"DIMISSIONI PREVENTIVE"
26-06-2023 - DIARIO POLITICO di Giuseppe Butta'
È in corso una polemica durissima sulle scelte che il governo Meloni ha fatto per le nomine nel consiglio d’amministrazione della RAI. Apriti cielo! La ‘sinistra’ non si rassegna alla perdita dello scettro e passa all’attacco contro tutto quello che fa il governo. Amen.
Anche i critici più feroci hanno però dovuto ammettere che queste nomine sono state fatte seguendo norme di legge risalenti a un passato remoto e leggiadramente aggiornate da una maggioranza di ‘sinistra’ che – con la regia di Renzi – badò bene ai propri interessi di bottega con la legge 220/2015, presentata a suo tempo come una grande riforma che avrebbe ricondotto alla ragione la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi la quale, coi suoi poteri di nomina del cda, ha storicamente esercitato il controllo politico sulla RAI.
Fuori i partiti dalla RAI? Nemmeno per sogno.
Quella legge ha semplicemente ridefinito le modalità di designazione del consiglio di amministrazione della RAI, ridotto da nove a sette membri: due eletti dalla Camera dei deputati e due eletti dal Senato della Repubblica, due designati dal Consiglio dei ministri (su proposta del ministro dell’Economia e delle Finanze), uno designato dall’assemblea dei dipendenti della Rai spa; la nomina dell’amministratore delegato riservata al governo.
Buone o cattive che siano queste norme, la ‘sinistra’, fino a quando ha avuto le mani in pasta, non se ne era scandalizzata; si scandalizza oggi quando – pur avendo ora ottenuto la sua parte di nomine – questo potere è passato nelle mani di altri, di ‘questa destra’!
Roberto Zaccaria, già professore, deputato ulivista e presidente RAI, è un personaggio assai noto per le sue poliedriche attività e qualità, tra le quali quelle di pitagorico inventore di teoremi geniali. L’ultimo dei quali – enunciato in un salotto televisivo ‘robespierrista’ – è in breve questo: «ci sono lottizzazioni e lottizzazioni; ci sono quelle buone e quelle cattive: la lottizzazione che mi elevò a Presidente della RAI è il prototipo di quelle buone».
Fin qui niente di male. Si sa che ognuno di noi tende sempre a sopravvalutarsi.
Zaccaria però non si è limitato a dire che, quando egli fu nominato come capofila della ‘sinistra’ nel cda della RAI, la cosa fu buona e giusta; egli ha esteso il giudizio positivo su tutti i nominati dalla ‘sinistra’, nei secoli dei secoli. Se si vuole, è anche questo un giudizio corretto in virtù del fatto tutti gli appartenenti alla ‘falange’ della ‘sinistra’ sentono di essere i migliori, intellettualmente, culturalmente, politicamente e, soprattutto, moralmente. Anche ad essi è quindi concesso che si autostimino pure più del giusto e del necessario.
Zaccaria ha però voluto affermare una regola più alta e sistemica: quando è la ‘sinistra’ a lottizzare e a nominare bisogna chinare il capo e baciare il terreno che calpesta. Infatti, mentre la ‘destra’ occupa le istituzioni solo per soddisfare la sua insaziabile sete di potere tirannico, la ‘sinistra’ le occupa in nome del destino di ‘salvatrice’ del mondo che la storia le riserva e dell’ egemonia, gramsciana, che le spetta. Ce lo ha spiegato benissimo il direttore di ‘Repubblica’ che ha indossato le vesti di profeta: «Nel bel mezzo dell'accelerazione della storia, la destra rappresenta il passato, mentre sono in corso la trasformazione digitale e climatica, il corso della storia va contro la destra e a imporsi saranno le nuove idee. Ogni volta che la storia accelera è spietata perché sconfigge e lascia ai margini chi vuole vivere nel passato. ‘Repubblica delle Idee’ fotografa il presente e lascia alle spalle il passato compreso quello di Giorgia Meloni».
