"PER UN'EUROPA PIU' DEMOCRATICA"
25-04-2019 - 4, Anno III - Aprile 2019
Il 26 maggio si vota per il rinnovo del Parlamento Europeo. Una data importante per il nostro futuro. L'Europa vale da sola (secondo la Banca Mondiale) il 20% circa del PIL mondiale (il 24% gli USA, il 15% la Cina, il 4,5% la Germania, il 3% l'Inghilterra e il 2,4% l'Italia). Questi dati mostrano come la scelta del mercato unico sia stata lungimirante.
Se andiamo a cercare di capire cosa sta dietro queste cifre ci accorgiamo che la situazione è molto diversa: l'Europa non rappresenta, per gran parte degli europei, una realtà positiva.
Le concause sono diverse. Si parte dall'allargamento ad Est della Comunità senza un disegno preciso che non fosse l'annessione, più o meno profumatamente pagata, delle realtà ex-comuniste, per poi passare alle politiche di contenimento della spesa pubblica (nella sostanza la riduzione del welfare state che ha colpito i ceti medi e quelli più bassi), attuato dagli stati nazionali, che non avevano il coraggio di farlo in prima persona, con lo slogan «Bruxelles ce lo impone».
In realtà la Comunità Europea per perseguire finalità di pseudo efficienza economica, confondendo il fatto che l'economia era diventata un «casinò» (Copyright di John Maynard Keynes) e non una modalità per creare ricchezza reale, ha seguito il pensiero dominante di origine anglosassone teso a favorire i più ricchi. Tutto in nome di una pseudo scientificità della teoria economica che continua nonostante recenti ricerche empiriche, svolte proprio dal Fondo Monetario Internazionale, dimostrino il contrario. Malgrado le feroci politiche antisociali intraprese nè occupazione nè deficit rispondono agli obbiettivi enunciati nelle manovre adottate, aumenta soltanto la differenza di classe.
Allora perché ciò avviene? Perché in Europa esiste una primazia della Germania che ha imposto un modello di sviluppo basato sulle esportazioni e senza il reinvestimento del surplus all'interno dell'euromercato, una politica neo-mercantilista nella sostanza. In questo modo l'euro, che non ha colpe in quanto tale, diviene un vincolo per lo sviluppo degli altri paesi. Questa politica sta mostrando tutta la sua debolezza, anche all'interno della Germania, proprio in questo periodo in cui i mercati internazionali stanno rallentando in maniera sensibile.
È necessaria una nuova coscienza che da un lato spinga verso una maggiore integrazione europea, se le condizioni politiche non lo consentono si inizi da una maggiore coordinazione dei bilanci statali, e dall'altro verso una politica di allargamento del mercato interno promuovendo politiche di investimenti e di ricerca e abbandonando quelle che hanno contraddistinto la politica economica europea fino ad ora.
Il problema non è se la Germania (vogliamo solo ricordare che è quello che è non solo per suo merito ma perché dopo la Seconda Guerra Mondiale le fu abbonato il debito di guerra da parte delle nazioni vincitrici) debba avere o meno la funzione di leader, il problema è di come esercita tale leadership. Forse, se la Germania non avesse voluto esercitare la sua egemonia per mezzo della Comunità, non ci sarebbe stata nemmeno la Brexit.
Alle prossime elezioni europee il confronto, da parte di che aspira ad una “Europa dei Popoli”, sarà non solo contro i «sovranisti», ma anche contro chi ha una visione pseudo efficiente basata solo sull'economia e non sugli interessi dell'intera società.
Fonte: di ENNO GHIANDELLI