GIOVANNI BACCI
22-01-2024 - GALLERIA SOCIALISTA di Ferdinando Leonzio
Giovanni Bacci, nato il 7 marzo 1857 nel piccolo comune marchigiano di Belforte all'Isauro, nel Pesarese, giovanissimo si trasferì a Como, dove frequentò il locale Istituto Tecnico. Conseguito il diploma, fu attratto dalla lotta politica e dall'attività giornalistica, influenzato in particolare dall'ambiente democratico-radicale, che si ispirava alle idee di rinnovamento sociale di Agostino Bertani [1] e Felice Cavallotti [2].
Il suo esordio giornalistico lo fece sul foglio locale Il Baradello [3]. E man mano che si sviluppava la sua intensa attività giornalistica, egli andava avvicinandosi sempre più al nascente movimento socialista italiano [4], che nel 1892 si organizzò come Partito dei Lavoratori [5].
Dapprima Bacci divenne direttore della mensile Rivista di Ferrara (1882- 1886), poi del quotidiano democratico Mentana (gen-feb 1887) e infine di quello radicale La provincia di Mantova, a partire dal 1889 [6] e fino al 1907.
Nel 1903, maturate le sue convinzioni socialiste, aderì ufficialmente al PSI. Nel dicembre di quell'anno egli volle mettere a disposizione dei suoi compagni il giornale da lui diretto, che dunque nel sottotitolo diventa un Giornale socialista quotidiano [7]. Il notevole apporto politico che ciò rappresentò per il PSI, indusse il gruppo dirigente socialista a valorizzare il nuovo fervente militante. Egli infatti, dopo essere stato eletto consigliere provinciale per il PSI, prima di Mantova e poi di Ravenna, divenne segretario dell'importante Camera del Lavoro di Ravenna. Questo ruolo gli aprì la strada della politica nazionale. Infatti lo troviamo presente nel IX congresso del PSI (Roma, 7-10 ottobre 1906) [8].
All'interno del PSI vi era allora una forte tensione tra l'ala “sinistra“, rappresentata dai sindacalisti rivoluzionari [9] e la “destra“ riformista, e tale rivalità rischiava di immobilizzare il partito.
Tra le due correnti dunque si coagulò un terzo raggruppamento, capeggiato da Oddino Morgari, a cui aderì anche Enrico Ferri, detto “integralista“, in quanto si dichiarava per un “socialismo integrale“ e si proponeva di operare una sintesi tra gli opposti schieramenti, salvaguardando così l'unità del partito [10]. Il suo documento politico, largamente vincitore del congresso, si pronunciò, infatti, sia contro “la collaborazione impegnativa col potere“, sia contro “l'uso frequente dello sciopero generale“ e “l'esaltazione dell'azione diretta“. Con questa corrente era schierato Giovanni Bacci, con un ruolo nient'affatto secondario.
Lo si vide quando, dopo la proclamazione dei risultati, la sera del 9/10, i delegati integralisti unitari si riunirono a parte e nominarono una Commissione ristretta col compito di scegliere e proporre i nomi dei futuri componenti della Direzione Nazionale, che sarebbe stata formata interamente da integralisti. Di tale commissione faceva parte Giovanni Bacci [11], il quale entrò, per la prima volta, nella Direzione del partito, con una collocazione più accentuata a sinistra.
Alla vigilia del successivo congresso di Firenze (1908) la composita maggioranza integralista si era in parte sfaldata: una parte si era spostata verso i riformisti, che così riconquistarono la maggioranza; alcuni, fra cui Bacci, aderirono alla corrente intransigente rivoluzionaria in cui si stava affermando la leadership di Costantino Lazzari.
Quest'ultima, poco prima dei lavori si riunì a parte sotto la presidenza proprio di Bacci, a conferma del consolidarsi della sua influenza. Bacci sarà uno dei firmatari della mozione intransigente al congresso.