Sulla questione della RAI si è scatenato un putiferio per il fatto che l’inossidabile Fazio, avendo stipulato un lauto contratto con un’altra emittente televisiva, ha scelto motu proprio di andarsene dalla RAI: i suoi orfani si strappano le vesti e dicono che gli amministratori della RAI avrebbero dovuto trattenerlo ad ogni costo, anche a dargli uno stipendio doppio di quello che prendeva! E che era già ragguardevole!
Da buon imbonitore, Fazio non ci ha fatto mancare l’ultima performance sua e della sua sempre ben oliata équipe monocolore con un discorso d’addio strappalacrime e con una serie di panegirici da prefiche: nell'ultima puntata della parata di celebrità, Michele Serra, nel suo comizio contro viale Mazzini, ha riesumato perfino Topo Gigio chiedendosi «è di destra o di sinistra?»
Il comiziante, che s’era fatto le ossa nell’Unità dei tempi d’oro ed era ora di ruolo nella trasmissione faziesca, ci ha spiegato le regole della lottizzazione: «Oggi però, se Topo Gigio tornasse in onda, tutti si chiederebbero a quale partito è in quota. E se tornasse il Quartetto Cetra, sia ben chiaro che, dei quattro, uno dev’essere meloniano, uno leghista, uno grillino e il quarto del Pd. Poi quello grillino e quello del Pd si annullano litigando tra loro e così diventa il duetto Cetra, solidamente governativo».
A prescindere dal fatto che Serra non ci ha detto se il suo comizio era di destra o di sinistra, forse però possiamo ammettere che egli ha ragione. E dobbiamo pure ringraziarlo perché ha confermato e spiegato ciò che tutti abbiamo potuto notare nelle trasmissioni televisive anche non RAI, gestite da campioni come Fazio, Gruber, Floris, Formigli, etc. – tutti ex RAI ora passati a miglior rete: abbiamo finalmente potuto capire quale sia la tattica collaudata e consolidata di questi ‘eletti’ conduttori quando sono costretti a invitare in trasmissione un dissenziente dalla loro linea: circondare il malcapitato ‘invitato’ con una marea di famuli, nella proporzione di almeno 1 a 4, che lo sommergano fino a zittirlo.
L’ultima serata di Fazio ha avuto il suo clou nella comparsata del clown ufficiale: «Cara RAI, magari ci ritroveremo, spero in un'Italia diversa in cui la libertà sia preservata e dove il dissenso sia sempre leale [che intendeva dire?]. Un'Italia dove chi fa il ministro non abbia paura di chi fa il saltimbanco. Non dimenticare che il servizio pubblico è di tutti, di chi la pensa come chi governa, di chi la pensa all'opposto. Di chi va, di chi resta. Di tutti, di più. Tua affezionatissima [forse voleva dire pagatissima], Luciana».
Ora, l’altra dioscura della ‘sinistra’, che da anni illustra la tv pubblica con la sua obiettiva faziosità, la mezzorista Lucia Annunziata, già Presidente della RAI in quota ‘comunista’, ha fatto la mossa grandiosa di presentare dimissioni ‘preventive’, «irrevocabili».
Dimissioni preventive dicevamo: nel timore di ‘angherie’ e ‘incursioni’ delle camicie nere del cda nel suo bel programma, la simpatica rivoluzionaria ha messo le mani avanti e, nella lettera inviata al nuovo amministratore delegato della RAI, Roberto Sergio, ha levato questo grido di dolore: «Vi arrivo perché non condivido nulla dell'operato dell'attuale governo, né sui contenuti né sui metodi; in particolare non condivido le modalità dell'intervento sulla Rai … Non ci sono le condizioni per una collaborazione. Non intendo avviarmi sulla strada di una permanente conflittualità interna sul lavoro».
Dobbiamo supporre che, fino ad ora, l’Annunziata è rimasta al suo posto perché condivideva tutto dell’operato dei governi precedenti. Infatti ce n’eravamo accorti.
