"BUON SANGUE NON MENTE..."
25-11-2023 - AGORA'
La recente pubblicazione di Eurostat (L'Ufficio Statistiche dell'Unione Europea) “Key figures on European living conditions – 2023 edition” (si trova in rete) dimostra come l'Italia sia un Paese che sta imboccando una strada che rischia di condurlo verso un ridimensionamento dei livelli di benessere fino a qui raggiunti. Quasi il 64% dichiara che ha difficoltà a raggiungere la fine del mese con il reddito percepito (il 6,9% dichiara di avere “grandi difficoltà”, il 15,4% dichiara difficoltà generiche e il 41,7% denuncia “qualche difficoltà”). Per un termine di confronto la media europea è del 45,5%. Se paragoniamo questi dati con quelli di altre nazioni ci accorgiamo che siamo maledettamente indietro non solo rispetto al blocco dei paesi nordici, alla Francia e alla Spagna, ma anche a paesi come la Polonia e il Portogallo. I dati, in termini macroeconomici, anche dal punto di vista della povertà ci danno un quadro desolante per il nostro paese, la nostra quota è del 24,2% a fronte di una media europea del 21,6% (di cui il 26% donne e il 22% uomini, in Europa il l2,7% e e il 20,4%). Non solo, ma c'è un altro dato che dovrebbe far riflettere circa le politiche a sostegno della natalità. Le famiglie, in Italia, con figli a carico a rischio povertà sono 26,4%, mentre quelle senza figli sono il 20,4%.
Questi pochi dati ci indicano come negli ultimi trenta/quaranta anni il nostro paese sia governato da una classe politica che lo ha fatto vivere in una specie di “The Truman show”, un film americano del 1998, dove il personaggio principale non si rende conto di essere sul set di un programma televisivo e non nella vita reale.
I pochi dati che ho fornito, insieme agli studi dell'economista francese Thomas Piketty, dimostrano che questo aumento della povertà è dovuto non alle “immutabili leggi dell'economia” che non esistono, ma dagli obbiettivi delle classi che acquistano potere nella società. Se possiamo fare un raffronto questo va fatto con gli anni che vanno dall'inizio degli anni Cinquanta alla metà (circa) degli anni Settanta; nella letteratura storico economica, soprattutto transalpina, vengono chiamati “trente glorieuses”, costituiscono il momento di massima espansione delle politiche del welfare che riducono le distanze fra i più ricchi e i più poveri nel mondo. Queste politiche sono state possibili perché le “masse” sono entrate nella “stanza dei bottoni”, in maniera certo non uguale per tutti i paesi ma che aveva un unico obbiettivo migliorare le condizioni sociali dei meno abbienti. Certo che queste politiche avevano come punto di riferimento alcune teorie che basavano il loro “core business” sulla teoria della massima occupazione, non su quella del massimo profitto per i capitalisti. Keynes e Beveridge, entrambi liberali, in Inghilterra. Myrdal, socialdemocratico, in Svezia e Hirschman, tedesco di nascita, ma formatosi culturalmente e politicamente in Italia, vicino al movimento di Giustizia e Libertà, e poi espatriato negli Stati Uniti. Sua sorella è Ursula moglie di Colorni e poi di Altiero Spinelli. Questi pensieri avevano fatto breccia sulle idee del Presidente degli Stati Uniti Roosevelt, che, pur partendo da posizioni teoriche diverse, aveva gli stessi obbiettivi. Quest'ultimo impose alle parti sociali statunitensi una specie di concertazione, obbligando di fatto sindacati e padroni a concertare le macro-politiche. Notevole fu il successo di questa iniziativa che quando il repubblicano Eisenhower non si sentì di abolire questa concertazione, tanto da essere accusato dalla destra del suo partito di tradimento.
