21 Novembre 2024

"COVID, VACCINI, NEW GENERATION, UE: IDEE E PROPOSTE" di Giorgio Benvenuto

24-03-2021 - EDITORIALE
“Non più indipendenza ma interdipendenza, questa è la parola nuova in cui si dovrà riassumere in sintesi il nuovo senso di libertà ,…quello da cui potrà nascere da tanto dolore un avvenire diverso dal passato” sono parole di Pietro Calamandrei, uno dei Padri della nostra Costituzione all’indomani della tragedia della seconda guerra mondiale. Il senso è chiaro: per risalire occorre collaborare. Un richiamo che è spesso presente in uno dei protagonisti più vicini ai drammi creati dalla pandemia, Papa Francesco. Per lui “le mani che si stringono non garantiscono solo solidità ed equilibrio, ma trasmettono anche calore umano”. Anche in questo caso il messaggio è inequivocabile: per uscire dalla emergenza è importante la cooperazione degli sforzi, ma ci vuole anche passione etica e, diciamo noi, politica e sociale. Molto meglio di quelle frasi falsamente salvifiche come “tutto andrà bene” oppure “ne usciremo migliori” la cui retorica non ha scalfito la sfiducia, celando solo un tentativo di stabilire una sorta di esperienza di democrazia diretta fra vertice politico e cittadini che è sfociato in un fallimentare immobilismo.

