"I DUE CONTRATTI" di Paolo Bagnoli
28-03-2019 - EDITORIALE
L’Italia del tempo presente è il risultato di quanto è stata la seconda repubblica. La somma di tanti addendi del processo decoattivo della politica democratica in moto nel nostro Paese. Un populismo sovranista e un demagogismo governista che vengono da lontano e che si originano, sia nella prima fase che in quella attuale, da un medesimo fattore costitutivo: il contratto. Ovvero, un patto tra due populismi: uno confuso e infantile, un altro cinico e d’ordine.
L’ideatore del metodo fu Silvio Berlusconi il quale, in diretta dallo studio di Bruno Vespa, firmò un contratto con gli italiani contenente quanto avrebbe realizzato se il suo partito fosse andato al governo. Si trattò di una trovata pubblicitaria assai efficace. Nella mentalità sagraiola del nostro popolo, sempre voglioso di seguire un domatore di circo, il contratto fece presa. Con quell’ atto, che evoca un qualcosa di vincolante, Berlusconi inaugurò la stagione del populismo; il valore della relazione diretta che si instaurava tra lui e il popolo. Se non ce l’avesse fatta non sarebbe stato per colpa sua, ma perché ci sarebbero state forze mobilitate contro il popolo, tanto che, a giustificazione di ciò che non riusciva a fare – e nel quale invero non credeva nemmeno lui – tirò fuori la categoria di coloro che remavano contro. Intendiamoci, remavano sì contro di lui, ma ben più che a lui andavano contro a quel popolo che a lui si era stretto in un contratto che lui aveva solennemente firmato dal notaio Vespa.
Il governo gialloverde – ma oramai bisogna dire verdegiallo – si basa su un sempre strombazzato “contratto di governo” firmato, questa volta, dai leader delle due formazioni e affidato per la realizzazione al presidente del consiglio. Ossia, a una personalità politicamente nulla; un grillino che fa finta di essere in sonno e che tira avanti spargendo verità lunari con dichiarazioni di irreale comicità quale quella che quest’anno sarebbe stato “bellissimo”. Alleluja! Balliamo gioiosi sull’orlo del tracollo economico spacciando politiche di assistenza per chi si considera senza speranza come interventi destinati a produrre lavoro e un futuro migliore. Non solo, ma se volessimo abbozzare un bilancio sulla situazione in cui si trova oggi l’Italia - un Paese fragile che dovrebbe temere l’isolamento - vediamo come essa si trovi, invece, nella più completa solitudine. Sul Tav siamo sconfessati da Macron; sull’operazione Cina siamo isolati dall’asse franco-tedesco; la Casa Bianca ci guarda torto per la faccenda degli F35 e per il Venezuela; sulla Libia non abbiamo portato a casa niente considerato che, oramai, il generale Haftar sta arrivando a Tripoli. Tutto ciò va a carico di Conte, pomposamente definitosi “avvocato del popolo”, in quanto presidente di un “governo del popolo”.
A nostro avviso la formula del “contratto” –ossia di un patto governista in cui ognuno fa di banda all’altro nel perseguimento del proprio interesse – è la logica conseguenza del percorso improprio con il quale si è arrivati a questo governo. Intendiamoci: è nella pienezza della legittimità democratica che due forze facciano maggioranza e diano vita ad un governo se hanno i numero in Parlamento; un governo che si basi su una maggioranza politica, però, che elabora una comune visione delle cose da fare, non su un “contratto” che, invece, di una visione ne garantisce due. Insomma, è tutto un pasticcio e in democrazia, prima o poi, i pasticci si pagano. Assai caramente.
Rispetto al populismosovrandemagogico di oggi, quello di Berlusconi fa quasi tenerezza, tanto appare furbescamente arretrato, mentre l’attuale è assai sofisticato come ci dice la sapiente regia comunicativa che lo amministra. Tra i due contratti si seppellisce la prima e la seconda repubblica. Quanto ‘c’è di mezzo tra il cavaliere e i dioscuri sono state solo corse sul posto. In Italia, paese dei furbi per definizione, il populismo si lega al “contratto”; furbo il primo, furbissimo il secondo. Alla fine, però, la realtà incalza e, a un anno dal voto, siamo ad una crisi acutissima, piena di conseguenze rischiose. Siamo già al compimento del ruolo propulsivo della bugia elevata ad arte di governo. E’ proprio vero che, alla fine, tutte le volpi finiscono in pellicceria: una constatazione non certo consolatoria.