Ma il vero salto di qualità nella carriera di Bacci si ebbe a conclusione del congresso socialista di Reggio Emilia (7-10 luglio 1912). In precedenza si erano verificate due novità piuttosto rilevanti: la spaccatura in due ali della corrente riformista: la sinistra (Turati, Treves, Modigliani) e la destra (Bissolati, Bonomi, Cabrini) sul tema del sostegno o meno al Governo, sulla guerra di Libia, sulla partecipazione di Bissolati alle consultazioni del re; e la conquista della maggioranza congressuale da parte degli “intransigenti rivoluzionari“.
Nell'ufficio di presidenza del congresso, per la sinistre fu eletto Bacci, assieme al leader della corrente Costantino Lazzari e al deputato Gregorio Agnini.
Fra i rivoluzionari spiccava l'ancor giovane Benito Mussolini, presentatore della mozione approvata sull'espulsione dei “destri“:
Il Congresso, presa visione della povera, scheletrica relazione del gruppo parlamentare, constata e deplora l'inazione politica del gruppo stesso, che ha contribuito a demoralizzare le masse e, riferendosi agli atti specifici compiuti dai deputati Bissolati, Cabrini, Bonomi dopo l’attentato del 14 marzo, ritiene tali atti costituire gravissima offesa allo spirito della dottrina e alla tradizione socialista e dichiara espulsi dal partito i deputati suddetti Bissolati, Cabrini e Bonomi. La stessa misura colpisce anche il deputato Podrecca per i suoi atteggiamenti nazionalisti e guerrafondai [12].
Fu poi eletta una Direzione monocolore della sinistra rivoluzionaria, con segretario Costantino Lazzari e vice il siciliano di Caltagirone Arturo Vella. Membri di diritto, come da tradizione, il rappresentante del Gruppo Parlamentare (Oddino Morgari) e il direttore dell'Avanti!, carica per la quale, succedendo a Claudio Treves, fu nominato Giovanni Bacci.
Si trattava di una funzione assai delicata e prestigiosa, se si considera che il giornale socialista fungeva allora da veicolo di informazione, di collegamento e di orientamento per tutti i militanti.
Tuttavia Bacci, per nulla ambizioso e dirigente coscienzioso, resse solo pochi mesi, non potendo conciliare il troppo impegnativo onere di dirigere un quotidiano così importante con gli altri suoi impegni politici e sindacali. Questa la sua lettera di commiato, pubblicata sull'Avanti! del 1° dicembre 1912:
Scaduti i quattro mesi dall'accettazione della nomina a direttore dell'Avanti! (per la quale accettazione avevo posto la condizione di provvisorietà che sempre permase con la piena consapevolezza dei compagni della Direzione del Partito e del giornale); assolta la necessità materiale e morale di porre ogni mia cura non ad una distinta funzione, ma a quel conglobato di delicatissime responsabilità politiche ed amministrative interne risultanti principalmente dalla vittoria rivoluzionaria di Reggio Emilia, quando la forte compagine degli interessi del Partito sembrava presentarsi non salda, mi ritiro oggi per ritornare al mio posto di battaglia fra i lavoratori di Romagna con la fiducia che forse non inutile fu l'opera oscura e coscienziosa del mio breve e laborioso passaggio all'Avanti!
Come fui orgoglioso di ricevere la direzione del giornale da Claudio Treves, così con orgoglio la cedo a Benito Mussolini che sarà la squilla mattutina della nostra giornata rivoluzionaria, dalla quale egli continuerà a trarre fortunati risvegli per l'intero partito socialista.
Ai colleghi assidui ed intelligenti del giornale e dell'Amministrazione, ai bravi operai vada il mio riconoscente saluto, e il buon augurio al loro lavoro aspro ma ricco d'intime soddisfazioni; ai compagni che, nella stessa ora del distacco, mi vollero alla carica di Presidente della Società Editrice dell'Avanti! i miei ringraziamenti; ai socialisti d'Italia mi sia consentito di mandare l'affettuoso grido di stringersi sempre più intorno al loro giornale centrale, il vessillifero di tutte le loro lotte, di tutte le loro aspirazioni, raccolte e coordinate quotidianamente al supremo intento dell'emancipazione della classe operaia.
