02 Luglio 2024

"MIDAS ´76 (Da DE MARTINO a CRAXI)"

28-07-2020 - STORIE&STORIE

Francesco De MartinoBettino Craxi












Bettino Craxi
Francesco De Martino

Dopo la seconda scissione socialdemocratica (1) del 4 luglio 1969, guidata da Mario Tanassi (2), i socialisti del PSI sembrarono essersi ricompattati, sull'onda dello spirito di partito, ormai libero dalle contraddizioni che la breve convivenza col PSDI (1966-69) aveva comportato sul piano politico ed ideologico; ed erano in netta ripresa, anche come immagine (3), essendo praticamente tornato il PSI ad essere il rappresentante piú accreditato del socialismo italiano.

Dopo la scissione la geografia politica interna del PSI appariva formalmente semplificata: esso era governato da „un grande centro“ assai poco omogeneo e brulicante delle istanze piú varie, che ruotava principalmente attorno alle figure di Francesco De Martino e di Giacomo Mancini e che aveva, alla sua destra la vecchia corrente nenniana di „autonomia socialista“, ora guidata dal delfino di Nenni, Bettino Craxi (4) e, alla sua sinistra, la inossidabile corrente lombardiana di „sinistra socialista“, ancora ispirata dal vecchio leader, ma sempre piú pilotata dal suo „braccio destro“ Claudio Signorile (5).

A scardinare questa nuova „sistemazione“ degli assetti interni ci penso' il nuovo correntismo, ben presto affiancato dal nuovo „carrierismo“ di taluni.
Con la differenza che le nuove correnti che andavano affiorando non erano divise da differenti visioni strategiche o tattiche, come quelle di una volta, ma piuttosto dall'appartenenza ai vari „gruppi“, poi detti, in senso piú spregiativo, anche „cordate“, che si andavano coagulando nelle sezioni e nelle federazioni attorno ai vari ras locali, finendo poi per collocarsi sotto la bandiera di uno dei grandi leader del partito. Lo stesso linguaggio si andava adeguando alla nuova situazione personalizzandosi (6) sempre piú e si passava allegramente da una „corrente“ all'altra, a seconda delle prospettive di potere.
Tali „correnti“ divennero ben presto „partiti nel partito“, che si riunivano prima delle riunioni degli organi statutariamente preposti, per concordare atteggiamenti comuni da tenere nelle sedi ufficiali.
A risentirne furono soprattutto l'organizzazione del partito in quanto tale e i militanti di base, che sempre piú sentivano di non contare nulla nelle scelte del partito, adottate in sedi diverse da quelle statutarie. La crisi organizzativa, divenuta crisi della democrazia interna e dunque di credibilitá, non poteva non riversarsi anche sul piano elettorale.
Un campanello di allarme fu rappresentato dai risultati delle elezioni politiche del 7-8 maggio 1972, in cui il PSI tocco' il suo minimo storico (7).

Il 39° congresso del PSI (Genova, 9-12/11/1972) registro' il ritorno di De Martino alla segreteria, a capo di una maggioranza interna del 58 %, composta dalla corrente, da lui capeggiata, di „Riscossa“ (che aveva assorbito quella di „Impegno Socialista“ di Giolitti), e da quella, ad essa alleata, di „Autonomia“ (Craxi), disponibile a ridar vita ad un centro-sinistra riformatore (8).
Un forte segnale negativo fu l'aver posto, al vertice del partito un „Ufficio Politico“ composto dai capi-corrente (9), che dunque ufficializzava il sistema delle correnti che si diceva di voler superare.

Il periodo successivo fu caratterizzato da una serie di avvvenimenti, interni e internazionali, in cui il PSI sembro' riprendere il ruolo di protagonista della politica italiana: la formazione di vari governi, prima di centro-sinistra e poi di centro, presieduti da Rumor, Moro e Andreotti, la battaglia per la difesa della legge „“Fortuna (PSI)-Baslini (PLI)“ sul divorzio, vinta dallo schieramento antiabrogazionista (10), il colpo di Stato in Cile contro il governo del socialista Salvador Allente, il ritorno della democrazia in Portogallo e in Grecia, la confluenza nel PSI (marzo 1976) del Movimento Unitario di Iniziativa Socialista (MUIS), coordinato da Paolo Pillitteri (11).