Nella puntata dell’11 giugno della sua famosa ‘Mezz’ora in +’, Annunziata – dopo che sul palco bolognese di ‘Repubblica delle idee’ si era detta scandalizzata dal fatto che «Giorgia Meloni nello stesso mese ha proposto il premierato e la riforma della Rai, perché quello che punta a fare è l'Istituto Luce di un premier eletto in modo diretto» – ha pure dato il benservito al governo: «il governo non ha più nessun rapporto con questa trasmissione».
Non entriamo nel merito dei suoi timori ma possiamo dire che non ci sembra che, a sollevarli, possano essere state sufficienti le poche o molte critiche che, per le inclinazioni e opinioni da lei espresse nelle sue interminabili mezz’ore, le hanno legittimamente rivolto alcuni dei suoi ascoltatori, mentre non risulta che i suoi datori di lavoro l’abbiano mai criticata, limitata o, tantomeno, minacciata.
Se si fosse turbata per così poco, dovremmo pensare che sia una tremebonda. Ma forse è l’idea raffinata che l’Annunziata ha del giornalismo a renderla ipersensibile alle critiche: forse lei pensa che debba farci conoscere le sue opinioni e non i fatti.
L’Annunziata martire – che già si dimise dalla carica presidenziale salvo poi a riapparire come ‘precaria’ da mezz’ora – si appresta ora a ricevere una liquidazione abbastanza lauta e, quindi, si potrà consolare. E poi, pare che la Schlein l’abbia invogliata a compiere questo passo da ‘ardita’, ma di ‘sinistra’, promettendole un seggio nel prossimo Parlamento europeo.
Non nascondo però che anche noi potremo consolarci perché finalmente perderemo le sue mezzorate che ci hanno fin qui ha deliziato.
Per questo atto eroico, l’Annunziata ha ricevuto, oltre che l’apprezzamento unanime dei correligionari, anche la solidarietà dell’altro immarcescibile ‘mezzobusto’ delle tv nostrane, Enrico Mentana: «Evidentemente Annunziata fa parte di quella categoria che preferisce andarsene da sola, con le sue gambe».
Un tale Stefano Graziano, capogruppo del Pd nella Commissione Vigilanza Rai ha sentenziato: «L'arrivo della destra al governo ha prodotto lo smantellamento di Rai 3. Questo è il frutto di una modalità di gestione del potere che vive con l'ossessione di occupare ogni spazio disponibile e che non si pone il problema del futuro del servizio pubblico televisivo. La Rai, dopo gli addii di due professionisti del calibro di Fabio Fazio e Lucia Annunziata, è un prodotto culturale ancora più debole e politicamente più allineato».
Veramente non ci eravamo accorti che la RAI avesse fatto harakiri affidando la ‘cultura’ alle teste di Fazio e Annunziata. Avevamo capito invece che questi erano solo i fedeli portavoce di una propaganda politica bene orchestrata.
La Schlein, farfugliando, ha evocato addirittura la tragedia greca: «È una gravissima perdita quella di una professionista di qualità per la tv pubblica: è un impoverimento della tv pubblica a vantaggio della concorrenza. A meno che non sia proprio questa la strategia del Governo visto che hanno un colossale conflitto di interesse. Siamo estremamente preoccupati perché il Governo sta procedendo a spallate all'occupazione della Rai. Hanno fatto tutto da soli».