Queste scelte ci portano in Italia, dove grazie al PSI, si apre un periodo di riforme a favore delle classi meno abbienti come non se ne erano mai viste nella storia d'Italia. La Riforma sanitaria impostata dal Ministro Luigi Mariotti (poi portata a termine da Tina Anselmi), la nazionalizzazione dei produttori di energia elettrica perseguita da Riccardo Lombardi e la scuola media unica voluta da Tristano Codignola. Su tutte queste spicca però lo Statuto dei Lavoratori voluto fortemente dal Ministro Giacomo Brodolini coadiuvato da due giovani studiosi socialisti: Gino Giugni e Enzo Bartocci.
Quindi una accusa va formulata agli intellettuali della sinistra che non hanno saputo valutare i mutamenti del capitalismo ed indicare una strada diversa. Hanno accettato senza colpo ferire il pensiero mainstream. La classe politica della sinistra è stata ben lieta di apparire slegata da qualsiasi teoria e gli atti compiuti hanno portato ad una sudditanza totale verso i “poteri forti”. Basti ricordare il tristemente famoso “jobs act” di renziana memoria che ha cercato, in maniera surrettizia, di scardinare lo Statuto dei Lavoratori. Questo continuo logorio delle radici ha fatto sì che in Italia arrivassero al governo i fascisti. Senza entrare nei particolari degli insuccessi a catena che la premier Meloni raccoglie in ogni angolo del globo, mi sembra opportuno ricordare che ogni argomento sia gonfiato ogni oltre misura per non dibattere sulle scelte di politica economica portato avanti da questo governo, mancette alle categorie sociali “amiche” e nient'altro. Poiché alla lunga i problemi vengono allo scoperto si è pensato di proporre la modifica della Costituzione come oggetto del dibattito da dare in pasto all'opinione pubblica per distrarla dall'affrontare i problemi economici. A questo ha già risposto “La Rivoluzione democratica” con la sua edizione straordinaria dell'8.11.23, condivido le considerazioni svolte da Bagnoli, Benvenuto e Cianca. Mi permetto di inserirne un'altra. Può una modifica di questa portata essere adottata tramite la procedura prevista dall'art. 138 della Costituzione (Modalità per le revisioni costituzionali)? Personalmente credo che tale riforma stravolga la nostra Costituzione. Abolisce la funzione del Parlamento e modifica profondamente (fino ad annullarli) i poteri del Presidente della Repubblica senza introdurre quei contrappesi tipici di una democrazia presidenziale. Non è il presidenzialismo di per sé l'anticamera di un governo reazionario e dittatoriale, inserito però nella nostra costituzione lo rende tale. Per cui occorre un'Assemblea Costituente per riformulare una nuova costituzione che tenga conto del presidenzialismo e fare in modo che esso non sia l'anticamera di una dittatura.
Perché una politica di contrasto abbia successo occorre, immediatamente, riaprire i canali con la società e soprattutto con quella parte di essa che si dice di voler rappresentare.
Cosa si aspetta ancora?
Questi pochi dati ci indicano come negli ultimi trenta/quaranta anni il nostro paese sia governato da una classe politica che lo ha fatto vivere in una specie di “The Truman show”, un film americano del 1998, dove il personaggio principale non si rende conto di essere sul set di un programma televisivo e non nella vita reale.
I pochi dati che ho fornito, insieme agli studi dell'economista francese Thomas Piketty, dimostrano che questo aumento della povertà è dovuto non alle “immutabili leggi dell'economia” che non esistono, ma dagli obbiettivi delle classi che acquistano potere nella società. Se possiamo fare un raffronto questo va fatto con gli anni che vanno dall'inizio degli anni Cinquanta alla metà (circa) degli anni Settanta; nella letteratura storico economica, soprattutto transalpina, vengono chiamati “trente glorieuses”, costituiscono il momento di massima espansione delle politiche del welfare che riducono le distanze fra i più ricchi e i più poveri nel mondo. Queste politiche sono state possibili perché le “masse” sono entrate nella “stanza dei bottoni”, in maniera certo non uguale per tutti i paesi ma che aveva un unico obbiettivo migliorare le condizioni sociali dei meno abbienti. Certo che queste politiche avevano come punto di riferimento alcune teorie che basavano il loro “core business” sulla teoria della massima occupazione, non su quella del massimo profitto per i capitalisti. Keynes e Beveridge, entrambi liberali, in Inghilterra. Myrdal, socialdemocratico, in Svezia e Hirschman, tedesco di nascita, ma formatosi culturalmente e politicamente in Italia, vicino al movimento di Giustizia e Libertà, e poi espatriato negli Stati Uniti. Sua sorella è Ursula moglie di Colorni e poi di Altiero Spinelli. Questi pensieri avevano fatto breccia sulle idee del Presidente degli Stati Uniti Roosevelt, che, pur partendo da posizioni teoriche diverse, aveva gli stessi obbiettivi. Quest'ultimo impose alle parti sociali statunitensi una specie di concertazione, obbligando di fatto sindacati e padroni a concertare le macro-politiche. Notevole fu il successo di questa iniziativa che quando il repubblicano Eisenhower non si sentì di abolire questa concertazione, tanto da essere accusato dalla destra del suo partito di tradimento.
