Ferruccio Parri sul libro di Paolo Bagnoli La Rivoluzione della libertà
24-06-2024 - LA REDAZIONE
Il giorno 29 maggio scorso, presso il Circolo De Amicis a Milano, si è tenuta la presentazione del libro La rivoluzione della libertà di Paolo Bagnoli. Pubblichiamo l'intervento di Ferruccio Parri. Alla presentazione partecipava Nicola Del Corno.
Buonasera signore e signori
Innanzitutto, porto i saluti della FIAP che ha contributo alla pubblicazione del libro. E pertanto ai miei aggiungo quelli assai più autorevoli del ns Presidente Luca Aniasi.
Innanzitutto, porto i saluti della FIAP che ha contributo alla pubblicazione del libro. E pertanto ai miei aggiungo quelli assai più autorevoli del ns Presidente Luca Aniasi.
Come mi ha scritto Paolo Bagnoli nel bel libro di cui mi ha fatto dono, “la ragione del libro sta nel titolo e nella dedica”.
Io sono molto grato a Paolo che ricorda sempre con parole di stima nostro nonno, dalle quali traspare un non velato affetto. Nostro, perché io ho una sorella, gemella, Francesca che vive a Roma. Alla gratitudine si aggiunge la commozione per aver voluto appunto tributare questa sua fatica a Parri oltre che a Lombardi, Codignola, Vittorelli.
Fulgide, le ultime tre, termine retorico, ma usiamolo, figure di azionisti e poi socialisti-liberali.
Parri non meno limpida figura di mazziniano, liberal-democratico, ma direi solo democratico, teso nell'anelito di libertà alla ricerca della giustizia sociale.
Ringrazio Aulo Chiesa 'editore di questo libro e presidente del Circolo De Amicis di cui ha assunto la guida in acque procellose per avermi voluto qui questo pomeriggio.
Per mia, ma soprattutto Vostra fortuna a parlare con scienza e non solo con coscienza dopo di me saranno note figure di studiose e di storici Elena Savino e Nicola Del Corno.
Io come a volte mi capita di dire sono solo un nipote, Non sono uno storico, non sono uno studioso di dottrine politiche; quindi, il mio più che essere un intervento, si risolverà innanzitutto in una lettura di alcuni passi tratti da due scritti di mia nonna Ester, pubblicati per il Giorno e per l'Astrolabio, riuniti in un volume edito dalla FIAP, all'indomani della morte della nonna avvenuta nel gennaio 80.
Il primo è un ricordo di Piero Gobetti, pubblicato sull'Astrolabio il 25.4.76 “Due occhi chiari e sereni che non posso dimenticare”.
Si incontrarono i miei nonni con Gobetti una prima volta nell'estate del 1923 a Torino, “in un piccolo studio …; il piano del tavolo era nascosto completamente da una montagna di libri tutti aperti, e dietro ai libri due occhi chiari ti guardavano così sereni che la meraviglia cedeva all'ammirazione, così tranquilli che ti facevano dimenticare aggressioni, bastonature, sequestri recenti. E non si pensava più al futuro.
Non ricordo affatto l'argomento della nostra conversazione, ma risento ancora nitido il suono della voce di Gobetti, lievemente alterata, al momento dei saluti: “Ci vedremo presto a Milano. Ci verrò appena sposato.” Volevamo fargli gli auguri, ma la porta si richiuse dopo quelle parole e Parri mormorò.” Almeno lo lasciassero sposare. In pace.”
Poi, mia nonna, ricorda quando i Gobetti, novelli sposi li vennero trovare a Milano, in Via Moscova 70 e come si instaurò anche con Ada un rapporto di amicizia; Ada parlava di Piero, del loro lavoro comune, mia nonna l'ascoltava e scriveva. ”Per me l'antifascismo era nato a Milano in uno dei primi giorni di novembre 22 sotto la pioggia, ascoltando la lunga discussione fra tre reduci di guerra, Bergmann, Malvezzi e Parri, un avvocato, un banchiere e un giornalista. Per Ada, invece, era nato coi vari pestaggi e poi con l'arresto di Piero “per appartenenza a gruppi sovversivi che complottavano contro lo Stato”.
