"BOTTE DA ORBAN"
25-07-2021 - DIARIO POLITICO di Giuseppe Butta'
Mi auguro che nessuno possa pensare che la reazione dell'UE – Commissione, Parlamento, la reazione dei vari Macron, Sassoli, Merkel, Von der Lyen, Draghi, replicata pedissequamente dai vari Letta e Conte – contro la legge ungherese «contro la pedofilia, la pornografia, e la diffusione di contenuti omosessuali ai minori», significhi che stiamo costruendo un'Europa che favorisce l'egemonia del pensiero-unico Lbgtq (lesbiche, bisessuali, gay, transgender, queer, che tali sono per scelta piuttosto che per esigenze della natura), un pensiero che, più che spiegare comportamenti in essere da sempre, si è costituita in ideologia rivoluzionaria il cui fine dichiarato è quello di ridurre la morale sessuale naturale a un coacervo di vincoli senza senso.
Ma la sensazione spiacevole è che questa Europa si avvii velocemente a essere schiava delle carnevalesche esibizioni dei gay pride day che cercano di imporre a tout le monde, come norme e valori assoluti, punti di vista moralmente ed esteticamente discutibili: ben 16 leader europei, tra cui il nostro Draghi, hanno scritto una lettera ai Cari Charles, Ursula e Antonio, attualmente a capo dell'Unione, per ribadire quelli che essi pensano essere valori comuni di uguaglianza e libertà. La nota è stata mandata in occasione della Giornata internazionale per i diritti arcobaleno del 28 giugno.
Palazzo Chigi vi ha aggiunto del suo: «l'odio, l'intolleranza e la discriminazione non hanno posto nella nostra Unione. Ecco perché, oggi e ogni giorno, sosteniamo la diversità e l'uguaglianza Lgbt in modo che le nostre generazioni future possano crescere in un'Europa di uguaglianza e rispetto».
Dobbiamo chiederci però se anche una legge che proibisse la propaganda di espliciti comportamenti eterosessuali tra i minori possa essere considerata una ‘vergogna' come ha detto la von der Lyen a proposito della legge ungherese in questione; il Parlamento Europeo, approfittando dell'occasione, ha compiuto un altro gigantesco passo in avanti in difesa del cosiddetto diritto di aborto – verso ‘le magnifiche sorti e progressive' – approvando una risoluzione in cui si sostiene che l'aborto coincide con «il diritto alla salute sessuale e riproduttiva … un diritto fondamentale delle donne che dovrebbe essere rafforzato e non può essere in alcun modo indebolito o revocato» e si condanna «la prassi comune in alcuni stati membri di la cosiddetta obiezione di coscienza dei medici contro l'aborto». Letta ha pure affermato che l'Italia, seguendo questa strada, diventerà più europea: un bel progresso!
EVVIVA!
Certamente siamo davanti a una nuova scoperta dei diritti naturali (e costituzionali); siamo di fronte alla necessità di rivedere la insufficiente, oserei dire infantile, visione dei nostri grandi – da Locke a Rosmini, a Tocqueville e anche a Rousseau, che di diritti se ne intendevano – che, poveri tapini, non si erano accorti che, tra i diritti naturali, vi fosse anche quello delle donne di gestire il proprio corpo per perseguire la felicità propria, abortendo, e per aiutare gli altri a perseguire la propria, affittando l'utero.
Ma che cosa dice e vieta questa discussa legge ungherese?
