"LA DIFFERENZA – 1"
26-10-2017 - STORIE&STORIE
Quando, appena diplomato, mi iscrissi al PSI, nel lontano 1957, la cosa suscito´ stupore e curiositá nel ristretto e classista ambiente universitario della mia cittá., un grosso centro agricolo siciliano, gravato da un alto tasso di analfabetismo e di semianalfabetismo.
Gli studenti, a parte la massa informe dei soliti ignavi, allora gravitavano in gran parte nell´area monarchica e neofascista, ferma restando una compatta presenza di clericali (clericali, non cattolici).
I miei amici e colleghi, dunque, presero a gareggiare fra loro per confrontarsi con me, da poco entrato in un mondo a loro del tutto sconosciuto, ma istintiamente osteggiato.
La domanda che essi piú frequentemente mi ponevano era: „Ma qual´é la differenza?".
Intendevano dire: la differenza fra socialisti (in cittá un pugno di volenterosi) e comunisti (un gruppo dirigente agguerrito che guidava una massa di seimila braccianti).
Se la mia risposta fosse stata evasiva o insoddisfacente, essi ne avrebbero immediatamente tratto l´auspicata conclusione che i socialisti erano uguali agli odiati comunisti; o, peggio, che ne erano la brutta copia, i soliti utili idioti, i servi, insomma, del Male; mentre io, povero sciocco, sarei stato etichettato come uno che voleva fare l´originale a tutti i costi, praticamente come un tipo stravagante.
Confesso che a me, ormai membro della parte minoritaria di una sinistra essa stessa minoritaria, la domanda recava non pochi imbarazzi. E mi arrampicavo – fatti d´Ungheria a parte – in risposte del tipo: „I comunisti hanno votato contro l´ingresso dell´Italia nel MEC, mentre i socialisti si sono astenuti!". Da ridere.
Oggi, a sessant´anni di distanza, sotto il peso degli anni e dell´esperienza, non avrei certo bisogno di spulciare le cronache parlamentari per rispondere a quella maliziosa domanda.
Eccola, la mia risposta: il laicismo, contrapposto al dogmatismo.
Il socialista, per costume mentale, si tratti di un riformista di destra o di un rivoluzionario di sinistra, é uno che ha appreso la lezione dell´Illuminismo, uno per il quale non ci sono veritá assolute e definitive. Per lui tutto puo´ essere messo in discussione, dibattuto, criticato, modificato. Anche per questo, specialmente dal secondo dopoguerra in poi, c´é stato un incessante via vai tra PSI e PSDI, segno di un´irrequietezza culturale che difficilmente si riscontra in altri movimenti politici. Il socialista ha bisogno della libertá come dell´aria che respira, il socialismo a cui mira non é che la democrazia esaltata al massimo.
Certo questo libero pensare ha prodotto quella che Nenni chiamo´ l´orgia delle scissioni, tuttavia sempre ingentilita dalla parola „compagno" che univa ed unisce i militanti di tutte le scuole e di tutte le formazioni socialiste..
Il comunista, invece, ha bisogno di certezze, di testi sacri, quali diventano per lui, a seconda delle inclinazioni, gli scritti di Marx, di Lenin, di Trotsky, di Mao. Ha bisogno del partito forte e compatto, del „migliore" tra i capi che sappia cosa fare, dello Stato-guida e del partito-guida.
In gioventú frequentavo un gruppo di cari amici comunisti, che quando mi vedevano arrivare lanciavano, per celia, un simpatico gridolino di „sfotto´": „Chiudete le finestreee!" Intendendo, con quell´allusione, dire che nel PSI c´erano le correnti, mentre il PCI marciava, unito e compatto, verso un luminoso avvenire. Per loro la corrente portava raffreddore, ma per me portava aria fresca.
I loro congressi locali, orchestrati all´insegna del soffocante centralismo democratico, erano spesso la replica di un´eterna liturgia, una sfilata precostituita di „rappresentanti": della sezione, dei giovani, delle donne, dei sindacalisti, degli agricoltori, ognuno col suo prevedibile copione: un libro, il loro, di cui si conosceva giá l´ultima pagina, quella della lista unica degli „indicati" (a ricoprire gli incarichi direttivi) dalla „Commissione elettorale", designata con la supervisione della Federazione.
Da noi i congressi, almeno quando si facevano davvero, erano il regno dell´imprevedibile, una recita a soggetto in cui tutto poteva accadere.
Forse qualcuno dirá: „Ma non é meglio regolamentare un po´, magari per evitare personalismi e divisioni che non fanno certo bene al partito?" Sí, d´accordo.
Ma, dovendo scegliere tra il pluralista e democratico caos di un circo Barnum (cosí Gramsci definí il PSI) e il martorio di una caserma, i socialisti preferiscono il primo, mentre i comunisti si trovano meglio nella fredda e rassicurante disciplina militaresca, dove tutto scorre lineare e senza scosse.