Poi continua, ma ci fermiamo qui.
Il secondo è un ricordo di Carlo Rosselli a Lipari. Si chiama appunto Ricordo di Carlo a Lipari. Questo pubblicato “sul non mollare” nel giugno 47.
Scrive mia nonna: …” L'inverno e la primavera del 1929 furono lunghi. Al principio dell'estate minuziosi piani furono concertati con l'estero, con mio marito e con gli amici. Il Mirtillino (Mirtllino era il soprannome dato da Carlo al figlio John) e la mamma partirono da Lipari.
Per rassicurare la direzione sulle sue intenzioni tranquille e placide, Carlo passava lunghe ore sulla spiaggia, faceva lunghe nuotate e al ritorno portava il mio bimbo a cavalluccio per la ripida salita di Sant'Anna fra alte siepi di fichi d'india, invitava a pranzo gli amici, seguiva le vicende dei confinati e sorrideva. ”Il direttore della Colonia in risposta ai consigli di attenta sorveglianza scrisse ”Da Lipari non pensano di scappare neppure le mosche”.
E continua ..”mancavano poche ore alla fuga: questo nostro segreto ci pareva più grande del mare”... Quel giorno fece colazione con noi, tornando a casa salutò il mio bambino così: “Quando ti rivedrò mi dirai” buon giorno e buona sera, invece di giongiono e bonsessa“ e sarai il compagno di Mirtillino - Si fermò a metà della scala e sorrise, si fermo presso il cancello e si volse a salutare.
Alla sera, poco dopo le venti eravamo appoggiati al muretto di San Giuseppe, mio marito, il bimbo e io. Udimmo lontano nel mare il battito lieve di un motore: senza parlare ci avviammo verso casa. Sulla strada del Diana Rosselli ci passò accanto..., ci saluto appena, ci oltrepassò e si volse a guardarci. Il ricordo del suo viso di quel momento è il ricordo più vivo che ho di lui: ansia, speranza, senso di liberazione, tensione nervosa, facevano del suo sorriso una smorfia dolorosa così viva forte e umana che non ho più dimenticato. Non ho più visto Carlo Rosselli”.
Perché proprio questi scritti che hanno poco di politico? Cosa traspare da questi ricordi? Perché hanno un qualche valore? Perché danno conto di una amicizia fondata su comune impegno morale.
Rosselli in una lettera per Ester. scritta mentre erano confinati in attesa del processo di Savona (per aver fatto fuggire Turati) benedice, si fa per dire, immagino, la prigione “che mi ha procurato una amicizia così preziosa e un appoggio morale e intellettuale così saldo. Lei capisce di chi intendo parlare...”
Rosselli in una lettera per Ester. scritta mentre erano confinati in attesa del processo di Savona (per aver fatto fuggire Turati) benedice, si fa per dire, immagino, la prigione “che mi ha procurato una amicizia così preziosa e un appoggio morale e intellettuale così saldo. Lei capisce di chi intendo parlare...”
“Se riporto queste parole”, scrive mia nonna, “se considero miracoloso aver fra le mani le lettere di Carlo e di Nello è solo per dire che alla base della vita di dedizione assoluta ai principi di Giustizia e Libertà e alla Resistenza che ne derivò, c'è una capacità di affetto, di dedizione, di sacrificio di onestà morale che sono alla base di ogni grande azione umana”.
E qui termino con i ricordi.
Ecco, noi oggi parliamo di questo bel libro di scritti di Paolo Bagnoli, ricordiamo quelle esperienze politiche drammatiche ma anche gloriose, passatemi il termine, perché hanno in comune proprio questo. Nella circolarità degli affetti e dell'amicizia, ma anche negli scontri dialettici sempre a viso aperto, (tacciamo del famoso schiaffo di La Malfa a Comandini) si ritrova una ricerca di libertà che ha il suo contrappeso nella tensione verso la giustizia.
G.L. quindi, come movimento che tenta di superare le contorsioni, le contraddizioni, i punti di frattura nella variegata galassia della sinistra italiana, attraverso il ricorso ad un umanesimo integrale.