A questo proposito abbiamo avuto la sorpresa di sentire Michele Santoro raccontare la verità dei fatti: pure avendo esagerato nelle lodi per la professionalità dei due ‘dimissionari’ e pure se si è capito che aveva da togliersi qualche sassolino dalle scarpe, egli non ha nascosto ciò che tutti possono vedere solo che vogliano. Certo, chi l’aveva invitato a ‘diMartedì’ – classico esempio di informazione unisex – non si aspettava che Santoro dicesse le cose che ha detto, anzi si aspettava esattamente il contrario, perciò abbiamo assistito alla scena tragicomica del povero Floris che non sapeva a che santo votarsi per reprimere la propria ira e per non fare sentire e capire cosa Santoro stesse dicendo. Ma non c’è riuscito; le parole di Santoro erano così chiare e forti che anche i sordi hanno sentito e capito: «Io sono convinto che la RAI come azienda abbia avuto una perdita editoriale, perché sia Fazio che Annunziata sono due professionisti molto validi». Poi ha confessato: «Io non sopporto nessuno dei due e voglio spiegare perché. Intanto le narrazioni che fanno sono sempre un po' farlocche, per esempio ho sentito le cose che Fazio ha detto di se stesso … Non c'è acrimonia, ma questi due colleghi sono stati il perno attorno a cui è ruotata una politica culturale in Rai fatta di esclusione degli altri e ammazzamento del pluralismo e della diversità … Secondo me l'azienda avrebbe fatto bene a tenerseli … ma io non sono l'azienda e soprattutto non sono un servizio pubblico che tiene fuori un pensiero diverso, e questo pensiero diverso era fuori quando loro erano al centro del babà».
Che la RAI sia sempre rimasta – in tutte le stagioni – una EIAR irredimibile, lo sapevamo; sapevamo che, come ci ha insegnato Gianni Boncompagni, la RAI non è la BBC: dietro il paravento del cosiddetto servizio pubblico si nasconde da sempre il direttorio politico e, ciò che è peggio, si nasconde un apparato sempre più gigantesco e costoso, una greppia che foraggia troppo abbondantemente, fino a farli scoppiare, schiere di privilegiati, ‘nani e ballerine’ insieme a qualche gigante. Ma il pasto è sempre troppo lauto anche per i giganti. Infatti, nonostante le centinaia di milioni del canone e i miliardi di pubblicità, anche quest’anno il bilancio della RAI presenta un debito di oltre 580 milioni: non sarà il caso di ridurre le spese?
Ciò che non sappiamo è come uscire da un tale busillis! Forse lo sa la Schlein: ha promesso che «Giorgia Meloni sarà l’ultimo Presidente del Consiglio a mettere le mani sulla RAI».
Promessa da marinaio? Temo di sì: se, il prossimo Presidente fosse la Schlein – Dio ce ne scampi!– ci metterebbe non solo le mani e i piedi ma anche la lingua.
Anche i critici più feroci hanno però dovuto ammettere che queste nomine sono state fatte seguendo norme di legge risalenti a un passato remoto e leggiadramente aggiornate da una maggioranza di ‘sinistra’ che – con la regia di Renzi – badò bene ai propri interessi di bottega con la legge 220/2015, presentata a suo tempo come una grande riforma che avrebbe ricondotto alla ragione la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi la quale, coi suoi poteri di nomina del cda, ha storicamente esercitato il controllo politico sulla RAI.
Fuori i partiti dalla RAI? Nemmeno per sogno.
Quella legge ha semplicemente ridefinito le modalità di designazione del consiglio di amministrazione della RAI, ridotto da nove a sette membri: due eletti dalla Camera dei deputati e due eletti dal Senato della Repubblica, due designati dal Consiglio dei ministri (su proposta del ministro dell’Economia e delle Finanze), uno designato dall’assemblea dei dipendenti della Rai spa; la nomina dell’amministratore delegato riservata al governo.
Buone o cattive che siano queste norme, la ‘sinistra’, fino a quando ha avuto le mani in pasta, non se ne era scandalizzata; si scandalizza oggi quando – pur avendo ora ottenuto la sua parte di nomine – questo potere è passato nelle mani di altri, di ‘questa destra’!
Roberto Zaccaria, già professore, deputato ulivista e presidente RAI, è un personaggio assai noto per le sue poliedriche attività e qualità, tra le quali quelle di pitagorico inventore di teoremi geniali. L’ultimo dei quali – enunciato in un salotto televisivo ‘robespierrista’ – è in breve questo: «ci sono lottizzazioni e lottizzazioni; ci sono quelle buone e quelle cattive: la lottizzazione che mi elevò a Presidente della RAI è il prototipo di quelle buone».
