"PSI, QUESTIONE EBRAICA, STATO D´ISRAELE"
24-09-2018 - IL SOCIALISMO NEL MONDO
L´atteggiamento assunto verso la questione ebraica e, per certi aspetti conseguentemente, quello verso lo Stato d´Israele possono essere considerati aspetti rilevanti nella definizione della politica di un partito italiano e, in particolare, del Psi? Questa è la domanda preliminare alla quale si deve rispondere. La risposta, positiva, si appoggia a quattro ordini di riflessioni.
La prima riguarda la politica internazionale, e in particolare l´equilibrio nel Mediterraneo. Anche dopo la sconfitta nella II guerra mondiale e l´adesione al Patto Atlantico, l´Italia non poteva, e non ha potuto, rinunciare del tutto, se non altro per la sua peculiare posizione geografica, ad una politica estera che, sia pure all´interno di una linea definita in sede atlantica, avesse alcuni tratti spiccatamente nazionali. Il campo dove esprimere questa che, prima di essere una vocazione, era una necessità, era ovviamente il Mediterraneo. Il Psi doveva perciò esprimersi sulla definizione di una politica mediterranea dell´Italia, e in effetti lo fece, in maniera più flebile, o addirittura quasi muta, quando la sua autonomia era ridotta al lumicino. Lo fece invece in maniera visibile, e in certi casi addirittura ostentata, quando la sua posizione politica nel quadro nazionale, recuperata una piena autonomia, glielo consentiva.
Come si vede, già la prima riflessione rimanda alla seconda. Il grado di autonomia - perduta, riconquistata o parzialmente praticata - è una variabile decisiva sia nel consentire al Psi di produrre una propria politica estera nei confronti del Mediterraneo, e quindi sia verso i paesi arabi sia verso lo Stato d´Israele, sia, al contrario, per misurare in che misura tale autonomia era effettivamente consentita e praticata. Naturalmente quando si parla di autonomia ci si riferisce innanzi tutto a quella nei confronti del Pci, ma non può essere del tutto trascurata quella nei confronti del quadro delle alleanze all´interno del quale si muoveva l´Italia, il Patto Atlantico, e quindi in primo luogo gli Stati Uniti, e, sul piano interno, la Dc, e in particolare alcune sue correnti, soprattutto quelle di sinistra, e perfino anche i partiti laici.
Se questi sono i due principali temi di riflessione, altri due riguardano problematiche che hanno avuto un ruolo tutt´altro che secondario. Una riguarda l´identità culturale o, se si preferisce, ideologica, del partito. L´atteggiamento da tenere nei confronti della questione ebraica, e di riflesso, verso lo Stato d´Israele, non è mai stato qualcosa di eticamente neutro, riconducibile ad un mero calcolo di convenienze, di equilibri geopolitici o di schemi di alleanze internazionali. La vicenda storica dell´antisemitismo e, dopo la II guerra mondiale, quella della Shoah hanno fatto sì che ogni presa di posizione nei confronti degli ebrei e dell´ebraismo, e anche, dopo la sua nascita, nei confronti dello Stato d´Israele, fosse intrisa di connotazioni etiche, tali da impegnare, sul piano morale, gli Stati, gli individui e anche i partiti.
Per il Psi, partito per il quale, almeno nella sua vocazione originaria e per buona parte della sua storia, la proclamazione e la pratica di un sistema di valori hanno costituito la sua stessa ragione d´essere, questa dimensione era particolarmente rilevante. E tuttavia ha pesato nell´atteggiamento del Psi verso lo Stato d´Israele – anche se in misura non così pesante come lo è stato per il Pci - un pregiudizio ideologico nei confronti del sionismo, derivante dalla dimensione di rinascita nazionale di quel movimento. Si tratta di un pregiudizio di lungo periodo, che risaliva ai primi del ´900 e che prese corpo, fuori d´Italia, nella polemica tra il Bund - il partito socialdemocratico che si rivolgeva ai lavoratori ebrei che vivevano entro i confini dell´Impero zarista – e il nascente movimento sionista. L´accusa rivolta al sionismo era quella di mettere in secondo piano il tema della lotta di classe rispetto a quello della nazionalità. Un´accusa di nazionalismo che poi fu raccolta e amplificata dal movimento comunista e che ebbe il suo peso anche nelle posizioni ideologiche del Psi, soprattutto nei periodi maggiore subalternità verso il Pci.
