"OPERAZIONE COCCODRILLO"
26-05-2020 - CRONACHE SOCIALISTE
“Au Crocodile” è un ristorante di Strasburgo. Qui, nel 1980, Altiero Spinelli elaborò un piano istitutivo dell’Unione che avrebbe dovuto portare ad una vera confederazione. Il progetto fu approvato dall’assemblea europea ma i parlamenti nazionali non lo ratificarono. Eppure costituì la base sia per l’Atto Unico del 1986 che aprì i confini al mercato comune sia per il trattato di Maastricht del 1992. Un successo impensabile quando, nel 1941, fu vergato il manifesto di Ventotene, ma nel contempo una grande incompiuta. Una sinfonia il cui finale deve ancora essere suonato.
Eugenio Colorni riassumeva così i principi elaborati durante il confino: “Esercito unico federale, unità monetaria, abolizione delle barriere doganali e delle limitazioni all'immigrazione tra gli Stati appartenenti alla Federazione, rappresentanza diretta dei cittadini ai consessi federali, politica estera unica”. Il primo e l’ultimo punto, anche se parzialmente perseguito, sono rimasti nel cassetto dei sogni. Del tutto inattuato è il fondamentale progetto di una riforma della società, “liberata dagli incubi del militarismo o del burocratismo nazionale”, in nome dell’uguaglianza, della solidarietà, del lavoro, dei diritti, dell’istruzione, del laicismo, della partecipazione. Un progetto rivoluzionario rimasto a metà. L’Europa dei soldi resta più forte di quella dei popoli. A dettar legge sono sempre i ceti parassitari.
E se non si va avanti, il rischio di tornare indietro diventa una certezza. La pandemia ha invaso una costruzione già traballante, con le fondamenta d’argilla, e la sta facendo vacillare paurosamente, risvegliando atavici rancori e suscitando nuove divisioni. Di fatto, ha ben spiegato Marco Bascetta, si fronteggiano quattro blocchi. Il gruppo di Visegrad, in testa Ungheria e Polonia, propugnatore della democrazia illiberale; i Paesi frugali, o avari, che dir si voglia, Austria, Danimarca, Olanda e Belgio, alfieri di una concezione calvinista che considera la povertà e i debiti come una colpa; le nazioni cicala, Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, le cui casse pubbliche sono vuote; l’asse portante costituito dal binomio Francia-Germania. Ma se la sopravvivenza dell’Unione si regge sulle fragili spalle di Emmanuel Macron e su quelle forti ma che porteranno il peso ancora per poco (uscirà di scena l’anno prossimo) di Angela Merkel, non c’è molto da stare allegri.
Sono stati loro due a proporre un piano di aiuti da 500 miliardi senza clausole capestro. Ursula vor de Leyen, la presidente della Commissione, ne ha aggiunti altri 250 sotto forma di prestiti a lunga scadenza. “Vive l’Europe!”, ha scandito entusiasta, presentando quello che, invece di “Recovery Fund”, preferisce chiamare “Repair and Prepare for the Next Generation Eu”, in ossequio al futuro dei giovani. Di tutti questi soldi, all’Italia dovrebbero arrivare circa 170 miliardi, ma solo dal 2021. E sempre che i leader dei 27 Paesi convergano sull’ accordo. La trattativa si annuncia difficile, nulla è scontato. I veti, i sospetti, le ripicche seminano trappole ovunque. C’è sano entusiasmo per la svolta annunciata ma la prudenza è d’obbligo. Raggiungere l’unanimità appare ardua impresa. In caso contrario, si procederà a maggioranza, rompendo gli attuali schemi? La consapevolezza che, per dirla ancora con von der Leyen, “se non agiamo per ridurre le divergenze, la situazione sociale in Europa potrebbe diventare destabilizzante” e la buona volontà non bastano. Occorre rimettere mano al contratto originario che regola l’Unione e dare finalmente piena attuazione ai principi che ne giustificano l’esistenza.
Gli Eurobond restano un miraggio perché le banche lucrano sugli interessi che pagano i singoli stati indebitati e un unico titolo pubblico, solidamente garantito, renderebbe molto meno. E la miope bramosia degli usurai legalizzati alimenta gli egoismi nazionali. La Corte costituzionale tedesca ha messo in discussione la potestà di intervento della Bce avendo nel retropensiero il mito della solidità del marco e il terrore di ogni ipotesi inflazionista. Vecchi fantasmi si aggirano per l’Europa.
L’uscita della Gran Bretagna ancora non ha dispiegato tutti i suoi effetti dirompenti ma la ferita si sta infettando. Da noi l’ipotesi di una Italexit è oggetto di propaganda della destra estrema, da CasaPound a Vox passando per Forza Nuova. Ma se l’ipotesi di un referendum resta per ora confinata nell’ambito dei neofascisti, gli ammiccamenti di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni, anche con la proposta di bond patriottici, possono essere forieri di clamorose svolte se non si inverte subito, e con decisione, la rotta. L’ipotesi di un ritorno alla lira vellica i mai sopiti sentimenti autarchici, come dimostrano tutti i sondaggi più recenti, in un malinteso orgoglio tricolore opposto all’egoismo degli oppressori d’oltralpe.
È dal governo Monti, vissuto come un commissariamento da parte di Bruxelles, che l’antieuropeismo alligna in un fertile terreno innaffiato da bugie ed errori. E anche l’alzare la voce contro la Ue matrigna da parte di politici apparentemente di sinistra è suonato più come una captatio benevolentiae in campo sovranista che l’espressione di una virtuosa offensiva federalista. Quando Matteo Renzi decise di togliere la bandiera azzurra con le stelle dorate dalla scenografia di Palazzo Chigi, compì un gesto devastante che ha macchiato l’immaginario collettivo: non a caso ricevette i complimenti da parte del Front Nazional di Marine Le Pen.
Per riparare i danni c’è poco tempo. Servono tanta buona volontà e ferrea convinzione. Qualora a novembre Donald Trump venisse rieletto, la contesa tra Usa, Cina e Russia per il dominio del Vecchio Continente entrerebbe nella fase decisiva. Gli Stati Uniti d’Europa sono la sola speranza per evitare che alle guerre commerciali, seguite sempre, la storia insegna, dal tuonare dei cannoni, devastino ancora di più il nostro pianeta.
Se può sembrare velleitario e retorico richiamare lo spirito di Ventotene, è quantomeno indispensabile riprendere il piano, per attuarlo in toto, messo a punto durante le riunioni del Coccodrillo. L’instancabile passione di Spinelli rappresenta la bandiera dietro la quale devono radunarsi di nuovo tutti coloro che credono ancora nel progresso, nella libertà, nella pace e nella natura. Qui non è in gioco un’idea ma il futuro stesso dell’umanità. Europa o barbarie.
Fonte: di MARCO CIANCA