BILL EMMOTT di Enno Ghiandelli
di Enno Ghiandelli
27-01-2025 - CRONACHE SOCIALISTE
Il noto giornalista economico inglese, già direttore dell’”Economist”, ha rilasciato una intervista, il 31 dicembre 2024, a “la Repubblica” nel corso della quale afferma testualmente che “Una massiccia concentrazione di potere e ricchezza è sempre una minaccia per la democrazia…” Sono completamente d’accordo con lui. Peccato però che non colleghi questa sua affermazione con un’analisi critica del capitalismo.
L’utilitarismo, che sta alla base della teoria del libero mercato, ha destato più di un sospetto negli economisti inglesi. John Stuart Mill, uno dei precursori del liberal socialismo anch’egli utilitarista, nel suo libro Utilitarism (1861) cerca di trovare una motivazione dell’utilitarismo che lo renda compatibile con i suoi convincimenti progressisti. Egli scrive “Tra la sua felicità e quella degli altri, l'utilitarismo richiede che egli (l’uomo) sia rigorosamente imparziale come uno spettatore disinteressato e benevolo. Nella regola d'oro di Gesù di Nazareth, leggiamo lo spirito completo dell'etica dell'utilità. Fare come vorresti che fosse fatto a te, e amare il tuo prossimo come te stesso, costituiscono la perfezione ideale della moralità utilitaristica“. La teoria dell’utilitarismo prosegue per la sua strada logica che la porta alla pratica dell’individualismo metodologico. Quel pensiero che teorizza che è la somma delle scelte individuali a determinare i fenomeni economici. Non è un caso che a parlare di individualismo metodologico fu Carl Menger, il fondatore della ultraliberista Scuola austriaca di economia che vanta fra i suoi adepti anche quel Friedrich von Hayek che prese le difese del sanguinario golpista cileno Augusto Pinochet in nome del libero mercato (che non esiste).Il comportamento dell’homo œconomicus (campione dell’utilitarismo) si può definire con la celebre frase di Virgilio: Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames (A che cosa non spingi l'animo degli uomini, maledetta brama d'oro).
Come ha dimostrato Paolo Sylos Labini (Progresso e oligopolio) il sistema produttivo-finanziario, da circa la metà del secolo scorso, ha preso una piega che lo ha portato alla formazione di gruppi monopolistici. Da quel momento il potere economico ha iniziato in maniera pesante a condizionare ed indirizzare le scelte politiche dei governi.
Per chi non è convinto di questa affermazione consiglio di leggere un libro pubblicato nel 1934 (M. Josephson The Robber barons, pubblicato in Italia nel 1947 con il titolo di Baroni Ladri, Longanesi), dove vengono narrate le “gesta” dei maggiori imprenditori statunitensi agli albori del nascente capitalismo monopolista negli ultimi decenni dell’Ottocento. O più recentemente (1999) quando il Congresso americano abolì, su pressione del mondo finanziario, il Glass-Steagall Act, promulgato nel 1934 (dopo la crisi del 1929) per cercare di limitare lo strapotere delle banche e soprattutto porre un freno alla speculazione finanziaria delle medesime. La nuova legge è approvata sia dai repubblicani che dai democratici (prontamente firmata dall’allora Presidente democratico Bill Clinton) ovviamente per migliorare la concorrenza e quindi rendere più efficiente il sistema. Questa legge ha consentito alle banche ordinarie di poter investire sui mercati finanziari al pari di quelle di investimento. La nuova legge, conosciuta come Gramm-Leach-Bliley Act, ha consentito che la speculazione finanziaria diventasse il motore trainante dell’economia che con il combinato disposto della globalizzazione ha prodotto la crisi economica nel mondo occidentale.
Di fronte a questi cambiamenti epocali la sinistra non ha saputo opporre alcuna strategia per fermare questa vera e propria carneficina. Anzi ha lasciato credere che l’utilitarismo era diventata l’unica teoria in grado di interpretare correttamente l’economia e che, se applicata integralmente avrebbe portato benessere a tutta la società. Salvo, quando le cose non andavano come la teoria prevedeva, accusare il sindacato, che faceva il suo mestiere, di attentare all’economia al pari de “i lacci e i lacciuoli” della pubblica amministrazione.