Infine, come risultante delle prime tre dimensioni che abbiamo individuato, ne esiste una quarta, che si riferisce precipuamente alla collocazione del Psi nel quadro politico nazionale. Soprattutto a partire dagli anni ´60, cioè da quando il Psi entrò a far parte in forma organica dell´alleanza di centro-sinistra, e poi, con vigore ancora maggiore, da quando, dopo la crisi di questa formula e il periodo della cosiddetta unità nazionale, con l´assunzione della guida del partito da parte di Bettino Craxi, e, più tardi, con la nascita del cosiddetto "pentapartito" a guida laico-socialista, la linea da tenere nei confronti dei paesi arabi, e conseguentemente dello Stato d´Israele, divenne una delle variabili fondamentali, trascinando con sé una serie di altre questioni rilevanti, come la politica da praticare nei confronti del terrorismo interno e internazionale, il grado di spregiudicatezza da impiegare in tema di finanziamento del partito, e altre questioni ancora.
Se questi quattro ordini di riflessioni corrispondono effettivamente ad alcune delle problematiche di fronte alle quali si trovò il Psi nella sua vicenda dalla fine della guerra fino alla sua scomparsa nel 1994, si comprende allora che quella dell´atteggiamento da tenere nei confronti della questione ebraica e dello Stato d´Israele sia stata una delle variabili fondamentali di cui i dirigenti socialisti, nel corso di un non breve periodo storico che va dal 1945 al 1994, hanno dovuto tener conto nel definire la politica del partito.
Poiché quello di cui parliamo è un arco di tempo assai lungo, circa un cinquantennio – nel corso del quale si modificarono non solo le condizioni interne e quelle internazionali, ma mutarono largamente anche la composizione e le caratteristiche del gruppo dirigente del Psi (e perfino quelle dei militanti e degli stessi elettori) – l´individuazione di una corretta periodizzazione è una condizione essenziale per una piena comprensione sia delle costanti sia delle variazioni della politica del Psi nei confronti della tematica individuata.
Una corretta periodizzatone deve incrociare due variabili: una riguarda la politica complessiva del Psi come partito "di frontiera", come è stato talvolta definito, particolarmente sensibile alle variazioni sia del quadro internazionale che di quello interno. L´altra riguarda l´oggetto di questa riflessione, nella sua duplice eppur intersecante definizione, la questione ebraica e lo Stato d´Israele, a sua volta condizionata da una pluralità di quadri di riferimento, quello dei paesi arabi (e in una certa misura di quelli islamici non arabi), quello del Mediterraneo, quello globale del confronto Usa-Urss (o, se si preferisce, Patto Atlantico-Patto di Varsavia), senza trascurare, anzi, altri quadri di riferimento come quelli determinati dall´emersione dei paesi del cosiddetto Terzo Mondo, soprattutto a partire dalla conferenza di Bandung, dalla decolonizzazione, dall´indipendenza africana, dal panarabismo, da una serie di conflitti solo apparentemente settoriali ma che hanno finito per condizionare l´intero quadro internazionale, come la guerra d´Algeria e soprattutto quella del Vietnam, dalla crescita del fondamentalismo islamico, e infine, a partire da un certo momento, dalla questione palestinese.
Prima di procedere occorre tuttavia fare chiarezza su una questione di fondo, quella del rapporto fra questione ebraica e Stato d´Israele. Che le due problematiche non coincidano, è ovvio. La questione ebraica è esistita per circa duemila anni prima che nascesse lo Stato d´Israele e anche prima che venisse formulata la proposta sionistica. Tuttavia non è vero il contrario, cioè che nel nostro tempo, dopo la nascita dello Stato d´Israele, si possa parlare della questione ebraica senza tener conto dell´esistenza e della politica dello Stato d´Israele; ma anche che si possa parlare dello Stato d´Israele senza parlare di una questione ebraica. E questo non solo per quanto riguarda la Diaspora, ma nello stesso Medio Oriente, dove i paesi islamici non perdono occasione per ricordare che il loro rifiuto riguarda gli ebrei come tali, come anche episodi del passato e del presente confermano. Dobbiamo perciò, sia pure ricordando la non coincidenza dei due termini, tener sempre presente che essi procedono insieme e si condizionano reciprocamente.
