"SOCIALISMO? MA DI COSA PARLIAMO?" di Paolo Bagnoli
23-06-2020 - EDITORIALE
La pandemia, oltre alla diffusione del virus, ha veicolato, tra le tante, troppe chiacchiere che hanno girato e continuano a girare, a partire da quelle del governo, anche la parola socialismo. Infatti, se fino a qualche tempo fa il termine era rimasto chiuso nel lockdown della storia e della quotidianità giornalistica, ora esso ha cominciato a rimbalzare di nuovo. Noi non possiamo che rallegrarcene, ma vorremmo anche capire poiché si tratta di una questione seria e gli italiani sono noti, tra i loro tanti pregi, di avere anche qualche tendenza alla leggerezza e all'improvvisazione. E' un fenomeno che, in un periodo nel quale una sterminata letteratura ci ha invaso – il fenomeno continua, peraltro, proficuo - sulle ricadute sociali del virus in una corrente e scialba dimensione meramente narrativa, si è notevolmente accentuato, ingigantito quasi che la maggior parte degli italiani debbono sciorinarci la loro quotidianità al di fuori di ogni cornice critica, sia essa culturale o politica. Tutti fanno letteratura; i letterati per mestiere, gli italiani per vocazione; questa, in verità, sarebbe più poetica, ma non disperiamo che tra non poco saremo inondati di poemi, rime, versi baciati – beninteso, quando non ci sarà più bisogno della mascherina – drammi e chi più ne ha, più ne metta.
Da socialisti la cosa non ci è sfuggita; ogni volta che la parola socialismo appare il nostro interesse si accende, la nostra concentrazione si applica, la voglia di capire ci impegna. Ma non sempre, lo confessiamo, ci riusciamo, perché non arriviamo a capire di cosa si parli. Come per le parole che hanno due vie espressive: una dai polmoni – pura aria – e una dal cervello, ossia da pensiero. Così, mentre prendiamo atto che socialismo è una parola non dimenticata, rimaniamo perplessi di come quasi sempre la si usi senza avere cognizione di cosa significhi semplicemente pronunciarla con intento positivo in momenti come questi nei quali la pandemia ha messo in ginocchio il capitalismo mondiale senza che si prospetti all'orizzonte una alternativa. Solo il Papa parla dei poveri; a Francesco va il nostro rispetto e considerazione; ma lui fa il Papa e ci sembra pure bene, mentre la questione concreta della risposta al capitalismo non concerne al Papa. Al socialismo sì; tuttavia, per mettere in moto il socialismo occorrono socialisti che abbiano coscienza di cosa ciò significa.
Il fine del socialismo, pur nello scorrere delle stagioni e delle situazioni sociali, rimane sempre lo stesso: riscattare l'uomo dalla barbarie del capitalismo; ieri quello manifatturiero, oggi quello finanziario il quale, coprendosi dietro il feticcio liberista del mercato senza regole, arricchisce i ricchi e impoverisce i poveri. Se non si ha cognizione di ciò, parlare di socialismo non serve a niente. In Italia, poi, dove non esistono più la sinistra e un soggetto socialista, il danno si coniuga alla beffa.
Del socialismo, in queste ultime settimane, hanno parlato in tanti. Trarne un senso comune è impossibile, poiché non se ne riesce a trovare; noi non ci riusciamo, ma siamo in un Paese nel quale descrivere lo sconosciuto è quasi una pratica nazionale. Il riconoscerlo non significa adeguarvisi, ne tantomeno rassegnarvici; significa solo denunciare il fenomeno, prendere coscienza della situazione e che non è con tante chiacchiere politicamente affabulatorie che la questione del socialismo potrà essere avviata verso uno sbocco, in Italia e non solo.
Il problema, infatti, non riguarda solo noi. Prima di Emanuel Macron la Francia aveva un presidente socialista, Francois Hollande, che ha disintegrato il PSF, ma non ne pare turbato. In un'intervista a Walter Veltroni (“Corriere della Sera”, 9 giugno 2020) ha avuto l'ardire di dire:”Una cosa è certa: i socialisti dovranno ridefinire la loro identità e i loro obiettivi.” Poi, confessa di aver votato Macron. Non vogliamo essere irreverenti: ma ci vuole una bella faccia tosta; espressione educata per non dire altro. In Francia Hollande, in Italia Claudio Signorile, dirigente di primissimo piano del PSI craxiano che, nel momento della disfatta, al pari di altri dirigenti del suo stesso rango, nulla fece per salvare il PSI, ha profetizzato al confessionale di Veltroni(“Corriere della Sera”,20 giugno 2020): “Quello che è morto è il socialismo classista, antagonista, autoreferenziale. Quello che sta crescendo è invece un socialismo umanitario, comunitario. E' la globalizzazione per la sopravvivenza e non per il puro profitto. La globalizzazione comunitaria sul piano sanitario, sociale, ambientale. Un mondo nuovo.” Ora, venendo alla sostanza, che il socialismo non debba essere “antagonista” è una novità assoluta e la sua configurazione come di un qualcosa tra l'Organizzazione mondiale della sanità e i centri di accoglienza, è una barzelletta. Non si può nemmeno dire: la fantasia al potere perché oramai Signorile dal potere è fuori da tempo, ma solo fantasia libera da ogni potere. Il socialismo ridotto a un arruffato ideologico. Azzardiamo che Veltroni con la sua bella scrittura e un pensare svolazzante, ne sarà rimasto affascinato. Se non fosse così sarebbe in contraddizione con quanto ha fatto per la nascita del partito democratico. Nella corsa a inserirsi nella lista c'è anche Beppe Sala, un po' meno smaltato di qualche tempo fa, che, per quanto abbia dichiarato di non essere mai stato socialista e neppure mai votato PSI, ha vaticinato “che il socialismo non appartiene alla storia, ma all'avvenire. Solo in Italia è considerato una parola morta. Altrove non è così.” (“Corriere della Sera”, 3 giugno 2020). Evviva: il socialismo è arrivato in…Sala d'aspetto!!
Naturalmente ci sono stati anche interventi che volevano unire ideologia e attualità indicando nel socialismo liberale di Carlo Rosselli la ricetta per l'Italia di oggi. Il discorso sarebbe lungo; può anche essere e certo dalla ricetta del socialismo liberale – che non è l'incontro a mezza strada tra “socialismo” e “liberalismo” e dispiace ogni volta doverlo ricordare – se ne possono trarre tante indicazioni positive – pensiamo alla dottrina contrattualista – ma se non si pone come punto di partenza che Rosselli è un socialista che vuole superare il sistema capitalista nella libertà e nella democrazia, è solo aria fritta.
Allora: ma di cosa parliamo? Francesco Guccini, in occasione degli ottant'anni, ha dichiarato che lui è, ed è sempre stato, socialista; di un socialismo netto poiché (“Corriere della Sera”,7 giugno 2020) definendosi “libertario azionista”, i suoi eroi erano “i fratelli Rosselli e Duccio Galimberti.” Ecco: Guccini, parlando di socialismo, sa di cosa si parla.
Grazie, Francesco Guccini: ci hai fatto sentire meno soli.