Fin qui niente di male. Si sa che ognuno di noi tende sempre a sopravvalutarsi.
Zaccaria però non si è limitato a dire che, quando egli fu nominato come capofila della ‘sinistra’ nel cda della RAI, la cosa fu buona e giusta; egli ha esteso il giudizio positivo su tutti i nominati dalla ‘sinistra’, nei secoli dei secoli. Se si vuole, è anche questo un giudizio corretto in virtù del fatto tutti gli appartenenti alla ‘falange’ della ‘sinistra’ sentono di essere i migliori, intellettualmente, culturalmente, politicamente e, soprattutto, moralmente. Anche ad essi è quindi concesso che si autostimino pure più del giusto e del necessario.
Zaccaria ha però voluto affermare una regola più alta e sistemica: quando è la ‘sinistra’ a lottizzare e a nominare bisogna chinare il capo e baciare il terreno che calpesta. Infatti, mentre la ‘destra’ occupa le istituzioni solo per soddisfare la sua insaziabile sete di potere tirannico, la ‘sinistra’ le occupa in nome del destino di ‘salvatrice’ del mondo che la storia le riserva e dell’ egemonia, gramsciana, che le spetta. Ce lo ha spiegato benissimo il direttore di ‘Repubblica’ che ha indossato le vesti di profeta: «Nel bel mezzo dell'accelerazione della storia, la destra rappresenta il passato, mentre sono in corso la trasformazione digitale e climatica, il corso della storia va contro la destra e a imporsi saranno le nuove idee. Ogni volta che la storia accelera è spietata perché sconfigge e lascia ai margini chi vuole vivere nel passato. ‘Repubblica delle Idee’ fotografa il presente e lascia alle spalle il passato compreso quello di Giorgia Meloni».
Sulla questione della RAI si è scatenato un putiferio per il fatto che l’inossidabile Fazio, avendo stipulato un lauto contratto con un’altra emittente televisiva, ha scelto motu proprio di andarsene dalla RAI: i suoi orfani si strappano le vesti e dicono che gli amministratori della RAI avrebbero dovuto trattenerlo ad ogni costo, anche a dargli uno stipendio doppio di quello che prendeva! E che era già ragguardevole!
Da buon imbonitore, Fazio non ci ha fatto mancare l’ultima performance sua e della sua sempre ben oliata équipe monocolore con un discorso d’addio strappalacrime e con una serie di panegirici da prefiche: nell'ultima puntata della parata di celebrità, Michele Serra, nel suo comizio contro viale Mazzini, ha riesumato perfino Topo Gigio chiedendosi «è di destra o di sinistra?»
Il comiziante, che s’era fatto le ossa nell’Unità dei tempi d’oro ed era ora di ruolo nella trasmissione faziesca, ci ha spiegato le regole della lottizzazione: «Oggi però, se Topo Gigio tornasse in onda, tutti si chiederebbero a quale partito è in quota. E se tornasse il Quartetto Cetra, sia ben chiaro che, dei quattro, uno dev’essere meloniano, uno leghista, uno grillino e il quarto del Pd. Poi quello grillino e quello del Pd si annullano litigando tra loro e così diventa il duetto Cetra, solidamente governativo».
A prescindere dal fatto che Serra non ci ha detto se il suo comizio era di destra o di sinistra, forse però possiamo ammettere che egli ha ragione. E dobbiamo pure ringraziarlo perché ha confermato e spiegato ciò che tutti abbiamo potuto notare nelle trasmissioni televisive anche non RAI, gestite da campioni come Fazio, Gruber, Floris, Formigli, etc. – tutti ex RAI ora passati a miglior rete: abbiamo finalmente potuto capire quale sia la tattica collaudata e consolidata di questi ‘eletti’ conduttori quando sono costretti a invitare in trasmissione un dissenziente dalla loro linea: circondare il malcapitato ‘invitato’ con una marea di famuli, nella proporzione di almeno 1 a 4, che lo sommergano fino a zittirlo.
