"BANANARI SENZA BANANE" di Marco Cianca
di Marco Cianca
25-09-2023 - EDITORIALE
Riprendiamo le parole di Giuliano Amato. “La versione più credibile è quella della responsabilità dell'Aeronautica francese, la complicità degli americani e di chi partecipò alla guerra aerea nei nostri cieli la sera di quel 27 giugno. Si voleva fare la pelle a Gheddafi, in volo su un Mig della sua aviazione. Il piano prevedeva di simulare un'esercitazione della Nato, con molti aerei in azione, nel corso della quale sarebbe dovuto partire un missile contro il leader libico: l'esercitazione era una messa in scena che avrebbe permesso di spacciare l'attentato come incidente involontario”.
E ancora: “Gheddafi fu avvertito del pericolo e non salì sul suo aereo. Il missile sganciato contro il Mig libico finì per colpire il Dc9 dell'Itavia che si inabissò con dentro 81 innocenti. L'ipotesi più accreditata è che quel missile sia stato lanciato da un caccia francese partito da una portaerei al largo della costa meridionale della Corsica o dalla base militare di Solenzara, quella sera molto trafficata. La Francia su questo non ha mai fatto luce”.
“Ecco la verità su Ustica. Macron chieda scusa”, ha titolato in prima pagina la Repubblica. L'intervista, pubblicata lo scorso 2 settembre, per qualche giorno ha oscurato le altre bagatelle nostrane, dai cinque operai finiti sotto un treno agli sbarchi di Lampedusa, dalla crisi economica al caos climatico. Perfino le nefaste scempiaggini profuse con generosità dall'attuale maggioranza hanno subìto una momentanea sordina, salvo riprendere immediatamente come prima, peggio di prima.
“Se ha delle prove, le tiri fuori. Altrimenti farebbe meglio a stare zitto”, è stata la reazione più diffusa, inclusa quella di Giorgia Meloni. Tanto da indurre lo stesso Amato a convocare una conferenza stampa, per ribadire, circoscrivere, smussare. “Non ho mai detto a Macron di chiedere scusa, ma che sono scemo? Ho chiesto di occuparsi della cosa”. “Non ho mai detto che stavo dando la verità ma che portavo avanti l'ipotesi ritenuta più credibile tra quelle formulate”.
“Ho voluto lanciare una sfida. Chi sa, parli ora. Questo il senso dell'appello rivolto ai testimoni reticenti, gli ultimi sopravvissuti di una generazione che si sta estinguendo”, ha continuato. Ma perché proprio ora? “Alla base - ecco la risposta alla domanda che tutti abbiamo fatto - c'è stato il bisogno di verità che ad una certa età diventa più urgente, con il tempo davanti che si accorcia ogni giorno”.
Insomma, nessuna novità. E così, nel giro di poco, sulla tragedia di 43 anni fa è ricalato il sipario. Repubblica ha provato ad insistere. A metà settembre, in un'altra intervista, Giuseppe Dioguardi, maresciallo dell'Aeronautica in pensione, rivela l'esistenza di un dossier del Sismi di cui si sono perse le tracce e confessa di aver distrutto lui stesso importanti documenti. Poi, il quotidiano denuncia che, stando a fonti del ministero della Difesa, ci sarebbero ancora sette incartamenti segreti “fermi in attesa del nullaosta dagli enti che li hanno emessi”, i quali, però, non sarebbero decisivi. Lirio Abbate, in un corsivo, chiede che siano resi pubblici al più presto e ribadisce il dubbio che in quei reconditi archivi “ci possa essere ancora molto, perché lì dentro si è cercato male e malvolentieri”.
Eccoci di nuovo al punto di partenza, al 27 giugno del 1980. Tranchant Rino Formica, ministro dei Trasporti ai tempi della strage, che ben conosce Amato, del quale è stato compagno di partito: “La sua uscita non aggiunge nulla sul piano storico. Non introduce una novità documentale. Cossiga mi anticipò le sue ipotesi sul missile in una conversazione privata, come ho raccontato all'autorità giudiziaria. Perché si apre la questione delle responsabilità dirette della Francia, rivolgendosi direttamente e proprio ora al presidente Macron? Giuliano Amato in questi 40 anni ha avuto molte occasioni per rivolgersi alle autorità francesi e lo fa oggi, chiedendo un atto di confessione pubblica di responsabilità che ricorda il messaggio di Paolo VI ai sequestratori di Moro”.
Gli interrogativi restano, inquietanti. Perché l'ex presidente del consiglio ha deciso di fare questa improvvisa uscita? Un messaggio criptico a qualcuno, una vendetta, un avvertimento, una coazione a rimettersi sempre nel centro della scena? Mai sopite ambizioni di salita al Colle? Di certo, sollevare sospetti e accuse nei confronti della Francia non fa che complicare ulteriormente i già difficili rapporti con i cugini d'oltralpe. E anche l'Alleanza atlantica, mentre la guerra in Ucraina resta una ferita aperta, finisce sul banco dei grandi accusati. “Ci guadagna la Nato ad apparire ancora più disumana nascondendo una tragedia del genere?”: una frase bella pesante, non c'è che dire.
