e quali insidie si celino dietro tutto ciò. Certo che lo si può fare anche senza formalmente negare le radici della Repubblica, basta modificare la Costituzione nella sua fondante istituzionalità ed ecco che il gioco è fatto; poi, magari, si chiamerà necessario ammodernamento, ma a quel punto si risistema artatamente la storia d'Italia e si apre una pagina nuova con la Resistenza e l'antifascismo archiviati definitivamente inneggiando sicuramente alla pacificazione e all'assurdità della storia condivisa che non si capisce cosa vogliano dire. O meglio, si capisce bene: rendere l'onore del valore ideale a chi scelse Salò giustificandone la decisione in quanto “ragazzi” volendo indicare con la parola come la giovinezza di chi si arruolò nelle Brigare Nere, nella Guardia Nazionale Repubblicana, nelle SS italiane, nella X Mas, operò nelle bande Koch e Carità o rispose ai bandi del maresciallo Rodolfo Graziani, debba essere considerata come un dato che giustifica l'aver scelto la parte sbagliata. Ai morti di tutte le parti l'onore di tutti, ma le scelte politiche e i comportamenti che ne seguono non ammettono scusanti; e poi, come si fa, a parlare di pacificazione e riconciliazione – ciò vale anche per quanto disse Luciano Violante nel 1996 al momento di insediarsi alla presidenza della Camere – e poi parlare di guerra civile. In effetti ci fu. La Resistenza è stata anche una guerra civile; se non andiamo errati, Leo Valiani lo disse prima di Claudio Pavone senza nulla togliere, naturalmente, al suo pregevolissimo libro. E poi ancora “ragazzi”? Ma quelli che andarono in montagna o che si arruolarono nei Gruppi di Combattimento, cosa mai erano? Pensionati? Fuggiti da case di riposo? Ma via, almeno un po' di decoro! Sì, la resistenza fu anche una guerra civile con il carico di odio e di crudeltà proprio di tali scontri e con le scie lunghe e dolorose che esse lasciano oltre la fine formale del conflitto.
Di come sono andate le cose si sa e la storia non è cambiabile. In un discorso dai toni alti, forti e chiari tenuto a Cuneo, Sergio Mattarella ha richiamato in maniera ferma i fondamenti della Repubblica e il suo senso storico-politico che è un tutt'uno con quello dell'antifascismo. Un passaggio, in particolare, ci è parso rivolto alla destra e alla presidente del consiglio. Giorgia Meloni, infatti, ha concluso una lunga articolessa pubblicata il giorno della ricorrenza sul “Corriere della Sera” - scritta con il passo di una calibrata corsa sul posto, ben attenta a non sbilanciarsi - facendo capire che, sia quelli che avevano combattuto da una parte e quelli che lo avevano fatto sull'altra, dovevano tutti essere considerati “patrioti”. Mattarella è andato dritto al cuore del problema dicendo: “La Resistenza fu anzitutto una rivolta morale di patrioti contro il fascismo per il riscatto nazionale, un moto di popolo.”
Il fatto che si usi la storia politicamente non è certo una novità. Il 25 aprile ha vinto la libertà, ha vinto l'antifascismo e, in questo caso, l'essere contro il comunismo non c'entra proprio niente. La data che celebra la libertà riconquistata non è contaminabile con nulla o nient'altro che non sia la lotta contro il fascismo e il nazismo. I crimini del comunismo li conosciamo e benché il comunismo bolscevico sia caduto da un pezzo, Vladimir Putin ne rappresenta, tragicamente e drammaticamente, la coda astenica. Se il mondo, tuttavia, è riuscito a liberarsi da Hitler e Mussolini e dei vari fascismi che imperversavano un po' in tutta l'Europa lo dobbiamo anche agli ottocentomila morti caduti nella difesa di Leningrado assediata dalle truppe tedesche dal settembre 1941 al gennaio 1944. Dichiarare che celebrare la vittoria sul fascismo ha un senso “nazionale” solo se si fa dichiarazione di anticomunismo è un'operazione che non solo annacqua il senso “nazionale” e pluralistico che ebbe la Resistenza, ma significa privarla della sua specificità storica, politica, civile e morale; significa negare ciò che giustifica la Repubblica, ciò che rappresenta ed esprime la Costituzione, lo spirito e il senso della democrazia repubblicana. Fu un'Italia unita quella che prese le armi contro il nazifascismo; non ideologicamente, ma per spirito nazionale che accomunava uomini e donne di fede politica diversa: azionisti, socialisti, comunisti, democristiani, repubblicani, anarchici, liberali, monarchici, militari, si batterono in nome dell'Italia da liberare. Preti, suore, protestanti, ebrei li ritroviamo nella lotta comune contro il nazifascismo e quanti dettero la vita per quest'ideale che era superiore a ogni altro credo personale, fosse esso politico, filosofico o religioso; ma che storia condivisa: non ci può essere condivisione per l'inconfutabile realtà dei fatti, tra chi è dalla parte della libertà e chi no.