Tenendo conto di tutte queste variabili, una periodizzazione che ci appare corretta è la seguente. Una prima fase copre un periodo abbastanza breve ma decisivo, che va dalla fine della guerra al 1948. Il termine ad quem appare rilevante da più punti di vista: nel 1948 si consumò definitivamente, con il colpo di Stato di Praga e il tentato blocco sovietico di Berlino, la rottura della cosiddetta alleanza antifascista e la divisione del mondo in due blocchi, che riguardava soprattutto l´Europa ma che aveva anche una rilevante proiezione asiatica: la definitiva vittoria comunista, nel 1949, nella guerra civile cinese, e lo scoppio della guerra di Corea nel 1950 non furono che le appendici, anche se caratterizzate da una forte autonomia, della formazione di due blocchi contrapposti. In Italia, le elezioni del 18 aprile sancirono la definitiva appartenenza del Paese allo schieramento occidentale – formalizzata l´anno successivo dall´adesione al Patto Atlantico – e al tempo stesso la scomparsa, o, se si vuole essere meno drastici, l´affievolimento, almeno per un certo numero di anni, del Psi come partito autonomo. Ovviamente ciò ebbe un´influenza decisiva nella definizione della politica socialista nei confronti dello Stato d´Israele, anche se in questo specifico campo gli effetti si manifestarono pienamente solo a partire dal 1950.
Nel Medio Oriente, si compì l´atto irreversibile della proclamazione dello Stato d´Israele, conseguenza del voto dell´Onu del novembre 1947, favorito dall´erroneo calcolo di Stalin di poter contrastare, con la nascita dello Stato ebraico, l´egemonia britannica nei paesi mediorientali; non solo, ma il neonato Stato ebraico riuscì a sopravvivere all´attacco contemporaneo ma non coordinato di sei Stati arabi e a consolidare la sua esistenza: gli armistizi di Rodi dell´anno successivo non saranno che la formalizzazione di ciò che era già avvenuto sul campo. L´effimero ma decisivo appoggio dell´Unione Sovietica e dei Paesi ad essa legati nella votazione sulla Risoluzione n. 181 dell´Assemblea generale dell´ONU del 27 novembre 1947 – che dette base legale alla proclamazione dello Stato d´Israele il 14 maggio 1948 – si rivelò in un tempo abbastanza breve un mero espediente tattico piuttosto che una convinta adesione alle ragioni che portarono alla nascita dello Stato ebraico. La guerra di Corea, con la sua necessità di schierarsi senza margini per posizioni intermedie, fu decisiva nel segnare il declino del breve periodo di sostegno sovietico a Israele; ma al tempo stesso fu decisivo anche l´emergere (o il riemergere) delle posizioni antisemite che caratterizzarono gli ultimi anni di vita di Stalin. Il processo ai medici ebrei in URSS costituì certamente un segnale molto forte ma forse lo furono ancor più i processi politici che si tennero in Ungheria e in Cecoslovacchia - e di cui le figure più emblematiche furono quelle di Rajk e di Slansky – perché in questi processi uno dei capi di accusa fu quello di sionismo.
Il secondo periodo va dal 1948-1949 al 1956. E´ una periodizzazione che si impone, qualunque sia il quadro a cui ci si riferisce: nel 1956 la rivolta ungherese e la contemporanea crisi di Suez misero in evidenza da un lato una grave crisi del sistema bipolare, destinato peraltro a ricomporsi rapidamente, ma soprattutto fecero emergere altre crisi di sistema, prima fra tutte quella del neocolonialismo franco-inglese, sconfitto a Suez non certo dall´armata egiziana ma dalla volontà americana di non rischiare la guerra atomica e di mantenere intatto l´assetto bipolare del mondo. Ma la crisi di Suez mise altresì, e forse soprattutto, in evidenza la crescita impetuosa - economica, civile e militare - dello Stato d´Israele, che in otto anni era passato da un´esistenza fragile e precaria ad un´indiscussa capacità autonoma di reggere all´urto dell´intero mondo arabo e anzi, se messo in condizione di agire senza remore, di espandersi ben al di là dei confini del 1949. In Italia, i fatti d´Ungheria provocarono la prima vera crisi del Pci, anche se rapidamente rimarginata, e conseguentemente il primo vero tentativo di recupero della propria autonomia da parte del Psi. Anche se occorreranno molti più anni di quelli inizialmente previsti perché questo processo sia portato a conclusione, - e ciò sia per quanto riguarda la politica complessiva del partito che l´atteggiamento verso lo Stato d´Israele – tuttavia anche da questo punto di vista il 1956 rappresenta un punto di svolta irreversibile.