Pare che la pietra dello scandalo per i cosiddetti ‘progressisti' europei sia il fatto che la legge – il cui oggetto è la lotta contro la pedofilia – parta dal presupposto che, per proteggere i minori dagli abusi, bisogna tenerli lontani da qualsiasi contenuto o rappresentazione riguardante l'omosessualità, o che tocchi il tema dell'identità di genere in rapporto al sesso biologico. Così, sempre in nome della tutela dei diritti dei bambini, la legge vieta la pornografia ma, al tempo stesso, anche la rappresentazione di qualsiasi orientamento sessuale diverso da quello eterosessuale. Parlando di «contenuti o rappresentazioni» per under 18 si intendono molte e diverse cose: si va dal materiale educativo per le scuole (questo è esplicitamente citato nella legge) ai romanzi, ai racconti fino ai prodotti di intrattenimento, come i film e le serie tv. Non sono consentiti, dunque, nelle scuole, testi o qualsiasi materiale informativo in cui, per esempio, si parli di «cambio di genere». Perché, come si leggeva nel comunicato di
Fidesz – il partito di Orban – che commentava la legge quando è stata presentata in aula, «i cosiddetti programmi di sensibilizzazione e le campagne anti-discriminazione possono danneggiare gravemente il loro sviluppo fisico, mentale e morale».
In sostanza, lo scandalo consisterebbe nel fatto che tali divieti siano stati inseriti in una legge che, sotto il manto della lotta alla pedofilia, finirebbe con l'accostare l'omosessualità alla pedofilia.
I denunciati attentati alle libertà degli omosessuali consisterebbero innanzitutto in tale indebito accostamento e nella discriminazione che la comunità Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, transgender, queer) ne subirebbe di conseguenza. Le organizzazioni per i diritti civili che contestano la legge l'hanno paragonata alla legge russa voluta da Putin nel 2013 che vieta la “propaganda gay” tra i minori e hanno spiegato che queste norme vanno contro i diritti di quei minori che si riconoscono omosessuali o hanno consapevolezza che il loro sesso biologico non corrisponde alla loro identità di genere. Esse sostengono inoltre che questa legge ungherese sarebbe in continuità con un emendamento alla Costituzione che limita il matrimonio alle coppie formate da uomo e donna e vieta l'adozione alle coppie gay.
Ora, anche se le perplessità sulla legittimità e sugli effetti di queste legge ed emendamenti costituzionali fossero fondate e l'Ungheria rifiutasse di abrogarli, non è certo la Commissione europea, o il Parlamento europeo, a poter irrogare sanzioni – per esempio la non concessione dei contributi finanziari previsti dal ‘Recovery Fund' o l'avvio di una ‘procedura di infrazione' – minacciate dai vari ‘cari Ursula, Davide, Charles,' etc. sulla base di proprie valutazioni politiche: a stabilire se la legge ungherese viola i trattati europei, dovrebbe essere piuttosto una corte di giustizia indipendente che potesse dichiararne l'illegittimità e, di conseguenza, l'inefficacia ma solo nelle materie di competenza dell'Unione: 1) competenza esclusiva: regole della concorrenza, politica monetaria, unione doganale, politica commerciale comune, conservazione delle risorse biologiche del mare; 2) competenza concorrente: mercato interno, politica sociale, coesione territoriale, economica e sociale, agricoltura e pesca, ambiente, protezione dei consumatori, trasporti, energia, ricerca, sviluppo tecnologico, aiuto umanitario e sviluppo della cooperazione; 3) competenze cosiddette di sostegno: coordinamento delle politiche economiche e occupazionali, tutela e miglioramento della salute umana; industria, cultura, turismo, istruzione, formazione professionale, gioventù e sport – materie nelle quali però la UE può solamente sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri; non dispone dunque di potere legislativo in questi settori e non può interferire nell'esercizio delle competenze riservate agli Stati membri: nei settori per i quali è prevista un'azione di sostegno dell'UE non può aver luogo in nessun caso un'armonizzazione delle disposizioni legislative nazionali (articolo 2, paragrafo 5, TFUE). La responsabilità per la forma giuridica adottata rimane pertanto in capo agli Stati membri, che godono così di una considerevole libertà di azione.
