"COMMENTO A CIANCA"
24-04-2022 - LA NECESSITA' DEL SOCIALISMO
Certo che lo scoramento è tanto. Di questi tempi ancora di più. Sul Direttore di “Nonmollare”, se non ci fosse “il ricatto” della testata e soprattutto l’esempio del primo “Nonmollare, così eroico e così testardamente impegnato su un sentiero che si poteva facilmente immaginare destinato alla sicura catastrofe, vincerebbe senz’altro la tentazione di ritirarsi a coltivare il giardinetto di Candide e assistere da molto lontano alle vicende di classi dirigenti putrefatte (non solo quelle politiche), alla fine della Politica e del Conflitto, all’invadenza del fanatismo settario, alla insorgenza di una sempre più forte irrazionalità e superstizione pre-illuministica e antimoderna.
Sul passato c’è poco da aggiungere all’analisi critica di Marco Cianca. Anche la “Sinistra liberale” è d’accordo, Il liberalismo si è suicidato riducendosi al solo economicismo, e per di più a un neoliberismo selvaggio irriconoscibile dai liberisti originali che avevano come sacri comandamenti la concorrenza, l’antiprotezionismo, l’antimonopolio, “l’ascensore sociale”, il rischio d’impresa e non la rendita finanziaria. Il socialismo ha perduto la battaglia contro il comunismo, anzi non l’ha fatta proprio. Abbandonata la sua autonomia, è stato subalterno ideologicamente al totalitarismo comunista e politicamente corrivo con il potere conservatore (in Italia: democristiano). Da trenta anni in gramaglie, si piange addosso, rimpiangendo il CAF e militando a destra. È così che è morta la Sinistra. Rimangono residui di ceti politici senza anima, né politica, che tendono solo ad aggrapparsi all’avversario per non andare al tappeto e perdere il potere residuo. Oggi persino la parola è criminalizzata e fuori commercio: la “sinistra di destra”, battezzata da tempo, ha avuto la sua cresima al Nazareno col connubio Berlusconi Napolitano Verdini Renzi.
Ha ragione Cianca, e lo ha detto benissimo, con la crudezza necessaria. Non voglio ripetere. Si può sintetizzare così: il liberalismo “riduzionista” è morto di poco socialismo e il socialismo di poco liberalismo. Gli accenni a parole di Gobetti (così rigorose e attuali) e le citazioni di Bobbio dipingono perfettamente il quadro dell’inevitabile disastro. Questo in Italia, ma anche un po’ dappertutto: da decenni la socialdemocrazia è irriconoscibile e il liberalismo è diventato la maschera sotto cui si nascondono i conservatori, se non i reazionari di tutto il mondo, per apparire meno indecenti. E c’è voluta la Resistenza del popolo ucraino per far ripristinare il “sospetto” che c’è una differenza tra totalitarismo e libertà, tra regimi dittatoriali e regimi democratici. Che il mercato mondializzato non appiattisce e supera le differenze politiche. Che la dilagante smemoratezza storica ha fatto danni incalcolabili.
Sarò un utopista folle, ma la soluzione secondo me consiste in un grosso passo indietro, fino all’illuminismo e all’origine del costituzionalismo, per affrontare d’un balzo un futuro prossimo venturo che, invece temo, ci coglierà impreparati.
Senza pensiero critico, senza un uso ben temperato della ragione, come si potranno affrontare i problemi posti dalle nuove tecnologie e dalla fine del lavoro? La robotica, non certo improvvisamente ma inesorabilmente, ci riporterà a una condizione già vissuta dalla Grecia classica dove (in proporzioni differenti) la società era divisa in tre categorie: gli schiavi che erano le macchine del tempo, i mediatori e i cittadini a cui non rimaneva che dedicarsi alla politica, alla filosofia, agli affetti. Oggi la giornata lavorativa si mangia una parte spropositata del vivere quotidiano e ha la pretesa d’essere l’unica a dargli un senso, per quanto quasi sempre squallido. Quando saremo (in gran parte) affrancati dal lavoro non creativo, tutta la società vivrà i problemi e le angosce che oggi hanno i pensionati che non sanno che fare di fronte a una vecchiaia vuota, che sentono inutile perché permeati per tutta la vita dal disvalore dell’”utilità”. Occorre prefigurare un nuovo “senso”. Occorre pensare a organizzazioni sociali nuove. Ma l’immaginazione sociale e politica è azzerata. Basti pensare come, dalla fine dell’’800 ad ora, nelle società avanzate la famiglia nucleare tradizionale non sia riuscita a evolvere in qualche forma nuova per rendersi compatibile con la parità uomo-donna e con un livello di natalità funzionale al proseguimento della specie.
