21 Novembre 2024

"AFGHANISTAN E LA PERDUTA LIBERTA' "

Era il secondo attacco al suolo americano dopo Pearl Harbour quello alle Twin Towers dell'11 settembre 2001. Responsabili: giovani appartenenti all'organizzazione terroristica al-Qaeda, le cui basi si trovavano in Afghanistan governato dai talebani. Il 14 settembre il Congresso vota un provvedimento che da al presidente ampi poteri di “usare tutte le misure adeguate e idonee” in Afghanistan e nei Paesi coinvolti nell'attentato o che ospitano i responsabili. La Nato invoca l'art. 5, che stabilisce che un attacco a un membro dell'Alleanza in Europa o nell'America settentrionale costituisce un attacco verso tutte, il che impegna l'alleanza a rispondere nella sua totalità. Il 12 novembre 2001 le forze occidentali invadono l'Afghanistan e prendono possesso di Kabul cacciando i talebani, con il proposito non solo di distruggere i terroristi ma anche di inaugurare un'era di pace e prosperità. Proposito che rimarrà una pia illusione: in 20 anni– costati alla coalizione 3.232 morti e migliaia di miliardi di dollari- i combattimenti non sono mai cessati. Nel 2020 il Presidente Trump stipula un accordo con i talebani: avrebbe ritirato il contingente americano nel 2021 in cambio dell'impegno di mettere fine agli attacchi alle forze straniere e recidere i legami con al-Qaeda e l'Isis. Quando Biden entra in carica, dichiara che accetta l'accordo e che porrà fine alla più lunga guerra americana. Il 4 luglio scorso con l'abbandono della base di Bagram ha inizio il ritiro dell'esercito americano. Il 30 agosto tutte le forze alleate che avevano affiancato gli statunitensi lasciano il suolo afghano. E i talebani sono di nuovo padroni del Paese. Sono avvenuti cambiamenti in questi vent'anni o sono solo un effetto secondario della presenza dell'Occidente? C'è la sensazione che qualunque cosa accada, il Paese sia cambiato troppo per essere di nuovo governato da mullah provenienti dai fangosi villaggi dell'Afghanistan meridionale. Tuttavia, le città sono cadute nelle mani dei talebani una dopo l'altra in una manciata di giorni senza opporre resistenza. L'esercito afghano si è sciolto come neve al sole e il 15 agosto i talebani si sono insediati nella capitale senza colpo ferire. Nel 2001, Kabul era rovine e macerie– effetto della lunga guerra con l'Unione Sovietica che aveva invaso il Paese nel 1979 e delle lotte tribali fra le varie fazioni dei mujaheddin- con una popolazione di circa due milioni. Oggi gli abitanti sono 4 milioni. Interi quartieri sono scomparsi sostituiti da grattacieli e centri commerciali, università, burger restaurant e caffè. Il shalwar-kameez – la lunga camiciola, tipico abbigliamento maschile – ha perso quota in favore della moda occidentale. Nell'ultimo periodo del loro governo, i talebani avevano negato alle donne l'accesso all'istruzione e al lavoro. Dal 2001, da quando i talebani sono stati cacciati, donne e ragazze, soprattutto nei centri urbani come Kabul, hanno sperimentato più larghe libertà. Per la prima volta sono potute andare a scuola, si sono abituate a girare per strada, sole o in coppia, i burka sostituiti da tuniche fantasia indossate sui jeans, i capelli coperti da foulard. Quest'anno si sono iscritte a scuola circa 3,5 milioni di ragazze, ma misoginia e un sistema patriarcale che limitano la libertà e l'indipendenza delle donne non sono scomparsi. Ancora oggi c'è chi ricorda di essere stata costretta a guardare la lapidazione di Rokhshama, la diciannovenne proveniente da Ghor nel centro dell'Afghanistan, lapidata a morte per ordine dei talebani per essere fuggita da un matrimonio forzato o a quello di una giovane, colpevole di aver viaggiato da una città all'altra con due uomini che non erano suoi parenti. Ora, dopo il loro ritorno al potere, i talebani hanno fatto capire chiaramente che le donne “devono fare figli, non i ministri”: in parole povere devono ritornare ad essere silenziose, obbedienti, timorose. E invisibili. C'è chi spera che lo scorrere del tempo alla fine dissolverà le posizioni antidiluviane delle vecchie generazioni. Un fatto da non sottovalutare è che due terzi della popolazione afghana hanno meno di 25 anni. Quando