P.S. Qualcuno forse si chiederá: - Ma quel numero 1 nel titolo che significa?
Ebbene: lo saprá il mese prossimo.
Gli studenti, a parte la massa informe dei soliti ignavi, allora gravitavano in gran parte nell´area monarchica e neofascista, ferma restando una compatta presenza di clericali (clericali, non cattolici).
I miei amici e colleghi, dunque, presero a gareggiare fra loro per confrontarsi con me, da poco entrato in un mondo a loro del tutto sconosciuto, ma istintiamente osteggiato.
La domanda che essi piú frequentemente mi ponevano era: „Ma qual´é la differenza?".
Intendevano dire: la differenza fra socialisti (in cittá un pugno di volenterosi) e comunisti (un gruppo dirigente agguerrito che guidava una massa di seimila braccianti).
Se la mia risposta fosse stata evasiva o insoddisfacente, essi ne avrebbero immediatamente tratto l´auspicata conclusione che i socialisti erano uguali agli odiati comunisti; o, peggio, che ne erano la brutta copia, i soliti utili idioti, i servi, insomma, del Male; mentre io, povero sciocco, sarei stato etichettato come uno che voleva fare l´originale a tutti i costi, praticamente come un tipo stravagante.
Confesso che a me, ormai membro della parte minoritaria di una sinistra essa stessa minoritaria, la domanda recava non pochi imbarazzi. E mi arrampicavo – fatti d´Ungheria a parte – in risposte del tipo: „I comunisti hanno votato contro l´ingresso dell´Italia nel MEC, mentre i socialisti si sono astenuti!". Da ridere.
Oggi, a sessant´anni di distanza, sotto il peso degli anni e dell´esperienza, non avrei certo bisogno di spulciare le cronache parlamentari per rispondere a quella maliziosa domanda.
Eccola, la mia risposta: il laicismo, contrapposto al dogmatismo.
Il socialista, per costume mentale, si tratti di un riformista di destra o di un rivoluzionario di sinistra, é uno che ha appreso la lezione dell´Illuminismo, uno per il quale non ci sono veritá assolute e definitive. Per lui tutto puo´ essere messo in discussione, dibattuto, criticato, modificato. Anche per questo, specialmente dal secondo dopoguerra in poi, c´é stato un incessante via vai tra PSI e PSDI, segno di un´irrequietezza culturale che difficilmente si riscontra in altri movimenti politici. Il socialista ha bisogno della libertá come dell´aria che respira, il socialismo a cui mira non é che la democrazia esaltata al massimo.
Certo questo libero pensare ha prodotto quella che Nenni chiamo´ l´orgia delle scissioni, tuttavia sempre ingentilita dalla parola „compagno" che univa ed unisce i militanti di tutte le scuole e di tutte le formazioni socialiste..
Il comunista, invece, ha bisogno di certezze, di testi sacri, quali diventano per lui, a seconda delle inclinazioni, gli scritti di Marx, di Lenin, di Trotsky, di Mao. Ha bisogno del partito forte e compatto, del „migliore" tra i capi che sappia cosa fare, dello Stato-guida e del partito-guida.
In gioventú frequentavo un gruppo di cari amici comunisti, che quando mi vedevano arrivare lanciavano, per celia, un simpatico gridolino di „sfotto´": „Chiudete le finestreee!" Intendendo, con quell´allusione, dire che nel PSI c´erano le correnti, mentre il PCI marciava, unito e compatto, verso un luminoso avvenire. Per loro la corrente portava raffreddore, ma per me portava aria fresca.
I loro congressi locali, orchestrati all´insegna del soffocante centralismo democratico, erano spesso la replica di un´eterna liturgia, una sfilata precostituita di „rappresentanti": della sezione, dei giovani, delle donne, dei sindacalisti, degli agricoltori, ognuno col suo prevedibile copione: un libro, il loro, di cui si conosceva giá l´ultima pagina, quella della lista unica degli „indicati" (a ricoprire gli incarichi direttivi) dalla „Commissione elettorale", designata con la supervisione della Federazione.
Da noi i congressi, almeno quando si facevano davvero, erano il regno dell´imprevedibile, una recita a soggetto in cui tutto poteva accadere.
Forse qualcuno dirá: „Ma non é meglio regolamentare un po´, magari per evitare personalismi e divisioni che non fanno certo bene al partito?" Sí, d´accordo.
Ma, dovendo scegliere tra il pluralista e democratico caos di un circo Barnum (cosí Gramsci definí il PSI) e il martorio di una caserma, i socialisti preferiscono il primo, mentre i comunisti si trovano meglio nella fredda e rassicurante disciplina militaresca, dove tutto scorre lineare e senza scosse.
P.S. Qualcuno forse si chiederá: - Ma quel numero 1 nel titolo che significa?
Ebbene: lo saprá il mese prossimo.
Fonte: di FERDINANDO LEONZIO