Già da oggi basterebbe semplicemente recuperare i tre valori che sono stati scolpiti dalla rivoluzione francese. Libertà, uguaglianza e fraternità. Ma farli propri davvero, non retoricamente, con la consapevolezza che sono valori terribilmente rivoluzionari, che rovesciano il mondo. Non pappetta per moderati. “Libertà” come spinta a una sempre più avanzata espressione dell’individualità umana, come affrancamento dalle superstizioni e dalla irragionevolezza; “uguaglianza” nel senso di offerta di uguali opportunità di consapevolezza di sé, di cultura critica, insomma di vita dignitosa, per superare le disuguaglianze sociali e naturali; “fraternità”, ovvero solidarietà, per ricordarci che è l’unico modo per sconfiggere per quanto possibile gli egoismi e la ferocia senza limiti della nostra specie. Una specie tanto efferata quanto manipolabile e docile al guinzaglio.
Vaste programme, lo so, ma cominciamo, nel nostro paese, da piccoli passi sulla strada giusta: welfare in grado di far funzionare l’“ascensore sociale”; scuola critica e non tecnica; educazione civica perenne, ove civismo significhi lotta feroce alla corruzione, all’evasione, ai privilegi economici, sociali, di genere; fine di una comunicazione predisposta strutturalmente all’inquinamento informativo; strutture democratiche e non leaderistiche per la competizione politica; lotta alle corporazioni; giustizia meno farraginosa fondata sull’equità e sulla sanzione, e non sulle franchigie censitarie.
Il tutto in un quadro ove il sovranismo sia giudicato un “idolo immondo”, come sosteneva il buon Einaudi. E il parroco di campagna Kirill sia considerato un raccapricciante pericolosissimo residuato medioevale.
Si facciano avanti i giovani pensosi. Anche giovani solo di spirito. Che aspettano? Se non tocca a loro, a chi?
Sul passato c’è poco da aggiungere all’analisi critica di Marco Cianca. Anche la “Sinistra liberale” è d’accordo, Il liberalismo si è suicidato riducendosi al solo economicismo, e per di più a un neoliberismo selvaggio irriconoscibile dai liberisti originali che avevano come sacri comandamenti la concorrenza, l’antiprotezionismo, l’antimonopolio, “l’ascensore sociale”, il rischio d’impresa e non la rendita finanziaria. Il socialismo ha perduto la battaglia contro il comunismo, anzi non l’ha fatta proprio. Abbandonata la sua autonomia, è stato subalterno ideologicamente al totalitarismo comunista e politicamente corrivo con il potere conservatore (in Italia: democristiano). Da trenta anni in gramaglie, si piange addosso, rimpiangendo il CAF e militando a destra. È così che è morta la Sinistra. Rimangono residui di ceti politici senza anima, né politica, che tendono solo ad aggrapparsi all’avversario per non andare al tappeto e perdere il potere residuo. Oggi persino la parola è criminalizzata e fuori commercio: la “sinistra di destra”, battezzata da tempo, ha avuto la sua cresima al Nazareno col connubio Berlusconi Napolitano Verdini Renzi.