Queste scelte ci portano in Italia, dove grazie al PSI, si apre un periodo di riforme a favore delle classi meno abbienti come non se ne erano mai viste nella storia d'Italia. La Riforma sanitaria impostata dal Ministro Luigi Mariotti (poi portata a termine da Tina Anselmi), la nazionalizzazione dei produttori di energia elettrica perseguita da Riccardo Lombardi e la scuola media unica voluta da Tristano Codignola. Su tutte queste spicca però lo Statuto dei Lavoratori voluto fortemente dal Ministro Giacomo Brodolini coadiuvato da due giovani studiosi socialisti: Gino Giugni e Enzo Bartocci.
Quindi una accusa va formulata agli intellettuali della sinistra che non hanno saputo valutare i mutamenti del capitalismo ed indicare una strada diversa. Hanno accettato senza colpo ferire il pensiero mainstream. La classe politica della sinistra è stata ben lieta di apparire slegata da qualsiasi teoria e gli atti compiuti hanno portato ad una sudditanza totale verso i “poteri forti”. Basti ricordare il tristemente famoso “jobs act” di renziana memoria che ha cercato, in maniera surrettizia, di scardinare lo Statuto dei Lavoratori. Questo continuo logorio delle radici ha fatto sì che in Italia arrivassero al governo i fascisti. Senza entrare nei particolari degli insuccessi a catena che la premier Meloni raccoglie in ogni angolo del globo, mi sembra opportuno ricordare che ogni argomento sia gonfiato ogni oltre misura per non dibattere sulle scelte di politica economica portato avanti da questo governo, mancette alle categorie sociali “amiche” e nient'altro. Poiché alla lunga i problemi vengono allo scoperto si è pensato di proporre la modifica della Costituzione come oggetto del dibattito da dare in pasto all'opinione pubblica per distrarla dall'affrontare i problemi economici. A questo ha già risposto “La Rivoluzione democratica” con la sua edizione straordinaria dell'8.11.23, condivido le considerazioni svolte da Bagnoli, Benvenuto e Cianca. Mi permetto di inserirne un'altra. Può una modifica di questa portata essere adottata tramite la procedura prevista dall'art. 138 della Costituzione (Modalità per le revisioni costituzionali)? Personalmente credo che tale riforma stravolga la nostra Costituzione. Abolisce la funzione del Parlamento e modifica profondamente (fino ad annullarli) i poteri del Presidente della Repubblica senza introdurre quei contrappesi tipici di una democrazia presidenziale. Non è il presidenzialismo di per sé l'anticamera di un governo reazionario e dittatoriale, inserito però nella nostra costituzione lo rende tale. Per cui occorre un'Assemblea Costituente per riformulare una nuova costituzione che tenga conto del presidenzialismo e fare in modo che esso non sia l'anticamera di una dittatura.
Perché una politica di contrasto abbia successo occorre, immediatamente, riaprire i canali con la società e soprattutto con quella parte di essa che si dice di voler rappresentare.
Cosa si aspetta ancora?
Fonte: di Enno Ghiandelli