21 Novembre 2024

"CERCHIAMO DI RAGIONARE" di Paolo Bagnoli

30-01-2020 - EDITORIALE
L' Emilia-Romagna e la Calabria si sono espresse. Il risultato calabrese era praticamente scontato, mentre l'altro non lo era affatto. In questo vi si giocava una partita particolare. Matteo Salvini vi aveva puntato tutto se stesso subendo una cocente sconfitta; non è la prima, come è stato detto, perché dal Papeete in poi è stata tutta una sconfitta. Onori a Stefano Bonaccini per la vittoria con la quale ha trainato pure il buon successo percentuale del Pd; il suo partito che ha voluto tenere distante dalla campagna elettorale affidandosi a una coalizione civica per spostare l'asse del confronto dalla politica nazionale a quella del territorio; di quel territorio che gli ha riconosciuto, visto il vantaggio di quasi otto punti sulla sfidante, una buona amministrazione della cosa pubblica. A tale risultato hanno contribuito pure le sardine, ma ci è difficile capire in quale misura. Comunque, riportando la gente in piazza contro la destra, le sardine hanno svolto un'opera democratica di rilievo.
Bonaccini ha testimoniato di una tradizione di buon governo delle cose. Con ciò, non si può certo dire che l'Emilia rossa non è crollata perché essa non esiste da tempo; da quando non esiste più la sinistra, la quale, tuttavia, ha lasciato in piedi una tradizione di cui Bonaccini è valida espressione. La sconfitta di Salvini non significa che la destra sia sconfitta. Tutt'altro: essa è forte e agguerrita e, nella sua visione politica d'insieme, valorialmente ben più compatta rispetto agli antagonisti. Non si può pensare, quando ci saranno le elezioni nazionali, che la si possa battere solo giocando il buon governo di alcune amministrazioni. Inoltre, nonostante il buon risultato ottenuto in Emilia-Romagna, il Pd non appare in grado di porsi come l'alternativa perché alla destra occorre contrapporre una sinistra e non una forza incerta. E la sinistra, lo ripetiamo, non c'è. Tra l'altro il Pd, vista la dichiarata intenzione di Zingaretti di cambiare il profilo e il corpo del partito di cui è segretario, confessa autorevolmente quanti dubbi abbiano i diessini su se stessi. Il solo scudo del governo presieduto da Giuseppe Conte non basta; esso è debole, diviso e malfermo sulle proprie gambe e il tracollo –peraltro non difficile da immaginare – dei 5Stelle, ossia della forza maggioritaria nel Parlamento, non aiuta a fare massa critica di una coalizione nata per paura di Salvini. E' prevedibile che ci troveremo, presto, di fronte a nuove tensioni poiché il Pd chiederà di pesare di più e gli altri, per far vedere che non stanno scomparendo, faranno peso ritto. Basteranno le affabulazioni del presidente del consiglio per tenere in piedi la baracca? Ben presto lo sapremo; certo che, almeno per un altro anno, le ventilate elezioni anticipate sembrano congelate sia per il referendum sul taglio dei parlamentari sia per quanto ha fatto trapelare il Colle sulla relazione esistente tra il referendum e la nuova possibile legge elettorale. E poi il presidente Mattarella, ne siamo convinti, non è propenso allo scioglimento fino a che può accampare motivi formali o intravedere spazi da percorrere per tenere in piedi la legislatura. Dunque, vedremo.
Il voto calabrese fa meno notizia se non per quanto emerge dal risultato grillino. Per la legge elettorale calabrese, i grillini non entreranno in Consiglio; significa che cominciano a rimanere fuori dalle istituzioni. A poco a poco, saranno sempre più residuali sui territori. Quel risultato, però, ci dice una cosa molto importante. I 5Stelle considerano il Sud come un loro campo privilegiato nella raccolta del consenso e, poiché la Calabria è la regione che si trova più in arretrato di tutte, si poteva pensare che il reddito di cittadinanza portasse loro dei voti. Non è stato così, ma il respingimento di tale forma di assistenzialismo induce a una riflessione: la Calabria postula la rimessa in agenda nazionale della questione meridionale; una questione scomparsa da tempo. E' un segnale da tenere in seria considerazione.