La successiva periodizzazione ci porta al 1967. Il 1967 è l´anno della guerra dei Sei giorni, e questo punto di frattura fa aggio su qualunque altro sistema periodizzante. Certo, durante il periodo 1956-1967 si succedettero vicende che incisero fortemente sull´argomento della nostra riflessione. Al di là dell´affermarsi, e poi della sua crisi, della distensione internazionale, simboleggiata dalle figure di Kennedy e di Krusciov, alle quali l´iconografia popolare aveva aggiunto quella di Giovanni XXIII, dal punto di vista della nostra riflessione due altri eventi ebbero un´importanza decisiva. Nella politica italiana, la formazione, nel 1963, dopo alcuni anni di contrastati tentativi, di un´alleanza di centro-sinistra organica con la partecipazione al governo del Psi, e la conseguente scissione a sinistra e la formazione del Psiup, liberò il partito, anche se in maniera meno definitiva e completa da quella che si credette allora, dal condizionamento comunista, e consentì un atteggiamento assai diverso che nel passato verso la questione ebraica e lo Stato d´Israele.
D´altra parte mai come in questa fase i due termini – questione ebraica e Stato d´Israele – apparvero così congiunti. Decisivo, nel determinare un diverso orientamento dell´opinione pubblica, europea prima ancora che italiana, fu l´esplosione, appunto a livello europeo e con la successiva diffusione in Italia, di forme inattese di un aggressivo antisemitismo, che provocò una salutare reazione della pubblica opinione e anche dei governi. La reazione contro il diffondersi dell´antisemitismo in Europa ebbe il suo momento più alto l´anno successivo, il 1962: la cattura e poi il processo ad Adolf Eichmann, ebbero un impatto enorme sulla pubblica opinione in tutti i paesi, costituirono il vero punto di svolta che mise in assoluta evidenza, fra l´altro, che la questione ebraica non era in alcun modo separabile dall´esistenza dello Stato d´Israele. In Italia, l´uscita dal Psi della componente più decisamente filocomunista, l´alleanza di centro-sinistra, le conseguenze sull´opinione pubblica dell´ondata di antisemitismo e poi del processo Eichmann, e infine, sia pure per un periodo più limitato di tempo (dal 1966 al 1968) l´effimera unificazione fra Psi e Psdi, tutti questi fattori si sommarono e furono alla base di una accentuata vicinanza del Psi nei confronti dello Stato d´Israele, la più pronunciata nella storia del cinquantennio di cui stiamo parlando.
Occorre sottolineare che, per quanto riguarda la vicenda del Psi, l´unificazione socialista, anche se effimera, ebbe una rilevante importanza, perché è in questo periodo che avvenne la guerra dei Sei giorni, che si è col tempo rilevata decisiva nella vicenda di lungo periodo del Medio Oriente. In quella occasione le posizioni del Psi e del Pci si divaricarono come mai era avvenuto in precedenza e come non si verificò più in seguito: all´allineamento del Pci alla durissima condanna di Israele pronunciata dall´Urss si contrappose un deciso sostegno socialista alle ragioni di Israele. Va sottolineato l´apporto dei dirigenti di provenienza socialdemocratica alla definizione di questa politica, soprattutto per quanto riguarda l´esposizione esterna e la battaglia mediatica.
Il periodo successivo, dal 1967 al 1973, fu più breve e il suo inizio e la sua conclusione furono segnati da due guerre, quella dei Sei giorni e quella dello Yom Kippur. Se questa periodizzazione non può essere elusa, tuttavia va considerata in maniera non meccanica. Se la guerra dello Yom Kippur non alterò, in definitiva, i rapporti di forza fra Israele e i paesi arabi confinanti che si erano sensibilmente modificati, a favore di Israele, con la guerra del 1967, tuttavia aprì la strada ai sostanziali, anche se non decisivi, mutamenti che si verificheranno negli anni successivi, e cioè la pace fra Egitto e Israele, il ritiro dell´esercito israeliano dal Sinai, la successiva pace con la Giordania, l´avvio faticoso e contraddittorio di colloqui fra lo stato ebraico e l´Olp. Si tratta di eventi che appartengono a un periodo successivo e che tuttavia presero origine dalla ritrovata dignità egiziana conseguente all´effimera avanzata nel Sinai nel 1973, e al tempo stesso furono resi possibili dalla scomparsa di Nasser nel 1970 e dall´emergere di un gruppo dirigente egiziano più duttile e ormai convinto della necessità di rinunciare al sogno panarabista che aveva caratterizzato gli anni dal 1956 al 1970.
