"CONTE, MAX PLANK E LE ‘PARTICELLE ELEMENTARI’ DI SCALFARI"
26-07-2020 - DIARIO POLITICO di Giuseppe Butta'
Eugenio Scalfari, dopo aver parlato del futuro di Conte, chiude il suo editoriale domenicale su ‘La Repubblica' del 28 giugno scorso riproponendoci la sua visione cosmologica di un Essere caotico ed energetico che ha prodotto la nostra specie e, quindi, anche lui; alla fine dell'articolo, Scalfari cortesemente ci ringrazia per averlo «letto ancora una volta» e si scusa con i lettori per non aver tenuto fede alla promessa di parlare solo di «argomenti profondamente lontani dalla politica».
Confesso di non essere suo assiduo lettore né, tanto meno, estimatore, e di essere stato spinto a leggere questo suo nuovo articolo dedicato a Giuseppe Conte, anzi al vaticinio del suo futuro, solo dalla curiosità di sapere che cosa Scalfari avrebbe potuto mai aggiungere dopo che, in un articolo precedente, aveva messo sullo stesso piano Conte e Cavour.
Non sono rimasto deluso; questa volta Scalfari ha abbondato: i parametri storici che egli propone per misurare Conte – in quanto «liberale di centrosinistra» – sono De Gasperi, Saragat, Ciampi, Luigi Einaudi, che «cominciarono come governanti e conclusero come presidenti della Repubblica».
Scalfari ammette però che Conte «non è persona caratterizzata» per una «carica come quella di Presidente della Repubblica»: è un giudizio che condividiamo pienamente e facciamo gli scongiuri perché mai gli possa cadere addosso questo destino contro natura.
Ma egli aggiunge che, piuttosto, Conte è «nato come primo ministro e col passare dei mesi la sua capacità in questo tipo di incarico è abbastanza aumentata». Anche su questo siamo d'accordo ma – mentre Scalfari si compiace del fatto che «Conte ha capito che l'Italia è formata soprattutto da regioni e città e dovrebbe dunque avere la capacità di guidare contemporaneamente la nazione e le regioni» – noi ci limitiamo a prendere atto del fatto che l'attuale Presidente del Consiglio ha aumentato la sua già notevole capacità naturale di galleggiamento.
Non si capisce però perché, dopo avere detto che «Conte ha il pregio dell'intelligenza ma il difetto di una limitata volontà», Scalfari finisca il suo ragionamento citando «la canzone di un'antica reclame: ‘canto quel motivetto/ che mi piace tanto/ e che fa dudu-dudu/ dudu-dudu'» e concluda così: «Speriamo bene»; né si capisce il nesso tra questa bella canzone e la speranza': in che cosa?
Forse quella speranza, che abbiamo già visto trasudare dal ‘pensiero' di Scalfari, di avere un capo per il suo partito, ‘trasformistico'.
Come lui stesso dice chiedendo scusa ai lettori, non c'è alcun nesso tra la prima parte dell'articolo, tutta politica, e la conclusione dedicata «nientemeno alle particelle elementari e ai quanti, ad Albert Einstein e a Max Planck» – temi che certamente egli conosce alla perfezione – e al bisogno del Divino che, a suo dire, «è sempre esistito nelle Anime che del Divino fanno parte».
E, in verità, non c'era bisogno di scuse perché comprendiamo benissimo le ragioni di questi suoi voli pindarici, cioè che ormai, in Scalfari, la fantasia galoppa sfrenatamente arrampicandosi sugli specchi, anche deformanti. Lo conferma anche la chiusa, in neretto, nella quale Scalfari ricorda che Cervantes e Shakespeare morirono praticamente nello stesso giorno: «ogni tanto queste coincidenze capitano e ci fanno pensare all'Arte e alla Bellezza».