Viva l'Avanti!
Viva il Socialismo!
Con gli stessi toni, con gli stessi auspici, poco più sotto gli rispondeva il nuovo direttore del giornale socialista: Benito Mussolini. Anche al congresso di Ancona (26--29/7/1914) aperto proprio da Giovanni Bacci [13], Mussolini ebbe parole di elogio per il suo predecessore alla direzione dell'Avanti!:
A Giovanni Bacci, che mi consegnò il giornale, deve andare un pensiero di gratitudine da parte del congresso. L'opera sua fu provvidenziale. Il partito usciva da Reggio Emilia diviso, lacerato. Il Bacci affrettò la rimarginatura delle ferite prodotte dall'esodo dei destri.
Nessuno dei due avrebbe potuto neanche lontanamente immaginare quello cha sarebbe accaduto pochi mesi dopo, quando apparvero all’orizzonte le scure nubi della guerra mondiale.
Le posizioni pacifiste di Bacci e del PSI all'inizio furono condivise dall'abile e incisivo giornalista che dirigeva l'Avanti!, anche quando, il 28 luglio 1914, il conflitto europeo scoppiò davvero e in Italia, rimasta neutrale, nelle piazze, sulla stampa e in Parlamento si aprì un aspro dibattito fra interventisti e neutralisti, fra i quali si collocavano soprattutto i socialisti.
Improvvisamente, però, apparve sull'Avanti! un articolo di Mussolini che sembrava preparare il terreno al passaggio al campo interventista [14].
Questa inaspettata novità costrinse la Direzione a riunirsi d'urgenza il 20 ottobre 1914 per precisare la posizione ufficiale del partito contro l'ingresso dell'Italia nella guerra europea e per approvare un manifesto in proposito [15].
Mussolini, presente alla seduta, ovviamente non lo firmò, ma presentò un suo ordine del giorno di ben altro orientamento, che ottenne il suo solo voto. In conseguenza di ciò, egli presentò le dimissioni da direttore dell'Avanti!.[16]
Il giorno dopo, la Direzione del PSI, su proposta di Bacci e Della Seta, decise di avocare a sé la direzione del giornale socialista. In concreto, a dirigere per un po' l'Avanti provvide un Comitato di direzione, composto dal segretario del partito Costantino Lazzari e dai membri della Direzione con esperienze in campo giornalistico, Giovanni Bacci, soprattutto, e Giacinto Menotti Serrati [17] che, dal successivo 1° dicembre 1914, diventò direttore unico.
L'inutile strage [18] e le immani distruzioni, materiali e morali, causate dalla guerra imperialista 1914-18 nel mondo intero, colpirono duramente anche il movimento operaio internazionale, distruggendo – probabilmente per sempre – quello che i padri del socialismo scientifico, Karl Marx e Friedrich Engels, avevano individuato come il suo bene più grande: l'unità [19].
Il micidiale veleno nazionalista cominciò a penetrare da subito anche nelle file del proletariato, quando partiti che pur aveva avuto un ruolo guida nella Seconda Internazionale [20] votarono i crediti di guerra [21].
Solo pochi partiti, fra cui l'italiano e lo svizzero e alcune minoranze degli altri, si schierarono fermamente per l'internazionalismo proletario, assunsero importanti deliberazioni in merito e lanciarono appelli contro la guerra nei convegni di Zimmerwald [22] e di Kienthal [23] in Svizzera.
Nel corso della guerra i socialisti italiani di tutte le correnti si impegnarono a fondo per la pace e per questo alcuni di loro, anche i più prestigiosi, come Lazzari, Serrati, Vella, finirono in galera, con l'accusa di “disfattismo“; altri condussero in parlamento la loro battaglia, come Claudio Treves [24] e altri ancora, come il giovane soldato [25] Giacomo Matteotti, venne internato in Sicilia, poiché le autorità militari ritenevano pericoloso (!) lasciare nella zona del fronte quel pervicace, violento agitatore, capace di nuocere in ogni momento agli interessi nazionali!