L’ultima serata di Fazio ha avuto il suo clou nella comparsata del clown ufficiale: «Cara RAI, magari ci ritroveremo, spero in un'Italia diversa in cui la libertà sia preservata e dove il dissenso sia sempre leale [che intendeva dire?]. Un'Italia dove chi fa il ministro non abbia paura di chi fa il saltimbanco. Non dimenticare che il servizio pubblico è di tutti, di chi la pensa come chi governa, di chi la pensa all'opposto. Di chi va, di chi resta. Di tutti, di più. Tua affezionatissima [forse voleva dire pagatissima], Luciana».
Ora, l’altra dioscura della ‘sinistra’, che da anni illustra la tv pubblica con la sua obiettiva faziosità, la mezzorista Lucia Annunziata, già Presidente della RAI in quota ‘comunista’, ha fatto la mossa grandiosa di presentare dimissioni ‘preventive’, «irrevocabili».
Dimissioni preventive dicevamo: nel timore di ‘angherie’ e ‘incursioni’ delle camicie nere del cda nel suo bel programma, la simpatica rivoluzionaria ha messo le mani avanti e, nella lettera inviata al nuovo amministratore delegato della RAI, Roberto Sergio, ha levato questo grido di dolore: «Vi arrivo perché non condivido nulla dell'operato dell'attuale governo, né sui contenuti né sui metodi; in particolare non condivido le modalità dell'intervento sulla Rai … Non ci sono le condizioni per una collaborazione. Non intendo avviarmi sulla strada di una permanente conflittualità interna sul lavoro».
Dobbiamo supporre che, fino ad ora, l’Annunziata è rimasta al suo posto perché condivideva tutto dell’operato dei governi precedenti. Infatti ce n’eravamo accorti.
Nella puntata dell’11 giugno della sua famosa ‘Mezz’ora in +’, Annunziata – dopo che sul palco bolognese di ‘Repubblica delle idee’ si era detta scandalizzata dal fatto che «Giorgia Meloni nello stesso mese ha proposto il premierato e la riforma della Rai, perché quello che punta a fare è l'Istituto Luce di un premier eletto in modo diretto» – ha pure dato il benservito al governo: «il governo non ha più nessun rapporto con questa trasmissione».
Non entriamo nel merito dei suoi timori ma possiamo dire che non ci sembra che, a sollevarli, possano essere state sufficienti le poche o molte critiche che, per le inclinazioni e opinioni da lei espresse nelle sue interminabili mezz’ore, le hanno legittimamente rivolto alcuni dei suoi ascoltatori, mentre non risulta che i suoi datori di lavoro l’abbiano mai criticata, limitata o, tantomeno, minacciata.
Se si fosse turbata per così poco, dovremmo pensare che sia una tremebonda. Ma forse è l’idea raffinata che l’Annunziata ha del giornalismo a renderla ipersensibile alle critiche: forse lei pensa che debba farci conoscere le sue opinioni e non i fatti.
L’Annunziata martire – che già si dimise dalla carica presidenziale salvo poi a riapparire come ‘precaria’ da mezz’ora – si appresta ora a ricevere una liquidazione abbastanza lauta e, quindi, si potrà consolare. E poi, pare che la Schlein l’abbia invogliata a compiere questo passo da ‘ardita’, ma di ‘sinistra’, promettendole un seggio nel prossimo Parlamento europeo.
Non nascondo però che anche noi potremo consolarci perché finalmente perderemo le sue mezzorate che ci hanno fin qui ha deliziato.
Per questo atto eroico, l’Annunziata ha ricevuto, oltre che l’apprezzamento unanime dei correligionari, anche la solidarietà dell’altro immarcescibile ‘mezzobusto’ delle tv nostrane, Enrico Mentana: «Evidentemente Annunziata fa parte di quella categoria che preferisce andarsene da sola, con le sue gambe».
