BOTTE DA ORBI
24-04-2024 - DIARIO POLITICO di Giuseppe Butta'
Conte e Schlein sono arrivati non so se al secondo o terzo round nella sfida per la championship, in un pugilato politico da wrestling puro, combattuto nel fango, a Bari. Se non fosse che questi due fenomeni del ring sono accreditati di essere dei purosangue – per esempio, Paolo Mieli passa da uno schermo tv all’altro per dichiararsi perdutamente enchanté dalla Schlein mentre Giuseppi porta ormai lo stigma indelebile dell’investitura a conte di Cavour che gli concesse un altro principe del giornalismo italiano – potremmo pure non approfittare dello spettacolo che i due ci stanno propinando e restare comodamente in poltrona a leggere i romanzi di Agatha Christie.
Volenti o nolenti, dobbiamo invece seguire il dibattito – pardòn, le botte da orbi – le cui più importanti tesi sono state le seguenti: «Aiutate la destra», che è il massimo dello schlein-pensiero; «la legalità non è negoziabile» che è il distillato del cervello contiano.
È un déjà vu et entendu e potremmo anticipare parola per parola quello che i due potrebbero dirsi non tanto contando sulla coerenza del loro eloquio – non direi ‘pensiero’ – ma perché ormai essi hanno acquisito un linguaggio standardizzato dal trasformismo praticato a piene mani soprattutto da Conte – un po' meno dalla Schlein che dimostra una indefettibile fede ‘gender’ nelle sue varie declinazioni.
Si potrebbe pure dire che i partiti di cui i due sono gli esponenti più prestigiosi – naturalmente si fa per dire – hanno assorbito fino in fondo la lezione trasformistica impartita dai più alti sogli della politica italiana: un trasformismo che è pure la conseguenza di una falsa idea della cosiddetta ‘questione morale’, di berlingueriana memoria, per cui, a prescindere dalla qualità si deve dare a chi se ne fa immacolato vindice e giustiziere, lo scettro del comando nella res publica.
Sollevando la ‘questione morale’, Berlinguer intese appunto mimetizzare il suo partito, intriso fino al midollo di sovietismo totalitario e di rubli sovietici, dietro lo schermo di una falsa verginità morale e sotto il mantello della sua pretesa e malintesa egemonia culturale, consistente soprattutto nella occupazione delle agenzie culturali.
Ora, a sollevare la questione morale, è un Conte/Fregoli, a capo di una ciurma di poveri cristi che, una volta acquisito fortunosamente un ruolo di primo piano nella politica italiana e dopo essere giunto dal nulla a Palazzo Chigi, crede di possedere veramente le virtù taumaturgiche che gli attribuì un Eugenio Scalfari al culmine della sua decadenza e che, invece, altro non sono che le armi di ricatto che gli forniscono incessantemente i ‘costruttori’ del campo largo, cioè gli eredi del PCI e dei sinistri DC, incessantemente all’opera per tenere in pugno il potere o per riguadagnarlo se lo hanno perduto: a qualsiasi costo.
Un costo che si può quantificare con la misura di trasformismo implicita prima nell’idea stessa di ‘compromesso storico’, poi nelle varie forme di coltivazioni agricole – ulivo, campo largo, etc. – tutte motivate dalla presa del potere in nome di un sedicente progressismo.
La recente questione pugliese – con la lite sulle primarie ammantata appunto da questione morale ma, in realtà, un braccio di ferro da osteria tra PD e 5S per fare fuori i reciproci candidati a sindaco di Bari – ha messo a nudo i vizi privati e le pubbliche virtù di questi due partiti che, negli ultimi anni, hanno imperversato sulla scena politica italiana rappresentando ciascuno tutte le parti in commedia: da acerrimi nemici ad amanti appassionati e a sedotti e abbandonati come i protagonisti del film di Pietro Germi.