Tutti i retroscena possibili e immaginabili sembrano a questo punto autorizzati.
In controtendenza con le critiche e le polemiche, Daria Bonfietti, Associazione dei parenti delle vittime (nella tragedia perse il fratello), ha voluto invece ringraziare Amato per il suo intervento giudicandolo “una iniziativa molto importante nel percorso per la verità”. In una lettera, sempre a Repubblica, ha ricordato il contributo già dato dal dottor Sottile: “E' lui il sottosegretario che nell'86 mette a disposizione della magistratura i fondi per il recupero del Dc9 dal fondo del Tirreno. È il sottosegretario alla Presidenza del consiglio che comincia a denunciare che anche a lui sono state fornite liste di nomi non corrette rispetto alla presenza dei militari ai radar. Poi è capo di quel governo, Salvo Andò ministro della Difesa, inizi anni ‘90, che si costituisce parte civile contro i militari imputati dal giudice Priore. Anche questo un gesto di grande valore simbolico ma soprattutto pratico”. La conclusione diventa un appello: “Non fermiamoci alle polemiche, ma troviamo la forza per chiedere ancora, in Italia e nei paesi amici e alleati, la verità dovuta alle povere vittime ma anche rendiamocene conto, per la dignità di questo nostro Paese”.
Il timore, però, è che anche questo momentaneo sprazzo venga inghiottito da una memoria collettiva piena di punti interrogativi. “Restiamo senza niente”, ha chiosato, con una poetica citazione, Andrea Ermano su “L'Avvenire dei lavoratori”. Andrea Purgatori, il giornalista che delle indagini su Ustica aveva fatto una ragione di vita, non c'è più e non può aiutarci a capire. Dalla strage di Portella della Ginestra alla bomba di Bologna, passando per piazza Fontana, i buchi neri della nostra storia continuano ad inghiottire la credibilità delle istituzioni. E la destra al governo, questa brutta destra, fa paura.
Formica si dice preoccupato: «C'è qualcosa di torbido nell'aria. Per aprire una nuova fase costituente bisogna azzerare la Repubblica, annacquare ogni differenza in una responsabilità collettiva, in misteri che coprono altri misteri».
Siamo un paese di bananari, ma senza banane. Non abbiamo materie prime che possano far gola alle grandi multinazionali ma l'anima, quella sì, siamo sempre pronti a metterla nelle mani del Mefistofele di turno.
Repubblica delle banane è un'espressione coniata nel 1904 dallo scrittore statunitense O. Henry, pseudonimo di William Sydney Porter, il quale si ispirò all' Honduras. In fin dei conti, siamo più simili al Paese centro -americano che alle grandi democrazie. Facciamocene una ragione. D'altro canto, abbiamo proclamato una giornata di lutto nazionale quando è scomparso Silvio Berlusconi. Il Cavalier Banana per eccellenza.
E ancora: “Gheddafi fu avvertito del pericolo e non salì sul suo aereo. Il missile sganciato contro il Mig libico finì per colpire il Dc9 dell'Itavia che si inabissò con dentro 81 innocenti. L'ipotesi più accreditata è che quel missile sia stato lanciato da un caccia francese partito da una portaerei al largo della costa meridionale della Corsica o dalla base militare di Solenzara, quella sera molto trafficata. La Francia su questo non ha mai fatto luce”.
“Ecco la verità su Ustica. Macron chieda scusa”, ha titolato in prima pagina la Repubblica. L'intervista, pubblicata lo scorso 2 settembre, per qualche giorno ha oscurato le altre bagatelle nostrane, dai cinque operai finiti sotto un treno agli sbarchi di Lampedusa, dalla crisi economica al caos climatico. Perfino le nefaste scempiaggini profuse con generosità dall'attuale maggioranza hanno subìto una momentanea sordina, salvo riprendere immediatamente come prima, peggio di prima.
“Se ha delle prove, le tiri fuori. Altrimenti farebbe meglio a stare zitto”, è stata la reazione più diffusa, inclusa quella di Giorgia Meloni. Tanto da indurre lo stesso Amato a convocare una conferenza stampa, per ribadire, circoscrivere, smussare. “Non ho mai detto a Macron di chiedere scusa, ma che sono scemo? Ho chiesto di occuparsi della cosa”. “Non ho mai detto che stavo dando la verità ma che portavo avanti l'ipotesi ritenuta più credibile tra quelle formulate”.
“Ho voluto lanciare una sfida. Chi sa, parli ora. Questo il senso dell'appello rivolto ai testimoni reticenti, gli ultimi sopravvissuti di una generazione che si sta estinguendo”, ha continuato. Ma perché proprio ora? “Alla base - ecco la risposta alla domanda che tutti abbiamo fatto - c'è stato il bisogno di verità che ad una certa età diventa più urgente, con il tempo davanti che si accorcia ogni giorno”.