La sinistra, non solo italiana ma anche europea, non solo rimase afona ma accettò queste teorie. Il Primo Ministro inglese Tony Blair con la “Terza Via” e il Cancelliere tedesco Gerhard Schröder nei primi anni duemila non seppe far di meglio che promuovere una riduzione dei salari e un taglio del welfare.
A questo punto la sinistra pensò che la linea di faglia con la destra fossero i diritti civili (cosa importantissima), non proprio però il core business della sinistra europea, mentre in maniera non lineare lo era per i Democratici statunitensi. Questa scelta ha alienato alla sinistra il rapporto con i suoi elettori tradizionali che in parte hanno creduto alle false promesse della destra ed in parte hanno deciso di non partecipare più al voto. La sinistra ha fatto come Alice nel paese delle meraviglie, quando chiede allo stregatto quale strada prendere per uscire e lui le chiede dove vuole andare e Alice gli risponde che non ha importanza vuole solo uscire, allora lo stregatto gli risponde che qualsiasi strada va bene.
Tutto è perduto? Penso di no. Bisogna avere il coraggio di tornare all’inizio, all’archè direbbero i greci, partendo dalla comprensione di come funzioni il sistema capitalistico e poi adattare le proprie politiche che attraverso il riformismo ci portino prima ad una società più giusta e poi al socialismo.
Non si parte da niente, c’è una teoria che serve a capire molto bene cosa accade in una economia capitalista quella proposta dal grande economista italiano Piero Sraffa nel suo libro Produzione di merci a mezzo di merci. Premesse ad una critica della teoria economica. Senza voler ulteriormente annoiare dico che in un’economia capitalista è sufficiente controllare i beni base, che sono solo alcuni, per indirizzare l’economia e che dopo aver remunerato i fattori della produzione rimane un surplus che viene spartito fra capitalisti e lavoratori in base agli esiti della lotta di classe.
Mi rendo conto che una cosa è affrontare questi temi sulla carta una cosa è calarli nella società, visti anche i tempi, ma se non incominciamo dall’origine della ragione di vita della sinistra, difendere i più deboli, non ci può essere progresso.
Senza giustizia sociale, la sinistra non uscirà dalle secche in cui si trova.
L’utilitarismo, che sta alla base della teoria del libero mercato, ha destato più di un sospetto negli economisti inglesi. John Stuart Mill, uno dei precursori del liberal socialismo anch’egli utilitarista, nel suo libro Utilitarism (1861) cerca di trovare una motivazione dell’utilitarismo che lo renda compatibile con i suoi convincimenti progressisti. Egli scrive “Tra la sua felicità e quella degli altri, l'utilitarismo richiede che egli (l’uomo) sia rigorosamente imparziale come uno spettatore disinteressato e benevolo. Nella regola d'oro di Gesù di Nazareth, leggiamo lo spirito completo dell'etica dell'utilità. Fare come vorresti che fosse fatto a te, e amare il tuo prossimo come te stesso, costituiscono la perfezione ideale della moralità utilitaristica“. La teoria dell’utilitarismo prosegue per la sua strada logica che la porta alla pratica dell’individualismo metodologico. Quel pensiero che teorizza che è la somma delle scelte individuali a determinare i fenomeni economici. Non è un caso che a parlare di individualismo metodologico fu Carl Menger, il fondatore della ultraliberista Scuola austriaca di economia che vanta fra i suoi adepti anche quel Friedrich von Hayek che prese le difese del sanguinario golpista cileno Augusto Pinochet in nome del libero mercato (che non esiste).Il comportamento dell’homo œconomicus (campione dell’utilitarismo) si può definire con la celebre frase di Virgilio: Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames (A che cosa non spingi l'animo degli uomini, maledetta brama d'oro).
Come ha dimostrato Paolo Sylos Labini (Progresso e oligopolio) il sistema produttivo-finanziario, da circa la metà del secolo scorso, ha preso una piega che lo ha portato alla formazione di gruppi monopolistici. Da quel momento il potere economico ha iniziato in maniera pesante a condizionare ed indirizzare le scelte politiche dei governi.