Il poco edificante spettacolo cui stiamo assistendo con una destra che non sarà mai antifascista così come va inteso il termine e che non riesce nemmeno a pronunciare la parola fascismo per nascondere quanto vi si senta culturalmente ancora legata e un campo opposto che si ricorda dell'antifascismo quando il calendario lo impone, ci dà ragione di una crisi generale dell'antifascismo medesimo, non formalmente abbandonato nel corso di tutti questi lunghi anni di crisi, del suo parlarne quasi solo in termini di retorica, nel considerarlo esclusivamente un passaggio della storia e non, come dovrebbe essere per l'Italia, di un dato politico permanente: è da lì, infatti, che dopo la fine della prima repubblica, da quei valori, che poi sono quelli costituzionali e dalla sua cultura corale, che si doveva ripartire per ricostruire il sistema democratico italiano, rifuggendo da ogni tentazione governista oppure da continui tentativi di cercar di saltare la propria ombra: un tentativo che non è mai riuscito a nessuno. Nel momento storico in cui ci sarebbe stato più bisogno, anzi necessità, di una reale ed efficace pedagogia repubblicana, si è preferito lasciar andare, rendersi schiavi della comunicazione rinunciando ai pensieri compiuti, consegnarsi al leaderismo alimentato dai social, al vuoto della consapevolezza culturale e pure alla bulimia dell'ignoranza fattuale – per esempio, per leggere le cose grandi dalla lente di quelle piccole un autorevole, così almeno riteniamo si creda lui, parlamentare del Pd affabulando sulla necessità di pacificare ha citato Ciampi che fu combattente nella guerra di liberazione come un partigiano della Brigata Maiella!!! - insomma, alla costruzione di quel vuoto politico che ha portato i pronipoti di Salò al governo del Paese e ridotto l'antifascismo alla sola data del 25 aprile. Il presidente Ciampi seppe precisare il senso fattuale della patria repubblicana partendo dal Risorgimento, dipanando il filo lungo dell'unitarietà nazionale nell'idea di libertà e con ciò, non solo rispose alla tesi assurda della morte della patria, ma esplicitò il nocciolo di una battaglia che da opposizione e Resistenza si era fatta di liberazione e questa riguardava tutti. La libertà era divenuta patrimonio di tutti gli italiani. Carlo Azeglio Ciampi veniva dalle file dell'antifascismo democratico, dal Partito d'Azione la cui sezione fondò appena rimise piede nella sua Livorno distrutta dalla guerra, divenendone segretario e come primo atto organizzò una celebrazione di Carlo e Nello Rosselli.
L'Italia antifascista, comunque, è scesa in piazza e, alla fine il 25 aprile è stato onorato. Ancor più onorato visto che quest'anno non ci sono state contestazioni allo striscione della Brigata Ebraica. Noi siamo andati a Sant'Anna di Stazzema ove il 12 agosto 1944 – il giorno dopo l'insurrezione di Firenze – tre reparti di SS insieme a militi della RSI – i famosi “ragazzi” - rastrellarono tutta la popolazione, uccidendo centinaia di civili, di cui solo 320 poterono essere riconosciuti con raffiche di mitra, bombe a mano, rivoltelle. L'obbiettivo era quello di soggiogare la popolazione al terrore, distruggere il paese e sterminare i civili per rompere ogni collegamento fra gli abitanti e le formazioni partigiane della zona. Nella motivazione della Medaglia d'Oro conferita al Comune di Stazzema per la strage di Sant'Anna e per quelle di quella parte della Versilia si parla di 560 vittime. Siamo saliti fino al Monumento Ossario di Sant'Anna memori delle parole di Piero Calamandrei che ricordava come la Costituzione sia stata scritta là dove si è caduti per mano nazifascista.
Da pacificare non c'è proprio niente; da riflettere c'è ancora molto; partire dalle citate parole di Ferruccio Parri può essere un buon avvio.