i talebani avevano il potere, erano solo bambini e non possono ricordare com'era la vita allora. Grazie agli aiuti dei governi occidentali e i programmi di sviluppo, sono numerosi i giovani che hanno diplomi universitari e lavori ben pagati nel settore privato o nelle ONG. Nel 2003 il Paese non aveva praticamente linee telefoniche. Ora il 90% degli afgani hanno accesso a cellulari, con 12 milioni di persone che usano servizi dati. Abbondano i negozi di telefonia e account su facebook per coloro che non sanno leggere ma sono appassionati di social media. I talebani sono contrari a una tecnologia che non approvano – 20 anni fa, la televisione era messa al bando - ma la usano avidamente come chiunque altro. I giovani sono convinti che i talebani non saranno in grado di controllare tutta la popolazione giorno e notte, non potranno dare la caccia a chiunque usi internet. I progressi tuttavia si sono realizzati soprattutto a Kabul e nelle grandi città: un terzo del prodotto interno lordo del Paese dipende infatti dall'agricoltura nella quale sono impiegati l'80% degli afgani – fondamentalmente conservatori per i quali non esistono valori come libertà e democrazia. Uva e uva passa, dopo l'oppio, sono i raccolti da esportazione più redditizi. I miglioramenti della rete stradale hanno aiutato gli agricoltori a trovare nuovi mercati, inclusi i Paesi vicini. C'è poi il problema delle forze armate. Stando al progettato “Nuovo Afghanistan” le milizie locali non dovevano avere nessuna funzione. Dal 2001, sono stati spesi 83 miliardi di dollari per costruire forze di sicurezza nazionale che in teoria avrebbero dovuto sostituire la miriade di gruppi armati che un tempo controllavano aree del territorio. L'idea era quella di creare un esercito professionista controllato da Kabul che riflettesse le varie diversità etniche dell'Afghanistan. In realtà, l'esercito nazionale afgano è sempre stato troppo piccolo, male equipaggiato e impreparato per contrastare il risorgere del movimento talebano. La maggior parte delle reclute ha accettato l'impiego non per amor di patria ma per la paga. Pochi altri lavori disponibili erano così ben pagati. Quando è iniziato il ritorno dei talebani, i giovani soldati si sono convinti che sarebbero stati tutti massacrati, e hanno abbandonato il campo di battaglia senza sparare un colpo. Come costoro, anche Ashraf Ghani, Presidente della repubblica afghana, si è dato alla fuga. Questa è una delle spiegazioni della facile avanzata dei talebani verso Kabul. Un'altra è che gli USA e i suoi alleati hanno creato il tipo sbagliato di forze armate. Modellato sulle forze NATO, l'ANA – Afghan National Army – dipende dall'abilità di rifornire ininterrottamente gli approvvigionamenti alla linea del fronte e all'aviazione: un lavoro in continua evoluzione. Dipendendo dalle forze armate USA e i suoi contractors, quando questi sono tornati a casa, l'ANA si è ritrovata a difendere le posizioni senza cibo, senza carburante, senza munizioni o copertura aerea. L'altro errore nella creazione del nuovo esercito afghano è stata la marginalizzazione dei vecchi signori della guerra che avevano un forte incentivo a difendere il loro territorio. Tutti costoro sono stati disarmati: per sopravvivere sono diventati macellai, calzolai, gelatai… Il Nuovo Afghanistan sta per essere messo alla prova: è reale o è solo un effetto della presenza occidentale? Sotto molti aspetti, è un Paese nuovo. Dal giorno in cui hanno preso il potere, i talebani si sono ripromessi di creare un “governo islamico”. Hanno ridotto al silenzio stazioni radio e TV - quelle che ancora trasmettono hanno cancellato la musica dai programmi e allontanato le donne dallo staff. Le donne, che costituiscono il 50% della popolazione, saranno rispettate, affermano, ma non potranno più fraternizzare con uomini che non siano parenti stretti. I primi segnali pertanto non sono incoraggianti. Il futuro dell'Afghanistan rimane quanto mai incerto. Quello che è certo è che quando si è assaporato per vent'anni il gusto della libertà, nemmeno i talebani possono cancellarne il ricordo.






Fonte: di GIULIETTA ROVERA
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