Per chi non è convinto di questa affermazione consiglio di leggere un libro pubblicato nel 1934 (M. Josephson The Robber barons, pubblicato in Italia nel 1947 con il titolo di Baroni Ladri, Longanesi), dove vengono narrate le “gesta” dei maggiori imprenditori statunitensi agli albori del nascente capitalismo monopolista negli ultimi decenni dell’Ottocento. O più recentemente (1999) quando il Congresso americano abolì, su pressione del mondo finanziario, il Glass-Steagall Act, promulgato nel 1934 (dopo la crisi del 1929) per cercare di limitare lo strapotere delle banche e soprattutto porre un freno alla speculazione finanziaria delle medesime. La nuova legge è approvata sia dai repubblicani che dai democratici (prontamente firmata dall’allora Presidente democratico Bill Clinton) ovviamente per migliorare la concorrenza e quindi rendere più efficiente il sistema. Questa legge ha consentito alle banche ordinarie di poter investire sui mercati finanziari al pari di quelle di investimento. La nuova legge, conosciuta come Gramm-Leach-Bliley Act, ha consentito che la speculazione finanziaria diventasse il motore trainante dell’economia che con il combinato disposto della globalizzazione ha prodotto la crisi economica nel mondo occidentale.
Di fronte a questi cambiamenti epocali la sinistra non ha saputo opporre alcuna strategia per fermare questa vera e propria carneficina. Anzi ha lasciato credere che l’utilitarismo era diventata l’unica teoria in grado di interpretare correttamente l’economia e che, se applicata integralmente avrebbe portato benessere a tutta la società. Salvo, quando le cose non andavano come la teoria prevedeva, accusare il sindacato, che faceva il suo mestiere, di attentare all’economia al pari de “i lacci e i lacciuoli” della pubblica amministrazione.
La sinistra, non solo italiana ma anche europea, non solo rimase afona ma accettò queste teorie. Il Primo Ministro inglese Tony Blair con la “Terza Via” e il Cancelliere tedesco Gerhard Schröder nei primi anni duemila non seppe far di meglio che promuovere una riduzione dei salari e un taglio del welfare.
A questo punto la sinistra pensò che la linea di faglia con la destra fossero i diritti civili (cosa importantissima), non proprio però il core business della sinistra europea, mentre in maniera non lineare lo era per i Democratici statunitensi. Questa scelta ha alienato alla sinistra il rapporto con i suoi elettori tradizionali che in parte hanno creduto alle false promesse della destra ed in parte hanno deciso di non partecipare più al voto. La sinistra ha fatto come Alice nel paese delle meraviglie, quando chiede allo stregatto quale strada prendere per uscire e lui le chiede dove vuole andare e Alice gli risponde che non ha importanza vuole solo uscire, allora lo stregatto gli risponde che qualsiasi strada va bene.
Tutto è perduto? Penso di no. Bisogna avere il coraggio di tornare all’inizio, all’archè direbbero i greci, partendo dalla comprensione di come funzioni il sistema capitalistico e poi adattare le proprie politiche che attraverso il riformismo ci portino prima ad una società più giusta e poi al socialismo.
Non si parte da niente, c’è una teoria che serve a capire molto bene cosa accade in una economia capitalista quella proposta dal grande economista italiano Piero Sraffa nel suo libro Produzione di merci a mezzo di merci. Premesse ad una critica della teoria economica. Senza voler ulteriormente annoiare dico che in un’economia capitalista è sufficiente controllare i beni base, che sono solo alcuni, per indirizzare l’economia e che dopo aver remunerato i fattori della produzione rimane un surplus che viene spartito fra capitalisti e lavoratori in base agli esiti della lotta di classe.
Mi rendo conto che una cosa è affrontare questi temi sulla carta una cosa è calarli nella società, visti anche i tempi, ma se non incominciamo dall’origine della ragione di vita della sinistra, difendere i più deboli, non ci può essere progresso.
Senza giustizia sociale, la sinistra non uscirà dalle secche in cui si trova.
Fonte: di Enno Ghiandelli