"QOUSQUE TANDEM?"
21-06-2020 - DIARIO POLITICO di Giuseppe Butta'
Già l'anno scorso, quando scoppiò il caso Palamara-Lotti che mise in luce gli inquinamenti gravissimi di cui la gestione dell'ordine giudiziario soffre da tempo, e l'intreccio politico-giudiziario ormai permanente, avevamo rilevato come tutti i soggetti interessati – a partire dal Quirinale, che si chiamava fuori da ogni contaminazione – cercassero di ridurre il caso a un episodio conviviale, sia pure grave ma isolato: una cena a lume di candela tra magistrati del CSM e politici, che non ne fanno parte, con chiacchiere in libertà sulla nomina di qualche procuratore della repubblica, sia pure importante come quello di Roma (ma i procuratori della repubblica non sono tutti importanti?).
Come si sa, una rondine non fa primavera! Il fatto però che si tratti di un episodio conviviale ci fa sovvenire un celebre aforisma: in vino veritas!
Un autorevole ‘quirinalista' – neologismo che designa i giornalisti accreditati presso la Presidenza della Repubblica e tanto più accreditati quanto più acritici si dimostrano – scrisse allora che, dopo la scoperta di questo ‘verminaio', il Presidente della Repubblica vuole «voltare pagina presto».
Noi ci chiedemmo se non fosse stato il caso di voltarla già molto tempo prima. La domanda non era peregrina; infatti ancora oggi troviamo che la pagina non è stata voltata e che il Presidente della Repubblica, nel suo ruolo di presidente del Consiglio superiore della magistratura, si ritrova alle prese con la stessa situazione e con un più grave imbarazzo, cui però pare reagisca molto debolmente per non dire pilatescamente.
Pare infatti che Mattarella stesso non abbia potuto evitare di prendere atto che il comportamento dei vari Palamara e Legnini sia di una gravità eccezionale: il vice di Mattarella al Csm, Giovanni Legnini del Partito democratico, suggerì a Luca Palamara, membro del Csm e già presidente dell'Associazione nazionale magistrati (il sindacato unico della categoria), di sostenere in privato e in pubblico Patronaggio, il procuratore di Agrigento ancora incerto circa l'incriminazione di Salvini per il caso Diciotti,: Legnini smuove Palamara e questi scrive a Patronaggio: «Carissimo Luigi, ti chiamerà anche Legnini, siamo tutti con te». Il 24 agosto del 2018 Patronaggio decide di spedire a Salvini l'avviso di garanzia.
Dopo l'ennesima rivelazione dei contenuti inquietanti di messaggi e colloqui tra alti magistrati che formulano ipotesi di azioni giudiziarie motivate da interessi politici, il presidente Sergio Mattarella si è limitato ancora una volta a invitare i partiti politici e i gruppi parlamentari ad impegnarsi per una riforma del Csm. Non solo, egli ha anche auspicato che si approdi in tempi brevi ad una normativa che restituisca dignità e credibilità alla magistratura, travolta dallo scandalo legato alle intercettazioni di Luca Palamara, ricordando che un eventuale scioglimento del Csm comporterebbe “un rallentamento, dai tempi imprevedibili, dei procedimenti disciplinari in corso nei confronti dei magistrati incolpati dai comportamenti resi noti, mettendone concretamente a rischio la tempestiva conclusione nei termini previsti dalla legge”. Poi, impartendoci una lezione di diritto pubblico, ci spiega di non avere i poteri di scioglimento del CSM perché questo “conclude il suo mandato dopo quattro anni dalla sua elezione e può essere sciolto in anticipo soltanto in presenza di una oggettiva impossibilità di funzionamento”. L'attuale Csm - si legge ancora nella nota dell'ufficio stampa del Quirinale - non si trova in questa condizione ed è impegnato nello svolgimento della sua attività istituzionale, quindi per Mattarella il CSM funziona in atto ‘regolarmente' e ‘pienamente' (il che forse è vero se s'intende che non c'è nulla di nuovo nel suo modo di funzionare) e l'unica strada è “una riforma che contribuisca a restituire appieno all'ordine giudiziario il prestigio e la credibilità incrinati da quanto appare, salvaguardando l'indispensabile valore dell'indipendenza della magistratura”.
Aria fritta. La ‘moral suation', invenzione del bizantinismo italico, non può bastare:
Ci permettiamo di fare, rispettosamente, una osservazione. Proprio al fine di garantire la piena indipendenza della magistratura ordinaria, l'art. 104 della costituzione ha conferito al CSM dignità di organo costituzionale, che è stata sottolineata affidandone la presidenza al Presidente della Repubblica.
Nulla impone che la carica di Presidente del CSM sia soltanto un orpello e perciò nulla esclude che il Capo dello Stato possa formulare l'ordine del giorno del CSM e, partecipando alle sue sedute, prendere una posizione riguardo ad azioni disciplinari verso singoli magistrati o promuovere censure verso ex componenti del CSM, da discutere in Consiglio. Se no, se si vuole mantenere per il Presidente della Repubblica uno scudo di irresponsabilità, forse converrebbe che il Presidente della Repubblica non avesse più questa carica. Il Presidente della Repubblica, come presidente del CSM, non è una foglia di fico e non lo può diventare. Per tenerlo fuori da quella responsabilità, non basta affermare, come ha fatto l'attuale vicepresidente Ermini, che il Presidente della Repubblica non sa nulla delle nomine dei magistrati. Sarebbe necessario che il Capo dello Stato o partecipi direttamente ai lavori di quell'organo o ne esca formalmente e definitivamente.
Le deviazioni del nostro sistema giudiziario richiedono, oltre che una glasnost nel governo della magistratura per liberarlo dal correntismo-affarismo partitico – chi non ricorda la battaglia che si svolse tra le ‘correnti' politico-giudiziarie nel CSM quando, a Giovanni Falcone come capo dell'ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, si preferì un altro? – anche una perestrojka del funzionamento generale dell'ordine giudiziario. Non basta dunque la balbettante riforma del CSM proposta dal ministro Bonafede che si accoda alla timida esortazione del Presidente della Repubblica.
Forse, ponendo mano a una riforma fondata sulla separazione delle carriere e delle funzioni e sull'abolizione delle porte girevoli che consentono l'entrata e l'uscita dei magistrati nella politica, nella gestione burocratica, nell'eldorado delle funzioni extragiudiziarie, si potrà preservare l'indipendenza e la dignità della magistratura e, con essa, anche il diritto degl'italiani a una giustizia efficiente e moralmente al disopra di ogni sospetto.
Siamo tutti montesquieuviani! Ma, di fronte alla torsione politica di una parte della magistratura, ci permettiamo di dubitare che soltanto lo stato assoluto o quello totalitario o, in Italia, soltanto il fascismo possano interferire con il potere giudiziario: anche nell'Italia repubblicana abbiamo visto dispiegarsi una strategia di occupazione della magistratura in atto almeno dai tempi del Togliatti guardasigilli.