La destra, abbiamo detto, è forte. Ora, anche se Salvini finisse per driblare definitivamente se stesso, essa rimarrebbe forte. La sua forza non è fisiologica come in una dialettica normale del gioco democratico, ma il frutto della crisi della democrazia italiana; della grave rottura della coesione sociale indispensabile per un corretto funzionamento dell'ordine politico cui va aggiunto lo smarrimento della cittadinanza repubblicana, derivante dalla Costituzione. Basti pensare alla forte ventata antisemita, all'attacco agli antifascisti, ai continui episodi di razzismo nonché ai comportamenti anticostituzionali che registriamo praticamente giorno dopo giorno. A ciò si aggiunge la opacità del Parlamento e un sistema giudiziario da riordinare dalla testa; dal CSM, al fine di garantire l'autonomia e l'indipendenza del sistema.
La crisi non è risolta da una nuova legge elettorale. Tra l'altro, visto che in questi giorni ci si è affaccendati, soprattutto da parte di esponenti diessini, a leggere il quadro postelettorale come attinente a un nuovo maggioritario, se così è – noi non lo crediamo – ma se così è, perché si sta trattando su una legge proporzionale? Recentemente Dario Franceschini (“Corriere della Sera”,24 gennaio u.s.) ha dichiarato: “L'idea che il bipolarismo sia figlio del maggioritario e che il proporzionale sia il suo nemico, è smentito dalla storia italiana. Per cinquant'anni, con il proporzionale senza lo sbarramento, la vita politica del nostro Paese è sostanzialmente ruotata attorno al confronto bipolare tra Dc e Pci.” Ma che ragionamento è questo! Il Pci era impossibilitato ad andare al governo del Paese e la Dc non era in funzione bipolare, ma di asse centrale di tutto il sistema. Naturalmente, le cose che dice Franceschini sono per mettere le mani avanti, in funzione motivante, dell'intruglio che si tenta di preparare, affermando: ”Con l'avvento del maggioritario(…)siamo finiti nella frammentazione, nei ribaltoni, nelle coalizioni disomogenee . In realtà il motore di tutto è l'azione politica. E ritengo che il proporzionale con uno sbarramento al 5% semplificherà ulteriormente il quadro. E porterà a un bipolarismo di fatto Lega-Pd, ognuno con i propri alleati che avranno superato lo sbarramento.”
Tralasciando ogni altra considerazione in merito a questioni assai rilevanti connessi alla legge elettorale – dicesi preferenze o liste bloccate - è chiaro che si punta alla cancellazione delle forze minoritarie e alla loro eventuale necessarietà solo in ausilio di questo o di quell'altro pilastro su cui si reggono i poli. La legge elettorale non può essere una camicia di Nesso che ingessa quanto è inconcepibile con la democrazia ossia la dinamicità della politica democratica e della sua rappresentanza.
La confusione, una preoccupante confusione, ci sembra di buon livello. Su tutto, inoltre, grava la questione di fondo aperta con la crisi di inizio anni Novanta: si ritiene che l'Italia possa essere una democrazia senza partiti e solo articolantesi sui soggetti che si costituiscono solo quando è in ballo la contesa per il governo, sia esso locale o nazionale? Ora, a vedere l'esito emilian-romagnolo, si direbbe proprio di sì. La democrazia, però, non è solo governo: è un progetto morale, civile, economico e politico. La nostra Costituzione, tra l'altro, recita che, quella italiana, non può essere una democrazia senza progetto; tuttavia, senza i partiti, i progetti non ci possono essere. Ci sono elezioni e uomini per governare; venendo viene meno quella pedagogia civile che è fondamentale, appunto, per l'incivilimento del Paese.
Ancora una volta, invitiamo a ragionare, riflettere, fare della politica un pensiero compiuto, non solo un complesso di etichette accattivanti da mettere sul mercato del consenso.
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