Insomma, nessuna novità. E così, nel giro di poco, sulla tragedia di 43 anni fa è ricalato il sipario. Repubblica ha provato ad insistere. A metà settembre, in un'altra intervista, Giuseppe Dioguardi, maresciallo dell'Aeronautica in pensione, rivela l'esistenza di un dossier del Sismi di cui si sono perse le tracce e confessa di aver distrutto lui stesso importanti documenti. Poi, il quotidiano denuncia che, stando a fonti del ministero della Difesa, ci sarebbero ancora sette incartamenti segreti “fermi in attesa del nullaosta dagli enti che li hanno emessi”, i quali, però, non sarebbero decisivi. Lirio Abbate, in un corsivo, chiede che siano resi pubblici al più presto e ribadisce il dubbio che in quei reconditi archivi “ci possa essere ancora molto, perché lì dentro si è cercato male e malvolentieri”.
Eccoci di nuovo al punto di partenza, al 27 giugno del 1980. Tranchant Rino Formica, ministro dei Trasporti ai tempi della strage, che ben conosce Amato, del quale è stato compagno di partito: “La sua uscita non aggiunge nulla sul piano storico. Non introduce una novità documentale. Cossiga mi anticipò le sue ipotesi sul missile in una conversazione privata, come ho raccontato all'autorità giudiziaria. Perché si apre la questione delle responsabilità dirette della Francia, rivolgendosi direttamente e proprio ora al presidente Macron? Giuliano Amato in questi 40 anni ha avuto molte occasioni per rivolgersi alle autorità francesi e lo fa oggi, chiedendo un atto di confessione pubblica di responsabilità che ricorda il messaggio di Paolo VI ai sequestratori di Moro”.
Gli interrogativi restano, inquietanti. Perché l'ex presidente del consiglio ha deciso di fare questa improvvisa uscita? Un messaggio criptico a qualcuno, una vendetta, un avvertimento, una coazione a rimettersi sempre nel centro della scena? Mai sopite ambizioni di salita al Colle? Di certo, sollevare sospetti e accuse nei confronti della Francia non fa che complicare ulteriormente i già difficili rapporti con i cugini d'oltralpe. E anche l'Alleanza atlantica, mentre la guerra in Ucraina resta una ferita aperta, finisce sul banco dei grandi accusati. “Ci guadagna la Nato ad apparire ancora più disumana nascondendo una tragedia del genere?”: una frase bella pesante, non c'è che dire.
Tutti i retroscena possibili e immaginabili sembrano a questo punto autorizzati.
In controtendenza con le critiche e le polemiche, Daria Bonfietti, Associazione dei parenti delle vittime (nella tragedia perse il fratello), ha voluto invece ringraziare Amato per il suo intervento giudicandolo “una iniziativa molto importante nel percorso per la verità”. In una lettera, sempre a Repubblica, ha ricordato il contributo già dato dal dottor Sottile: “E' lui il sottosegretario che nell'86 mette a disposizione della magistratura i fondi per il recupero del Dc9 dal fondo del Tirreno. È il sottosegretario alla Presidenza del consiglio che comincia a denunciare che anche a lui sono state fornite liste di nomi non corrette rispetto alla presenza dei militari ai radar. Poi è capo di quel governo, Salvo Andò ministro della Difesa, inizi anni ‘90, che si costituisce parte civile contro i militari imputati dal giudice Priore. Anche questo un gesto di grande valore simbolico ma soprattutto pratico”. La conclusione diventa un appello: “Non fermiamoci alle polemiche, ma troviamo la forza per chiedere ancora, in Italia e nei paesi amici e alleati, la verità dovuta alle povere vittime ma anche rendiamocene conto, per la dignità di questo nostro Paese”.
Il timore, però, è che anche questo momentaneo sprazzo venga inghiottito da una memoria collettiva piena di punti interrogativi. “Restiamo senza niente”, ha chiosato, con una poetica citazione, Andrea Ermano su “L'Avvenire dei lavoratori”. Andrea Purgatori, il giornalista che delle indagini su Ustica aveva fatto una ragione di vita, non c'è più e non può aiutarci a capire. Dalla strage di Portella della Ginestra alla bomba di Bologna, passando per piazza Fontana, i buchi neri della nostra storia continuano ad inghiottire la credibilità delle istituzioni. E la destra al governo, questa brutta destra, fa paura.
Formica si dice preoccupato: «C'è qualcosa di torbido nell'aria. Per aprire una nuova fase costituente bisogna azzerare la Repubblica, annacquare ogni differenza in una responsabilità collettiva, in misteri che coprono altri misteri».
Siamo un paese di bananari, ma senza banane. Non abbiamo materie prime che possano far gola alle grandi multinazionali ma l'anima, quella sì, siamo sempre pronti a metterla nelle mani del Mefistofele di turno.
Repubblica delle banane è un'espressione coniata nel 1904 dallo scrittore statunitense O. Henry, pseudonimo di William Sydney Porter, il quale si ispirò all' Honduras. In fin dei conti, siamo più simili al Paese centro -americano che alle grandi democrazie. Facciamocene una ragione. D'altro canto, abbiamo proclamato una giornata di lutto nazionale quando è scomparso Silvio Berlusconi. Il Cavalier Banana per eccellenza.