È indimenticabile la scena del duetto comiziale tra Emiliano e Decaro: «ricordi? Siamo andati insieme a casa della sorella del boss per ricordarle di darti da bere quando sarai assetato!». È una scena che rappresenta perfettamente il paradigma del ‘campo largo’ ante litteram inventato da Emiliano: coperto dallo stigma del passato giudiziario che gli permette ogni frequentazione e lo sottrae a ogni dubbio, il presidente pugliese, sia pure nell’encomiabile intento di farle apparire ‘tremendamente progressiste’, ha ammucchiato nelle sue giunte tutti i cespugli possibili e immaginabili – dai 5S ai transfughi della destra – e si è così venuto a trovare a tu per tu con qualche ‘malandrino’.
Ora pare che Emiliano – il quale, pur di conservare il potere, è disposto a rafforzare i presidi di legalità, come finora evidentemente non ha fatto e come gli è stato intimato dai ‘pasdaran della rivoluzione 5S’ – non disdegnerebbe il ritorno dei contiani nella sua giunta regionale: forse egli vorrebbe dare vita a un nuovo soggetto politico, fatto a sua immagine e somiglianza insieme con il suo co-regionale di Volturara Appula e con l’intento di prendere il controllo sia dei dem che dei pentastellati.
Ma Emiliano dovrà stare molto attento perché sembra che anche Conte si voglia impossessare del suo metodo: la chiave per interpretare le dichiarazioni ingarbugliate fatte dal sempre più fantasmagorico leader dei 5S – «Elly mi è anche simpatica, in condizioni normali ci si lavora anche bene … Lei ha spinto sull’acceleratore di una controffensiva politica contro di lui [Emiliano] ma verosimilmente non andrà oltre» – pare non possa essere che la macchinazione di un coup d’état, cioè che Conte abbia in animo di rovesciare come un guanto il progetto – coltivato dal PD almeno da quand’era guidato dalla strategia illuminata di Bettini e, ora, di Schlein – di fare del Movimento 5S una sorta di partito contadino polacco a servizio dei dem. Conte si vuole appunto sottrarre a questo abbraccio mortale imponendo questo ruolo polacco al PD.
Comunque, chiunque sarà il partner dominante, da una tale accoppiata masochista (non mi riferisco a Conte-Emiliano ma alle nozze tra 5S e PD più volte annunciate e mai celebrate) non ci si può aspettare nulla di buono.
Volenti o nolenti, dobbiamo invece seguire il dibattito – pardòn, le botte da orbi – le cui più importanti tesi sono state le seguenti: «Aiutate la destra», che è il massimo dello schlein-pensiero; «la legalità non è negoziabile» che è il distillato del cervello contiano.
È un déjà vu et entendu e potremmo anticipare parola per parola quello che i due potrebbero dirsi non tanto contando sulla coerenza del loro eloquio – non direi ‘pensiero’ – ma perché ormai essi hanno acquisito un linguaggio standardizzato dal trasformismo praticato a piene mani soprattutto da Conte – un po' meno dalla Schlein che dimostra una indefettibile fede ‘gender’ nelle sue varie declinazioni.
Si potrebbe pure dire che i partiti di cui i due sono gli esponenti più prestigiosi – naturalmente si fa per dire – hanno assorbito fino in fondo la lezione trasformistica impartita dai più alti sogli della politica italiana: un trasformismo che è pure la conseguenza di una falsa idea della cosiddetta ‘questione morale’, di berlingueriana memoria, per cui, a prescindere dalla qualità si deve dare a chi se ne fa immacolato vindice e giustiziere, lo scettro del comando nella res publica.
Sollevando la ‘questione morale’, Berlinguer intese appunto mimetizzare il suo partito, intriso fino al midollo di sovietismo totalitario e di rubli sovietici, dietro lo schermo di una falsa verginità morale e sotto il mantello della sua pretesa e malintesa egemonia culturale, consistente soprattutto nella occupazione delle agenzie culturali.