Al 40° congresso del PSI (Roma, 3-7 marzo 1976) non ci furono mozioni contrapposte e fu unanimente approvata la linea dell'alternativa socialista che auspicava una graduale transizione al socialismo, nel rispetto della democrazia e della libertá. Non era molto chiaro pero' quale condotta tenere, fino a quando non si fossero realizzate le condizioni politiche ed elettorali per attuare in concreto tale linea. Non essendoci stata votazione, la composizione del Comitato Centrale fu „concordata“. E' ovvio, fra i capicorrente (12).
Alla segreteria del partito fu riconfermato Francesco De Martino, con vicesegretari Giovanni Mosca („Riscossa“) e Bettino Craxi („Autonomia“).

Al trionfalismo socialista non corrispondeva pero' un'univoca comunicazione all'esterno della linea politica adottata dal congresso. Nei mesi precedenti le elezioni politiche del 20-21 giugno 1976 molti dirigenti, tutti abbastanza sicuri dell'imminente vittoria, di cui non conoscevano solo le proporzioni, si esibivano in una serie di prese di posizione, tali da ingenerare nell'elettorato non poche perplessitá: chi parlava di rapporto preferenziale con la DC, chi di fine del centro-sinistra, chi di alternativa, chi di governo delle sinistre, chi di governo di emergenza, chi perfino di monocolore socialista. Da ultimo il proposito di voler includere il PCI nell'area governativa enunciato poco prima del voto dal segretario del partito, riassunto nello slogan mai piú al governo senza il PCI: cosa che probabilmente provoco' una fuga dell'elettorato piú a sinistra verso il PCI, mentre chi era fautore di una netta distinzione nei confronti dei comunisti si oriento' verso altre formazioni.
Inoltre era mancato un coerente impegno del vertice del partito contro i gruppi e gruppetti che scorazzavano e starnazzavano nelle sezioni e nelle federazioni, all'incessante ricerca del potere e del sottopotere, finendo per pesare negativamente sull'immagine di sé che il PSI proiettava all'esterno.

L'esito, benché prevedibile, non fu previsto e risulto' assai inferiore alle aspettative: il PSI si attesto' al 9,64 % alla Camera con 57/630 seggi e al Senato al 9,8 % e 29/315 seggi.
Non c'era stato pero' nessun crollo del PSI, semmai una riconferma del suo minimo storico di quattro anni prima; ma, di fronte all'avanzata auspicata e percepita, sembro' un cataclisma, specialmente se paragonato al recupero della DC (38,7 %) e alla nuova sostanziosa avanzata del PCI (34,4 %) (13).

Ne seguí lo sbandamento del gruppo dirigente, ora proteso alla ricerca delle cause del mancato successo e ai rimedi per garantire al partito uno spazio e una caratterizzazione politici che ne valorizzassero la storia e la funzione nella societá italiana. Non manco' - fa sempre comodo – la ricerca di un capro espiatorio, a parte le solite riflessioni sulle correnti degenerate in „aree“, gruppi“, „cordate“ che alimentavano il distacco tra gli oligarchi del vertice e la base socialista, e sulla insufficienza dell'organizzazione.
Fu soprattutto giudicato un grave errore l'aver messo al centro della campagna elettorale la „questione comunista“, cioé la volontá di sostenere la partecipazione del PCI al governo del Paese.

La prima istintiva reazione, giá all'indomani delle elezioni, fu la presentazione delle dimissioni dall'incarico da parte del vicesegretario Giovanni Mosca.
Intanto una forte fibrillazione si stava diffondendo nel PSI, soprattutto nelle sue ali estreme, la sinistra e gli autonomisti, ma non risparmiando „il grande centro“ che guidava il partito e neppure Riscossa, la corrente capeggiata da De Martino, in cui si prendeva coscienza della contraddizione di fondo della politica socialista, oscillante tra la prospettiva di superamento del centro-sinistra e la pratica del quadripartito.

Mentre sembrava prendere corpo l'intesa DC-PCI, con l'elezione del democristiano Amintore Fanfani alla presidenza del Senato e del comunista Pietro Ingrao a quella della Camera, e si preparavano gli accordi che daranno vita al 3° governo Andreotti, detto della non sfiducia (14) o di solidarietá nazionale, il pomeriggio del 12 luglio, all'hotel Midas di Roma iniziava la riunione del Comitato Centrale del PSI, con l'introduzione di Nenni (15) e quindi con la relazione del segretario De Martino.