Ma, quasi paradossalmente, ciò che caratterizzò la breve stagione che va dal 1967 al 1973, non furono le vicende mediorientali. Ben altri furono gli scenari che furono alla base di un brusco cambiamento degli indirizzi dell´opinione pubblica europea, e italiana in particolare, che in occasione della guerra dei Sei giorni si era mostrata così vicina alle vicende e alle sorti dello Stato d´Israele. Fu la guerra del Vietnam che dominò lo scenario internazionale, ma soprattutto influì sulle coscienze e sui sentimenti di milioni di giovani in Occidente, negli Stati Uniti e in Europa. Ma la grande ondata di antiamericanismo e di antimperialismo non si nutrì soltanto delle cronache delle vicende vietnamite: accanto a queste si impose il modello del castrismo cubano e soprattutto il sogno romantico del guevarismo, si diffuse un´interpretazione ideologica dei movimenti di liberazione nazionale – o presunti tali - che dilagarono in Asia e in Africa, si impose perfino una singolare interpretazione libertaria della rivoluzione culturale cinese – che solo molti anni dopo verrà conosciuta nel suo vero volto di violenza e di barbarie. Fu da questo ribollire di sensazioni, di emozioni e di sentimenti, soprattutto giovanili e giovanilistici - che dal suo anno di punta prenderà per antonomasia il nome di «´68», anche se si protrarrà ben al di là di quell´anno - che emergerà una nuova immagine della realtà mediorientale.
Nel 1969, senza che l´opinione pubblica occidentale ne avesse praticamente conoscenza, la direzione dell´Olp venne assunta da Yasser Arafat; ma accanto alla nuova e più combattiva leadership dell´organizzazione ufficiale palestinese, si moltiplicarono i gruppi e i gruppuscoli che stabilirono contatti e rapporti con i gruppetti minoritari che si erano formati in Occidente in base a una rilettura volontaristica del marxismo-leninismo. Dilagò il terrorismo, nei cieli e all´interno dello Stato di Israele. E l´opinione pubblica giovanile – e dietro a quella anche buona parte di quella adulta – non fu respinta dall´uso della violenza, anzi quest´ultima venne assunta come unica arma da usare, in Italia e nel mondo, contro il dominio capitalistico e imperialistico. Il movimento palestinese, nelle sue varie forme, che non erano nemmeno pienamente conosciute, nel loro continuo cangiare, in Occidente e in Italia, diventò addirittura la bandiera di tutte le lotte antimperialistiche. Non solo il pensiero (o il sentimento) ma anche il linguaggio e il costume ne furono fortemente influenzati: la nuova bandiera antimperialistica diventò la kefiah che si affiancò e poi sostituì l´eskimo come simbolo di appartenenza politica. In questo quadro, lo Stato d´Israele divenne, accanto agli Stati Uniti, e in un certo senso ancora di più, perché direttamente impegnato sul campo, l´odiato bersaglio di tutti i "movimenti", anche in Italia.
Il partito socialista, chiusa, dopo le elezioni del 1968, la breve stagione dell´unificazione con il Psdi, prese anch´esso le distanze dallo Stato ebraico, anche in conseguenza di un nuovo calo della tensione autonomistica, in parte dovuto all´egemonia che su di esso finirono per avere, almeno in parte, i movimenti sessantottini, in parte per l´emergere di una nuova subalternità nei confronti del Pci, favorita sia dalla debole direzione di De Martino sia dai deludenti risultati elettorali.