Ha ragione Cianca, e lo ha detto benissimo, con la crudezza necessaria. Non voglio ripetere. Si può sintetizzare così: il liberalismo “riduzionista” è morto di poco socialismo e il socialismo di poco liberalismo. Gli accenni a parole di Gobetti (così rigorose e attuali) e le citazioni di Bobbio dipingono perfettamente il quadro dell’inevitabile disastro. Questo in Italia, ma anche un po’ dappertutto: da decenni la socialdemocrazia è irriconoscibile e il liberalismo è diventato la maschera sotto cui si nascondono i conservatori, se non i reazionari di tutto il mondo, per apparire meno indecenti. E c’è voluta la Resistenza del popolo ucraino per far ripristinare il “sospetto” che c’è una differenza tra totalitarismo e libertà, tra regimi dittatoriali e regimi democratici. Che il mercato mondializzato non appiattisce e supera le differenze politiche. Che la dilagante smemoratezza storica ha fatto danni incalcolabili.
Sarò un utopista folle, ma la soluzione secondo me consiste in un grosso passo indietro, fino all’illuminismo e all’origine del costituzionalismo, per affrontare d’un balzo un futuro prossimo venturo che, invece temo, ci coglierà impreparati.
Senza pensiero critico, senza un uso ben temperato della ragione, come si potranno affrontare i problemi posti dalle nuove tecnologie e dalla fine del lavoro? La robotica, non certo improvvisamente ma inesorabilmente, ci riporterà a una condizione già vissuta dalla Grecia classica dove (in proporzioni differenti) la società era divisa in tre categorie: gli schiavi che erano le macchine del tempo, i mediatori e i cittadini a cui non rimaneva che dedicarsi alla politica, alla filosofia, agli affetti. Oggi la giornata lavorativa si mangia una parte spropositata del vivere quotidiano e ha la pretesa d’essere l’unica a dargli un senso, per quanto quasi sempre squallido. Quando saremo (in gran parte) affrancati dal lavoro non creativo, tutta la società vivrà i problemi e le angosce che oggi hanno i pensionati che non sanno che fare di fronte a una vecchiaia vuota, che sentono inutile perché permeati per tutta la vita dal disvalore dell’”utilità”. Occorre prefigurare un nuovo “senso”. Occorre pensare a organizzazioni sociali nuove. Ma l’immaginazione sociale e politica è azzerata. Basti pensare come, dalla fine dell’’800 ad ora, nelle società avanzate la famiglia nucleare tradizionale non sia riuscita a evolvere in qualche forma nuova per rendersi compatibile con la parità uomo-donna e con un livello di natalità funzionale al proseguimento della specie.
Già da oggi basterebbe semplicemente recuperare i tre valori che sono stati scolpiti dalla rivoluzione francese. Libertà, uguaglianza e fraternità. Ma farli propri davvero, non retoricamente, con la consapevolezza che sono valori terribilmente rivoluzionari, che rovesciano il mondo. Non pappetta per moderati. “Libertà” come spinta a una sempre più avanzata espressione dell’individualità umana, come affrancamento dalle superstizioni e dalla irragionevolezza; “uguaglianza” nel senso di offerta di uguali opportunità di consapevolezza di sé, di cultura critica, insomma di vita dignitosa, per superare le disuguaglianze sociali e naturali; “fraternità”, ovvero solidarietà, per ricordarci che è l’unico modo per sconfiggere per quanto possibile gli egoismi e la ferocia senza limiti della nostra specie. Una specie tanto efferata quanto manipolabile e docile al guinzaglio.
Vaste programme, lo so, ma cominciamo, nel nostro paese, da piccoli passi sulla strada giusta: welfare in grado di far funzionare l’“ascensore sociale”; scuola critica e non tecnica; educazione civica perenne, ove civismo significhi lotta feroce alla corruzione, all’evasione, ai privilegi economici, sociali, di genere; fine di una comunicazione predisposta strutturalmente all’inquinamento informativo; strutture democratiche e non leaderistiche per la competizione politica; lotta alle corporazioni; giustizia meno farraginosa fondata sull’equità e sulla sanzione, e non sulle franchigie censitarie.
Il tutto in un quadro ove il sovranismo sia giudicato un “idolo immondo”, come sosteneva il buon Einaudi. E il parroco di campagna Kirill sia considerato un raccapricciante pericolosissimo residuato medioevale.
Si facciano avanti i giovani pensosi. Anche giovani solo di spirito. Che aspettano? Se non tocca a loro, a chi?
Fonte: di Enzo Marzo