Dice bene Paolo, allora che per Rosselli, lottare per il socialismo è lottare per la libertà.” L'attuazione progressiva, scrive Carlo, “dell'idea di libertà e giustizia tra gli uomini”.
Nel partito d'Azione confluiscono i giellisti, anche se non tutti. Come scrisse Mario Boneschi che Paolo cita più volte, Il partito d'Azione come punto di incontro di “tutti democratici dalla mente aperta e dal cuore generoso” che seppur stretto tra partiti di massa o tra partiti che comunque in qualche modo ne paventavano la concorrenza, vedi il Psi di Nenni allora frontista, si assunse un compito immane., quello di rifare l'Italia di svecchiarne le strutture, attraverso l'inclusione, l'incontro tra i ceti medi e gli operai e i contadini.
Un partito che “procedeva attraverso criteri di vigile concretezza", per citare Bauer.
Per questo, seppur nelle differenze, seppur nella diaspora azionista, restò fra gli azionisti una corrente, un flusso di idealità, un fiume carsico che a volte riemergeva, basti ricordare l'esperienza di Unità Popolare di Codignola, Calamandrei , Parri e molti altri, esperimento necessario per ridestare quei principi di moralità nella vita politica senza la quale la stessa politica non è se non guerra per bande, come scrisse Mazzini.
Anzi si può dire, per riprendere Gaetano Arfè, che parlava degli azionisti, rispondendo ad una velenosa “stanza” di Montanelli su Lombardi, che si trattava di persone, gli azionisti appunto, accomunati dal culto della dignità della persona umana.
Il crisma del Partito d'Azione, secondo l'espressione di Lombardi che avrebbe accompagnato gli azionisti qualunque scelta essi avrebbero fatto.
Per questo anche nell'ultimo ventennio e anche prima, si è scatenata la caccia all'azionista; nessun partito è stato vituperato quanto il Partito d'Azione. E si capisce bene la ragione: la spiega sempre Arfè; perché la “cittadella azionista” - per usare una bella immagine ideata dallo studioso - “non partecipò ai baccanali della Prima Repubblica, non fu sfiorata dal crollo del muro di Berlino e né tanto meno dal fango di Tangentopoli, e questo spiega la furia ricorrente e accanita della offensiva che contro di essa si è condotta e ancora si conduce sotto diverse fogge ,utilizzando i mezzi più disparati, dall' attacco revisionista alla malevola caricatura” come quella che fece, purtroppo, Montanelli di Lombardi.
Torniamo, al tema del libro, alla filiera gobettismo, giellismo, azionismo e chiediamoci se parliamo di cose morte, se disquisiamo su una cultura politica arrivata da un pezzo al capolinea.
Ecco, se ci riferiamo ad una concezione della democrazia né classista né confessionale, se intendiamo per lotta politica, una lotta, come scriveva Gobetti, passo citato nel libro, in cui ”le classi valgono come miti, forze indefinibili che sempre si rinnovano e si contendono il potere e che quindi si connota come lotta tra conservatori e progressisti”, allora non credo che noi ci nutra di parole vuote, morte.
Luigini e contadini, avrebbe poi scritto Carlo Levi nell'Orologio.
Non abbiamo la testa rivolta al passato, se crediamo che il compito di una forza, di un movimento politico debba essere lo stesso, mutatis mutandis naturalmente, di quello prefigurato da Carlo per Giustizia e Libertà.
Paolo lo riporta nel libro: Io, come più d'uno, ho il manifesto con il pugnale fiammeggiante di GL. con in calce scolpite questa parole: “Giustizia e Libertà deve servire il proletariato sviluppando in esso il senso della dignità, dell'autonomia, della libertà, provocandolo alla lotta e la sacrificio senza vani lusinghe e umilianti adulazioni, per fare di ogni proletario un uomo , nel senso più alto e più nobile della parola, libero nell'officina, ma anche nella vita, di fronte al padrone come di fronte alla sua coscienza”.
Sono parole chiarissime, che valgono poi per tutti e non solo per quelli che vivono del loro lavoro.
Un partito politico che si dica progressista o semplicemente democratico dovrebbe scolpire queste parole sulla porta di ingresso, oltreché, naturalmente, nel cuore.