Ora, a sollevare la questione morale, è un Conte/Fregoli, a capo di una ciurma di poveri cristi che, una volta acquisito fortunosamente un ruolo di primo piano nella politica italiana e dopo essere giunto dal nulla a Palazzo Chigi, crede di possedere veramente le virtù taumaturgiche che gli attribuì un Eugenio Scalfari al culmine della sua decadenza e che, invece, altro non sono che le armi di ricatto che gli forniscono incessantemente i ‘costruttori’ del campo largo, cioè gli eredi del PCI e dei sinistri DC, incessantemente all’opera per tenere in pugno il potere o per riguadagnarlo se lo hanno perduto: a qualsiasi costo.
Un costo che si può quantificare con la misura di trasformismo implicita prima nell’idea stessa di ‘compromesso storico’, poi nelle varie forme di coltivazioni agricole – ulivo, campo largo, etc. – tutte motivate dalla presa del potere in nome di un sedicente progressismo.
La recente questione pugliese – con la lite sulle primarie ammantata appunto da questione morale ma, in realtà, un braccio di ferro da osteria tra PD e 5S per fare fuori i reciproci candidati a sindaco di Bari – ha messo a nudo i vizi privati e le pubbliche virtù di questi due partiti che, negli ultimi anni, hanno imperversato sulla scena politica italiana rappresentando ciascuno tutte le parti in commedia: da acerrimi nemici ad amanti appassionati e a sedotti e abbandonati come i protagonisti del film di Pietro Germi.
È indimenticabile la scena del duetto comiziale tra Emiliano e Decaro: «ricordi? Siamo andati insieme a casa della sorella del boss per ricordarle di darti da bere quando sarai assetato!». È una scena che rappresenta perfettamente il paradigma del ‘campo largo’ ante litteram inventato da Emiliano: coperto dallo stigma del passato giudiziario che gli permette ogni frequentazione e lo sottrae a ogni dubbio, il presidente pugliese, sia pure nell’encomiabile intento di farle apparire ‘tremendamente progressiste’, ha ammucchiato nelle sue giunte tutti i cespugli possibili e immaginabili – dai 5S ai transfughi della destra – e si è così venuto a trovare a tu per tu con qualche ‘malandrino’.
Ora pare che Emiliano – il quale, pur di conservare il potere, è disposto a rafforzare i presidi di legalità, come finora evidentemente non ha fatto e come gli è stato intimato dai ‘pasdaran della rivoluzione 5S’ – non disdegnerebbe il ritorno dei contiani nella sua giunta regionale: forse egli vorrebbe dare vita a un nuovo soggetto politico, fatto a sua immagine e somiglianza insieme con il suo co-regionale di Volturara Appula e con l’intento di prendere il controllo sia dei dem che dei pentastellati.
Ma Emiliano dovrà stare molto attento perché sembra che anche Conte si voglia impossessare del suo metodo: la chiave per interpretare le dichiarazioni ingarbugliate fatte dal sempre più fantasmagorico leader dei 5S – «Elly mi è anche simpatica, in condizioni normali ci si lavora anche bene … Lei ha spinto sull’acceleratore di una controffensiva politica contro di lui [Emiliano] ma verosimilmente non andrà oltre» – pare non possa essere che la macchinazione di un coup d’état, cioè che Conte abbia in animo di rovesciare come un guanto il progetto – coltivato dal PD almeno da quand’era guidato dalla strategia illuminata di Bettini e, ora, di Schlein – di fare del Movimento 5S una sorta di partito contadino polacco a servizio dei dem. Conte si vuole appunto sottrarre a questo abbraccio mortale imponendo questo ruolo polacco al PD.
Comunque, chiunque sarà il partner dominante, da una tale accoppiata masochista (non mi riferisco a Conte-Emiliano ma alle nozze tra 5S e PD più volte annunciate e mai celebrate) non ci si può aspettare nulla di buono.
Fonte: di Giuseppe Butta'