Il governo Draghi sta affrontando una congiuntura che aggiunge continui motivi di preoccupazione con le fasi mutevoli della pandemia ed anche in conseguenza di un’Europa che non ha saputo gestire al meglio la condivisione nella gestione dei vaccini tanto da condurre il governo Draghi, forse il più europeista, a minacciare di “fare da soli”.
Chiamato a dirigere il Paese in un momento cruciale, Draghi era stato scelto soprattutto per guidare il Paese ad ottenere le ingenti risorse del Recovery fund, visto che il suo prestigio in Europa dopo averla “salvata” alla Presidenza della Bce durante la recessione del 2008, poteva essere la migliore garanzia per averle. Invece la sorte del suo Governo si sta giocando sull’esito della vaccinazione che però riporta a galla il grande problema dell’assetto della nostra sanità e del rapporto fra Stato centrale e regioni. Una questione che grazie anche alle future risorse messe a disposizione dall’Europa andrà affrontata alla radice ricostruendo con il contributo anche delle forze sociali tutti i ruoli, come le caratteristiche della sanità territoriale, l’assistenza domiciliare grande assente oggi nelle proporzioni necessarie, un migliore rapporto fra le intelligenze scientifiche in nostro possesso e la produzione.
La pandemia da questo punto di vista ha mostrato limiti e debolezze del nostro sistema sanitario che dipende in gran parte da scelte sbagliate in passato e da politiche costruite sulla gestione invece che sulla programmazione. E se abbiamo retto lo dobbiamo in particolare alla abnegazione del “popolo” sanitario che ha retto allo tzunami del Covid con grande spirito di sacrificio.
Ma le questioni economiche non sono scomparse dalla scena. Sono tutte lì ed implicano la necessità che le forze politiche la smettano con gli slogan ad uso televisivo e si dotino invece di proposte e di una visione dei problemi che vada ben oltre il momento contingente. Il governo Draghi sta mostrando di essere in grado sia pure a fatica di poter modificare comportamenti politici negativi. Si è sottolineato a ragione l’atteggiamento del Presidente del Consiglio che chiama le cose con il suo vero nome. E siamo passati, finalmente, dalla ridicola espressione di pace sociale al termine “condono” per quanto riguarda la sanatoria delle cartelle esattoriali. Ma questo governo non può riformare anche la politica e la società. Non glielo possiamo chiedere. E’ compito invece delle forze politiche e sociali che hanno tutte l’esigenza di ricostruire le loro identità e di creare le condizioni per una reale nuova classe dirigente che non sia ancora una volta il residuo di quelle del passato. Ed è un discorso che dovrebbe valere sia nel centrodestra che nel centrosinistra. Teniamo conto inoltre che Draghi a differenza dei precedenti governi ha a che fare con un consenso di quasi tutti i partiti molto più complicato da governare di quello di formule come il “gialloverde” o il “giallorosso”.
E non c’è molto tempo da perdere. Le economie forti si stanno già riorganizzando. Per gli Stati Uniti si prevede un Pil quest’anno di oltre il 6% grazie anche ai 1900 miliardi di dollari promessi da Biden. La Cina, sfruttando anche il suo mercato interno, si muove su una simile lunghezza d’onda. L’Europa è più lenta, certo, ma non dimentichiamo che prima della pandemia noi eravamo considerati il fanalino di coda e che anche nella emergenza creata dalla diffusione del virus non ci siamo smentiti sul terreno che più doveva essere seguito e reso efficiente: quello assistenziale.
E proprio da questo tema si dovrebbe ricominciare: imprenditori e sindacati hanno garantito una certa continuità produttiva, senza trascurare la indispensabile sicurezza. Un merito che gli va riconosciuto. Ma come deve rispondere ora il governo e il mondo politico se non approntando una riorganizzazione degli ammortizzatori sociali in grado di evitare gli errori del recente passato? Occorrerebbe un grande negoziato fra Governo e parti sociali, ma con il contributo propositivo anche delle forze politiche. Una riedizione, nel metodo, di quei grandi accordi che hanno permesso all’economia reale di tornare a respirare senza gravi conseguenze sociali. Il lavoro deve tornare ad essere il problema centrale della ripresa economica sostenibile.
Cosa vuole dire questa considerazione se non che potremo liberarci dell’emergenza solo ponendo le basi solide di un percorso riformatore nel quale riprogettare i cardini di una crescita non episodica.
Lo si dovrebbe fare sul lavoro, sulla sanità, ed anche sul fisco. Abbiamo assistito alle polemiche accese sulla sanatoria delle cartelle esattoriali. Ma è passato in secondo piano il problema reale: quello di riorganizzare la riscossione nazionale e locale (quante multe si celano in quei mancati introiti?) all’interno di una più ampia riforma fiscale che manca da troppo tempo. Superando anche dei paradossi: ci concentriamo sulle piccole cifre da riscuotere e in Italia ed in Europa non facciamo nulla o quasi nei riguardi dei grandi gruppi multinazionali, pensiamo ad Amazon o ai giganti del web, che accumulano profitti da capogiro, spesso più alti dei bilanci di uno Stato, senza pagare un effettivo pegno fiscale. Quando usciremo da questa contraddizione? Non è forse giunto il momento di farlo?
Le basi per una stagione di riforme vanno poste adesso e probabilmente ridisegneranno anche identità politiche e sociali. Del resto per quanto tempo ancora potremo delegare la politica economica tout court alle Banche centrali, Bce e Fed in testa? Anche in questo caso assistiamo ad un paradosso che sfiora il grottesco: l’Europa e ancor più l’Italia hanno dimenticato cosa vuol dire inflazione. Abbiamo navigato a lungo sulle soglie della deflazione invece. Ora le previsioni ci dicono che potrebbe rialzare la testa mentre ancora non c’è una ripresa economica in avvio. Ebbene il confronto su questo tema si svolge tutto fra le Banche centrali che minimizzano il problema e i mercati finanziari che si preparano ai possibili scenari di una nuova impennata inflazionistica. Una questione di economia reale che sfugge totalmente ai suoi interpreti principali che non dovrebbero trovarsi nella finanza o nel mondo bancario. Perché il silenzio dei partiti ed anche degli attori dell’economia e della produzione è totale. Disattenzione, ignoranza, sottovalutazione? Tutto potrà essere ma nei prossimi mesi potrebbe tramutarsi in un errore che pagheranno le fasce sociali più deboli innanzitutto. Ma qui sorge un altro quesito: possiamo affrontare questa montagna di problemi economici con un’ Europa che ha solo sospeso le sue “regole” già datate prima della pandemia? No di certo, vanno riscritte tutte. In questo senso la scelta su Draghi potrebbe essere un buon viatico per restituire all’Italia una presenza da protagonista nell’Europa da rifare. Ma non può trattarsi solo di un lavoro diplomatico attraversato per giunta da scelte geopolitiche (il nuovo rapporto fra Usa ed Europa…), oppure degli sherpa esperti di economia. Da rilanciare ci deve essere anche l’Europa sociale che chiama in causa l’iniziativa delle forze sindacali. Fra le varie dichiarazioni di questi tempi acquista un interesse che non andrebbe lasciato cadere quella che ha visto il nuovo Segretario del Pd parlare apertamente di partecipazione. E’ un tema nel quale ci sono già esperienze europee che andrebbero però riordinate in un sistema europeo di relazioni industriali capace di far fare passi avanti in tutti i Paesi membri, includendo il nodo dei diritti del lavoro. In Italia per decenni quello della partecipazione è stato un tema divisivo, inutile negarlo. Ma oggi che le suggestioni antisistema non sembrano più andare di moda, si potrebbe affrontare l’intera problematica in modo diverso e più costruttivo. Sempre che si accompagni alla volontà di riconoscere ai sindacati il ruolo che gli è proprio ed il valore di una loro azione unitaria. Non ci sono più problemi facili, ormai. Se si vuole cambiare, si deve…cambiare.



Fonte: di GIORGIO BENVENUTO
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