Un tale Stefano Graziano, capogruppo del Pd nella Commissione Vigilanza Rai ha sentenziato: «L'arrivo della destra al governo ha prodotto lo smantellamento di Rai 3. Questo è il frutto di una modalità di gestione del potere che vive con l'ossessione di occupare ogni spazio disponibile e che non si pone il problema del futuro del servizio pubblico televisivo. La Rai, dopo gli addii di due professionisti del calibro di Fabio Fazio e Lucia Annunziata, è un prodotto culturale ancora più debole e politicamente più allineato».
Veramente non ci eravamo accorti che la RAI avesse fatto harakiri affidando la ‘cultura’ alle teste di Fazio e Annunziata. Avevamo capito invece che questi erano solo i fedeli portavoce di una propaganda politica bene orchestrata.
La Schlein, farfugliando, ha evocato addirittura la tragedia greca: «È una gravissima perdita quella di una professionista di qualità per la tv pubblica: è un impoverimento della tv pubblica a vantaggio della concorrenza. A meno che non sia proprio questa la strategia del Governo visto che hanno un colossale conflitto di interesse. Siamo estremamente preoccupati perché il Governo sta procedendo a spallate all'occupazione della Rai. Hanno fatto tutto da soli».
A questo proposito abbiamo avuto la sorpresa di sentire Michele Santoro raccontare la verità dei fatti: pure avendo esagerato nelle lodi per la professionalità dei due ‘dimissionari’ e pure se si è capito che aveva da togliersi qualche sassolino dalle scarpe, egli non ha nascosto ciò che tutti possono vedere solo che vogliano. Certo, chi l’aveva invitato a ‘diMartedì’ – classico esempio di informazione unisex – non si aspettava che Santoro dicesse le cose che ha detto, anzi si aspettava esattamente il contrario, perciò abbiamo assistito alla scena tragicomica del povero Floris che non sapeva a che santo votarsi per reprimere la propria ira e per non fare sentire e capire cosa Santoro stesse dicendo. Ma non c’è riuscito; le parole di Santoro erano così chiare e forti che anche i sordi hanno sentito e capito: «Io sono convinto che la RAI come azienda abbia avuto una perdita editoriale, perché sia Fazio che Annunziata sono due professionisti molto validi». Poi ha confessato: «Io non sopporto nessuno dei due e voglio spiegare perché. Intanto le narrazioni che fanno sono sempre un po' farlocche, per esempio ho sentito le cose che Fazio ha detto di se stesso … Non c'è acrimonia, ma questi due colleghi sono stati il perno attorno a cui è ruotata una politica culturale in Rai fatta di esclusione degli altri e ammazzamento del pluralismo e della diversità … Secondo me l'azienda avrebbe fatto bene a tenerseli … ma io non sono l'azienda e soprattutto non sono un servizio pubblico che tiene fuori un pensiero diverso, e questo pensiero diverso era fuori quando loro erano al centro del babà».
Che la RAI sia sempre rimasta – in tutte le stagioni – una EIAR irredimibile, lo sapevamo; sapevamo che, come ci ha insegnato Gianni Boncompagni, la RAI non è la BBC: dietro il paravento del cosiddetto servizio pubblico si nasconde da sempre il direttorio politico e, ciò che è peggio, si nasconde un apparato sempre più gigantesco e costoso, una greppia che foraggia troppo abbondantemente, fino a farli scoppiare, schiere di privilegiati, ‘nani e ballerine’ insieme a qualche gigante. Ma il pasto è sempre troppo lauto anche per i giganti. Infatti, nonostante le centinaia di milioni del canone e i miliardi di pubblicità, anche quest’anno il bilancio della RAI presenta un debito di oltre 580 milioni: non sarà il caso di ridurre le spese?
Ciò che non sappiamo è come uscire da un tale busillis! Forse lo sa la Schlein: ha promesso che «Giorgia Meloni sarà l’ultimo Presidente del Consiglio a mettere le mani sulla RAI».
Promessa da marinaio? Temo di sì: se, il prossimo Presidente fosse la Schlein – Dio ce ne scampi!– ci metterebbe non solo le mani e i piedi ma anche la lingua.
Fonte: di Giuseppe Butta'