Non meno importante fu il contributo di coloro che, come Bacci, rimasero a presidiare il partito, il giornale e la struttura organizzativa del movimento socialista.
La guerra lasciò forti strascichi dietro di sé: milioni di morti, feriti e mutilati, fame, disoccupazione, miseria [26]. In seguito alla Rivoluzione Russa (ottobre 1917) sorsero i partiti comunisti, per lo più derivanti da scissioni nei vari partiti socialisti. Sorsero anche il fascismo e il nazismo e molti movimenti di estrema destra.
In Italia le tradizionali divisioni tra rivoluzionari e riformisti, di solito con un centro a far da cuscinetto fra loro, man mano si lasciarono condizionare dalla Rivoluzione Russa.
Nel XV congresso (Roma, 1-5/9/1918) del PSI, tenutosi poco prima della fine della guerra, si confrontarono la “destra“ riformista di Turati e Modigliani, un “centro“ integralista, guidato da Tiraboschi e una sinistra rivoluzionaria, che da allora fu detta “massimalista“ in quanto si proponeva di realizzare il programma massimo del partito.
Quest'ultima, nonostante i suoi capi (Lazzari, Vella, Serrati) fossero in galera, uscì ampiamente vincitrice dal congresso. Bacci fu riconfermato nella Direzione.
Il 3 febbraio 1919 essa decise di aderire all'Internazionale Comunista, fondata poco prima.
Il sedicesimo congresso socialista (Roma, 5-8/10/1919) risultò ancora più accentuatamente rivoluzionario: a) a destra stavano i “massimalisti unitari“, capeggiati da Costantino Lazzari, che mettevano l'accento sulla necessità di mantenere unito il partito e di conservare il programma di Genova del 1892; su di essa, per motivi tattici, finiranno per confluire i riformisti; b) al centro la maggioranza, che risulterà vincitrice, dei “massimalisti elezionisti“, che ritenevano superato il programma di Genova, ma intendevano partecipare alle elezioni politiche imminenti: fra di essi Bacci, che sarà ancora riconfermato nella Direzione; c) all'estrema sinistra i “comunisti astensionisti“ di Bordiga che propugnavano l'abbandono di ogni attività parlamentare. Nuovo segretario fu eletto Nicola Bombacci.
Le elezioni politiche del 16 novembre 1919 premiarono il PSI per la sua coerente e instancabile lotta alla guerra, che tante sofferenze aveva causato nel popolo. Esso passò, infatti, a 156 deputati, dai 52 che aveva ottenuto nel 1913. Bacci si candidò nel collegio di Ravenna e fu eletto.
Poiché il Consiglio Nazionale del PSI in seguito deliberò (11-13/1/1920) l'incompatibilità tra le due cariche di deputato e di membro della Direzione, Bacci ed altri dirigenti, fra cui Bombacci, si dimisero dalla Direzione[27]. Bombacci fu sostituito, come segretario del partito, dal professore di matematica Egidio Gennari.
Alla Camera Bacci fu inserito nella “Commissione permanente per l'estero e le colonie“, ma la sua attività di parlamentare d'opposizione non fu particolarmente intensa. Fu invece molto agitato il periodo in cui rimase in carica, caratterizzato da importanti vicende politiche: l'occupazione delle fabbriche, la formazione di una corrente politica interna del PSI strettamente allineata al Comintern, lo sviluppo dello squadrismo fascista contro tutte le organizzazioni proletarie e democratiche.