Nel caso della legge ungherese in questione, la Corte di giustizia europea non potrebbe dunque essere chiamata a giudicare dell'uniforme applicazione delle norme dell'Unione in una materia in cui questa non ha competenza: essa non è infatti una corte di giustizia indipendente che possa dichiarare l'illegittimità e, di conseguenza, l'inefficacia delle leggi dei singoli stati che la compongono; una tale corte non c'è perché l'UE non ha una costituzione che preveda tali modalità di annullamento.
L'unica cosa che potrebbe fare legittimamente la ‘cara Ursula' è quella di dichiarare la secessione dell'UE dall'Ungheria.
Ma la sensazione spiacevole è che questa Europa si avvii velocemente a essere schiava delle carnevalesche esibizioni dei gay pride day che cercano di imporre a tout le monde, come norme e valori assoluti, punti di vista moralmente ed esteticamente discutibili: ben 16 leader europei, tra cui il nostro Draghi, hanno scritto una lettera ai Cari Charles, Ursula e Antonio, attualmente a capo dell'Unione, per ribadire quelli che essi pensano essere valori comuni di uguaglianza e libertà. La nota è stata mandata in occasione della Giornata internazionale per i diritti arcobaleno del 28 giugno.
Palazzo Chigi vi ha aggiunto del suo: «l'odio, l'intolleranza e la discriminazione non hanno posto nella nostra Unione. Ecco perché, oggi e ogni giorno, sosteniamo la diversità e l'uguaglianza Lgbt in modo che le nostre generazioni future possano crescere in un'Europa di uguaglianza e rispetto».
Dobbiamo chiederci però se anche una legge che proibisse la propaganda di espliciti comportamenti eterosessuali tra i minori possa essere considerata una ‘vergogna' come ha detto la von der Lyen a proposito della legge ungherese in questione; il Parlamento Europeo, approfittando dell'occasione, ha compiuto un altro gigantesco passo in avanti in difesa del cosiddetto diritto di aborto – verso ‘le magnifiche sorti e progressive' – approvando una risoluzione in cui si sostiene che l'aborto coincide con «il diritto alla salute sessuale e riproduttiva … un diritto fondamentale delle donne che dovrebbe essere rafforzato e non può essere in alcun modo indebolito o revocato» e si condanna «la prassi comune in alcuni stati membri di la cosiddetta obiezione di coscienza dei medici contro l'aborto». Letta ha pure affermato che l'Italia, seguendo questa strada, diventerà più europea: un bel progresso!
EVVIVA!
Certamente siamo davanti a una nuova scoperta dei diritti naturali (e costituzionali); siamo di fronte alla necessità di rivedere la insufficiente, oserei dire infantile, visione dei nostri grandi – da Locke a Rosmini, a Tocqueville e anche a Rousseau, che di diritti se ne intendevano – che, poveri tapini, non si erano accorti che, tra i diritti naturali, vi fosse anche quello delle donne di gestire il proprio corpo per perseguire la felicità propria, abortendo, e per aiutare gli altri a perseguire la propria, affittando l'utero.
Ma che cosa dice e vieta questa discussa legge ungherese?
Pare che la pietra dello scandalo per i cosiddetti ‘progressisti' europei sia il fatto che la legge – il cui oggetto è la lotta contro la pedofilia – parta dal presupposto che, per proteggere i minori dagli abusi, bisogna tenerli lontani da qualsiasi contenuto o rappresentazione riguardante l'omosessualità, o che tocchi il tema dell'identità di genere in rapporto al sesso biologico. Così, sempre in nome della tutela dei diritti dei bambini, la legge vieta la pornografia ma, al tempo stesso, anche la rappresentazione di qualsiasi orientamento sessuale diverso da quello eterosessuale. Parlando di «contenuti o rappresentazioni» per under 18 si intendono molte e diverse cose: si va dal materiale educativo per le scuole (questo è esplicitamente citato nella legge) ai romanzi, ai racconti fino ai prodotti di intrattenimento, come i film e le serie tv. Non sono consentiti, dunque, nelle scuole, testi o qualsiasi materiale informativo in cui, per esempio, si parli di «cambio di genere». Perché, come si leggeva nel comunicato di
Fidesz – il partito di Orban – che commentava la legge quando è stata presentata in aula, «i cosiddetti programmi di sensibilizzazione e le campagne anti-discriminazione possono danneggiare gravemente il loro sviluppo fisico, mentale e morale».