Fino a questo momento le periodizzazioni si sono imposte con la forza degli eventi, non solo, ma i momenti periodizzanti hanno avuto la caratteristica di veder coincidere eventi internazionali, mediorientali, nazionali e di partito. Viceversa, trovare un momento periodizzante che interrompa la lunga fase 1973-1994 non è agevole. Il momento conclusivo, visto il nostro assunto, è di agevole individuazione. Se non coincisero, per lo meno furono molto ravvicinati gli anni del crollo del muro di Berlino (novembre 1989), la fine dell´Unione Sovietica (dicembre 1991), la scomparsa del Psi. Furono tutti momenti negativi, nel senso che segnarono la scomparsa di soggetti intorno ai quali, a vari livelli (internazionale e nazionale), si era articolata la vicenda oggetto di cui stiamo parlando. Ma un momento che abbia interrotto significativamente la fase iniziata con il 1973 non emerge, rispetto al passato, in maniera evidente.
Certamente il 1977-1978, per diverse ragioni, ebbe la sua importanza. Nel 1977 per la prima volta, nelle elezioni israeliane, la coalizione che aveva retto lo Stato fin dal suo sorgere (in realtà fin dalla nascita del movimento sionista) venne sconfitta e andò al potere una coalizione di destra capeggiata dal Likud, erede del sionismo revisionista di Jabotinskij. Sarà il governo Begin che tuttavia, di lì a poco, farà la pace con l´Egitto di Sadat e aprirà una stagione per il Medio Oriente almeno in parte nuova. Nel 1978 nel Psi diventò segretario, e ben presto leader indiscusso, Bettino Craxi, che, nei confronti del Medio Oriente, del movimento palestinese e dello Stato d´Israele, mise fine a una fase, durata una decina d´anni, di incertezze e di ambiguità, schierandosi decisamente dalla parte dei palestinesi. Ma anche la decisione dell´Onu, nel 1975, di condannare il sionismo come una forma di razzismo ebbe la sua importanza, non tanto per il contenuto della decisione, in sé assurda - che infatti la stessa Assemblea generale dell´Onu dovrà cancellare nel 1991 quando saranno maturate condizioni diverse - ma perché indicativa di come la stagione dei movimenti di liberazione nazionale, dell´antiamericanismo e dell´antimperialismo avesse lasciato cascami ideologici che si esprimevano anche in una decisione del genere. Il 1979 segnò un altro punto di svolta con la rivoluzione khomeinista in Iran e la creazione di una repubblica islamica che in seguito si porrà esplicitamente l´obiettivo della distruzione dello Stato d´Israele.
Anche il 1982 fu un anno significativo, a causa dell´invasione israeliana del Libano e delle conseguenze, a livello di opinione pubblica internazionale, dei fatti di Sabra e Chatila. Ma a livello nazionale nello stesso 1982 ci sarà l´attentato alla Sinagoga di Roma, che lascerà il Psi del tutto scoperto di fronte all´opinione ebraica italiana; mentre il 1985 segnerà il punto più basso, senza che ci sia stata poi la possibilità di una risalita, nei rapporti fra il Psi, l´ebraismo italiano e lo Stato d´Israele, con il dirottamento dell´"Achille Lauro" e l´atteggiamento di aperto favoreggiamento assunto da Craxi nei confronti dei dirottatori. In realtà sono moltissimi gli episodi che segnano questa nuova stagione, tutta negativa, dell´atteggiamento del Psi verso lo Stato d´Israele.
A livello internazionale, certamente un punto di svolta fu la dichiarazione di Arafat nel 1988 che, per la prima volta, riconosceva, almeno implicitamente, l´esistenza dello Stato d´Israele; ma occorsero ancora cinque anni prima che nel 1993 si arrivasse alla dichiarazione di Oslo e conseguentemente alla celebre stretta di mano fra Rabin e Arafat di fronte al presidente Clinton. Come si vede, una serie di eventi a livello internazionale fra di loro concatenati, mentre per quanto riguardava l´Italia e soprattutto l´atteggiamento del Psi esso resterà cristallizzato nella sua negatività fino alla crisi della Prima repubblica, fra 1993 e 1994.
In conclusione, tenendo conto soprattutto che il soggetto di questa riflessione è il Psi, appare opportuno assumere come anno periodizzante il 1978, l´anno cioè in cui Craxi assunse la direzione del Psi, tenendo tuttavia presente che le conseguenze delle scelte filoarabe e filopalestinesi del leader socialista si manifestarono nel tempo e che nel corso del quindicennio 1978-1993 molti eventi, come quelli che abbiamo sopra ricordato, segnarono vere e proprie cesure, nel Medio Oriente e nel più generale quadro internazionale, con le conseguenze, anche in Italia, che ne deriveranno.
Fonte: di VALENTINO BALDACCI