Il giorno dopo, 13 luglio 1976, un documento presentato da Enrico Manca, giá delfino di De Martino, in cui si invitava il partito a dare concreta operativitá al superamento delle attuali correnti organizzate, venne approvato all'unanimitá dal C.C. Un simile documento obiettivamente spezzava ogni solidarietá di gruppo e dava libertá di movimento ai singoli membri del C.C. e in particolare ai leader emergenti. De Martino sembro' sottovalutare il fermento che agitava il PSI, ritenendolo frutto di un'esigenza di rinnovamento generazionale, mentre – dirá anni dopo – si mirava ad una trasformazione del partito che lo avrebbe snaturato.
Successivamente i rappresentanti della sinistra nella Direzione (16) annunciarono di dimettersi dalla stessa per favorire un profondo rinnovamento delle strutture del partito, invitando gli altri componenti a seguire il loro esempio.

A questo punto venne a galla quella che, piú o meno impropriamente, sará detta la rivolta dei quarantenni ed anche la congiura del Midas, che indusse quel vecchio gentiluomo che era De Martino, illustre professore di Diritto Romano, a rassegnare le dimissioni da segretario nazionale (17), subito seguito dalla Direzione in blocco (18).
Nella notte tra il 15 e il 16 luglio, il C.C. elesse, a scrutinio segreto, la nuova Direzione del Partito, cui spettava statutariamente l'elezione del nuovo segretario nazionale. Essa risulto' composta di 31 membri, di cui 18 parlamentari e 13 non parlamentari, cosí ripartiti: 3 autonomisti (19), 7 „manciniani“ (20), 6 „lombardiani“ (21), 13 ex „demartiniani“ (22). De Martino, per sua volontá, non entro' nella nuova Direzione. Il sistema correntizio, poco prima uscito dalla porta, rientrava dalla finestra!
Il Comitato Centrale si chiuse con l'approvazione di un documento politico che invitava il Partito ad una riflessione sistematica, capace di fargli superare la fase critica della sua presenza nella societá.

Si aprí dunque il problema della successione a De Martino nella segreteria, a cui si dedicarono i nuovi capi emergenti, in particolare Enrico Manca, ora a capo di un sottogruppo di demartiniani dissidenti, Claudio Signorile, di fatto nuovo leader della sinistra „lombardiana“, i quarantenni Fabrizio Cicchitto, Gianni De Michelis, Antonio Landolfi, Bettino Craxi.
Inizialmente emersero tre possibili candidature: quelle di Enrico Manca, di Antonio Giolitti e di Bettino Craxi. Quella di Manca non poté decollare, perché sembro' inopportuno sostituire De Martino con chi gli era stato piú vicino; quella di Giolitti, invano sostenuta da Riccardo Lombardi, trovo' ostacoli insormontabili nel suo presunto carattere distaccato e lontano dagli umori della base.
L'impulso a scegliere Craxi partí principalmente da Giacomo Mancini, vecchio rivale di De Martino.
Il 16 luglio 1976 Bettino Craxi fu eletto segretario nazionale con 23 voti a favore e 8 astensioni (23).

Su proposta di Craxi venne poi nominata una segreteria di cui facevano parte, oltre naturalmente il segretario, i cosiddetti colonnelli, gli ex demartiniani Enrico Manca e Salvatore Lauricella, il lombardiano Claudio Signorile e il manciniano Antonio Landolfi (24).

Alla fine della riunione Riccardo Lombardi dichiaro': L'elezione di Craxi é il fatto piú negativo del recente Comitato centrale socialista..., senza tuttavia apparire allarmato di cio', giacché aggiunse: Il nuovo segretario ha poteri estremamente limitati.
A favore della scelta di Craxi, leader di una piccola corrente, gioco' probabilmente la diffusa convinzione che la sua presunta debolezza politica lo avrebbe vincolato alle decisioni dei suoi piú forti alleati.

Quanto fosse errata questa valutazione lo dirá la Storia successiva.