In sostanza, lo scandalo consisterebbe nel fatto che tali divieti siano stati inseriti in una legge che, sotto il manto della lotta alla pedofilia, finirebbe con l'accostare l'omosessualità alla pedofilia.
I denunciati attentati alle libertà degli omosessuali consisterebbero innanzitutto in tale indebito accostamento e nella discriminazione che la comunità Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, transgender, queer) ne subirebbe di conseguenza. Le organizzazioni per i diritti civili che contestano la legge l'hanno paragonata alla legge russa voluta da Putin nel 2013 che vieta la “propaganda gay” tra i minori e hanno spiegato che queste norme vanno contro i diritti di quei minori che si riconoscono omosessuali o hanno consapevolezza che il loro sesso biologico non corrisponde alla loro identità di genere. Esse sostengono inoltre che questa legge ungherese sarebbe in continuità con un emendamento alla Costituzione che limita il matrimonio alle coppie formate da uomo e donna e vieta l'adozione alle coppie gay.
Ora, anche se le perplessità sulla legittimità e sugli effetti di queste legge ed emendamenti costituzionali fossero fondate e l'Ungheria rifiutasse di abrogarli, non è certo la Commissione europea, o il Parlamento europeo, a poter irrogare sanzioni – per esempio la non concessione dei contributi finanziari previsti dal ‘Recovery Fund' o l'avvio di una ‘procedura di infrazione' – minacciate dai vari ‘cari Ursula, Davide, Charles,' etc. sulla base di proprie valutazioni politiche: a stabilire se la legge ungherese viola i trattati europei, dovrebbe essere piuttosto una corte di giustizia indipendente che potesse dichiararne l'illegittimità e, di conseguenza, l'inefficacia ma solo nelle materie di competenza dell'Unione: 1) competenza esclusiva: regole della concorrenza, politica monetaria, unione doganale, politica commerciale comune, conservazione delle risorse biologiche del mare; 2) competenza concorrente: mercato interno, politica sociale, coesione territoriale, economica e sociale, agricoltura e pesca, ambiente, protezione dei consumatori, trasporti, energia, ricerca, sviluppo tecnologico, aiuto umanitario e sviluppo della cooperazione; 3) competenze cosiddette di sostegno: coordinamento delle politiche economiche e occupazionali, tutela e miglioramento della salute umana; industria, cultura, turismo, istruzione, formazione professionale, gioventù e sport – materie nelle quali però la UE può solamente sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri; non dispone dunque di potere legislativo in questi settori e non può interferire nell'esercizio delle competenze riservate agli Stati membri: nei settori per i quali è prevista un'azione di sostegno dell'UE non può aver luogo in nessun caso un'armonizzazione delle disposizioni legislative nazionali (articolo 2, paragrafo 5, TFUE). La responsabilità per la forma giuridica adottata rimane pertanto in capo agli Stati membri, che godono così di una considerevole libertà di azione.
Nel caso della legge ungherese in questione, la Corte di giustizia europea non potrebbe dunque essere chiamata a giudicare dell'uniforme applicazione delle norme dell'Unione in una materia in cui questa non ha competenza: essa non è infatti una corte di giustizia indipendente che possa dichiarare l'illegittimità e, di conseguenza, l'inefficacia delle leggi dei singoli stati che la compongono; una tale corte non c'è perché l'UE non ha una costituzione che preveda tali modalità di annullamento.
L'unica cosa che potrebbe fare legittimamente la ‘cara Ursula' è quella di dichiarare la secessione dell'UE dall'Ungheria.
Fonte: di GIUSEPPE BUTTA'