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  1. La prima era stata quella dell'11-1-1947. guidata da Giuseppe Saragat, che diede vita al PSLI, in seguito PSDI.
  2. Gli scissionisti fondarono il Partito Socialista Unitario (dal 10-2- 1971 di nuovo PSDI), con segretario Mauro Ferri, in seguito (febbraio 1972) sostituito da Tanassi, giá presidente del Partito.
  3. Non avevano seguito la scissione tanassiana importanti esponenti dell' ex ala sinistra del PSDI, come il prestigioso segretario nazionale della UIL, Italo Viglianesi e i sindacalisti UIL Ruggero Ravenna, Giorgio Benvenuto, Enzo Mattina e Giulio Polotti.
    Inoltre, nel 1972, nel corso della crisi che porterá il PSIUP allo scioglimento, rientraronio nel PSI importanti esponenti di quel partito, fra cui Giuseppe Avolio, Vincenzo Gatto, Alessandro Menchinelli, Giulio Scarrone. Nel novembre 1972 aderí al PSI anche la maggioranza del Movimento Politico dei Lavoratori (MPL), guidata da Livio Labor, Gennaro Acquaviva, Marco Biagi e Luigi Covatta.
  4. Subito dopo la scissione socialdemocratica, Nenni si era dimesso dalla presidenza del C.C. e si era praticamente ritirato da ogni ruolo attivo, fortemente deluso dall'aver visto naufragato il suo sogno unitario di una vita.
  5. Notevole peso vi avevano anche Fabrizio Cicchitto e Gianni De Michelis.
  6. Si parlava ormai con disinvoltura di „demartiniani“, „manciniani“, „lombardiani“, „craxiani“, ecc.
  7. Segretario ne era Giacomo Mancini. Il PSI alla Camera ottenne il 9,61 % e 61 deputati su 630 e al Senato il 10,71 % e 33 seggi su 315 elettivi. IL PSDI, alla Camera, conseguí il 5,14 % e 29 deputati e, al Senato, il 5,36 % e 11 senatori.
    Il PSIUP, che al Senato si era presentato assieme al PCI, alla Camera si attesto' all'1,94 % e non ottenne nessun seggio, il che fu causa del suo successivo scioglimento (13-7-1972).
  8. La minoranza era composta dalle correnti di Mancini („Presenza“), Bertoldi („Unitá del Partito“) e Lombardi („Sinistra“), favorevoli alla politica di alternativa e all'introduzione, nell'azione politica, di un forte impegno morale e riformatore.
  9. De Martino, Craxi, Mancini, Bertoldi e Lombardi.
  10. La campagna elettorale per il referendum sul divorzio segno' il ritorno in grande stile di Pietro Nenni sulla scena politica.
  11. Da non confondere con la formazione, avente la stessa denominazione, guidata da Mario Zagari e Matteo Matteotti, nel 1959 pure confluita nel PSI.
  12. Dei 141 membri del nuovo C.C. 59 (42,7 %) furono assegnati alla corrente di De Martino, 30 (19,8 %) a quella di Mancini, 10 (5,7 %) a quella di Bertoldi, 23 (17,8 %) alla sinistra di Lombardi, 19 (14 %) agli autonomisti di Nenni-Craxi.
  13. Si ebbe anche un calo dei partiti laici minori. Il PSDI consegui il alla Camera il 3,38 % e 15/630 deputati e al Senato il 3,10 % e 6/315 senatori, con una perdita secca di 14 deputati e 5 senatori.
  14. Per via dell'astensione del PCI.
  15. In seguito al XL congresso del PSI (Roma, 3-7/3/1976)) Nenni era stato rieletto presidente del C.C.
  16. Fabrizio Cicchitto, Tristano Codignola, Gianni De Michelis, Livio Labor, Riccardo Lombardi e Claudio Signorile.
  17. Dopo il 40° congresso del PSI, De Martino era stato eletto segretario all'unanimita. Per cui, venuta meno quell'unanimitá, egli ritenne corretto rassegnare le dimissioni.
  18. Poco prima della riunione della Direzione si era dimesso dalla stessa Antonio Giolitti.
  19. Craxi, Formica, Lagorio.
  20. Aniasi, Balzamo, Caldoro, Cassola, Landolfi, Mancini, Neri.
  21. Cicchitto, De Michelis, Giannotta, Lombardi, Signorile, Spano.
  22. Arfé, Avolio, Bertoldi, Capria, Galli, Giolitti, Lauricella, Manca, Pedrazzoli, Querci, Seppia, Tempestini, Vittorelli.
  23. I sei della „sinistra“ , che motivo' il suo voto come „un giudizio d'attesa“, piú Gino Bertoldi e Antonio Giolitti.
  24. Antonio Landolfi é autore, fra l'altro, di una pregevole Storia del PSI e di Giacomo Mancini – biografia politica.



Fonte: di FERDINANDO LEONZIO
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