Finita la guerra lo sfacelo organizzativo del socialismo mondiale venne consolidato e ufficializzato con la formazione di tre distinte associazioni internazionali [28]. Le divisioni, ovviamente, si riprodussero, nei vari stati del mondo, adattandosi alle situazioni nazionali. In Italia la frattura definitiva si verificò nell'ultimo congresso (Livorno, 15-21/1/1921) del PSI ancora unito, i cui delegati avevano tutti in tasca la stessa tessera, prima dell'avvio, imperioso e inarrestabile, di quella che fu detta l'orgia delle scissioni [29]. Così il magistrale pennello di Giuseppe Scalarini [30] rappresentò la situazione del PSI sull'Avanti! del 20 gennaio 1921:
Come un grande fiume (il PSI) che a un certo punto (1921) si divide in tre correnti, le quali poi finiranno per riunirsi di nuovo per arrivare assieme alla meta (il socialismo).
A sinistra stavano i comunisti (nel congresso detti “comunisti puri“) guidati da Amadeo Bordiga; al centro i massimalisti (“comunisti unitari“) [31], riuniti attorno a Giacinto Menotti Serrati e a destra i riformisti (“concentrazionisti“) con autorevole leader FilippoTurati.
Presiedere la storica assemblea su cui in seguito scorreranno fiumi di inchiostro toccò in sorte a Giovanni Bacci a ciò incaricato dalla Direzione[32], che così, il 15 gennaio 1921, introdusse i lavori:
Cari compagni congressisti, a nome della Direzione del Partito ho l'onore di porgervi il saluto della fraternità socialista e di vivamente compiacermi di essere venuti numerosissimi a questo Congresso nazionale, il Congresso dell'ospitale Livorno, che è il XVII della serie cominciata a Genova nel 1892.
In verità non mai si vide in Italia, e credo raramente all'estero, un congresso c0sì imponente, il quale ha richiamato sopra di sé la più accesa attenzione delle nostre quattromila e più sezioni, agitate negli ultimi mesi dalle maggiori correnti di idee, di programmi, di tendenze sul conflitto tremendo dell'unità e della scissione del Partito; non soltanto l'attenzione del proletariato, che ci guarda con ansia e aspetta la parola delle sue sante battaglie, ma ha richiamato sopra di sé le vivide speranze di intrepidi e valorosi compagni del di fuori e la preoccupazione di tanta parte della non sempre disinteressata stampa borghese, alla quale contraccambio il cortese saluto. È stato scritto che il presente congresso sarà detto storico per le conseguenze gravi che usciranno dalle sue decisioni. C'è infatti in quest'aria qualche cosa di solenne perché nell'animo di ciascuno di noi già sentiamo enorme la responsabilità del voto che stiamo per dare. E' appunto la solennità del momento che inspira alle vostre discussioni la reciproca tolleranza delle opposte dimostrazioni e affermazioni, la serenità dei discorsi nella estrema eppur necessaria vivacità dei dibattiti.
Questo Partito [è un partito] cosciente e organico anche nella varietà delle sue manifestazioni vitali, glorioso per i suoi atteggiamenti morali, per il suo coraggio civile. […].
Il nobile appello unitario di Giovanni Bacci purtroppo rimase inascoltato. Vistosi in minoranza rispetto ai “comunisti unitari“ (massimalisti), sulla cui mozione vittoriosa erano confluiti anche i voti degli “intransigenti rivoluzionari“ di Lazzari, il 21 gennaio 1921 i comunisti “puri“ lasciarono il congresso cantando l'Internazionale. Andavano a godersi la loro purezza e a fondare il loro partito: il Partito Comunista d'Italia (PCdI) [33]. Intanto dilagava in tutta Italia la reazione fascista.
Così Bacci salutò la scissione:
Nell'atto materiale della divisione non ci sia scambio di brutte parole. Ci divideremo con sentimenti fraterni. Mi auguro che le future polemiche, pur ispirandosi alla rigorosità tattica, siano al di sopra delle misere questioni personali. Diamo un esempio di civiltà socialista noi che per tanti anni siamo restati insieme.
Dopo di che Bacci aggiunse: I lavori del Partito Socialista Italiano continuano.
Adottate alcune altre decisioni [34], fu eletta la nuova Direzione [35], la quale si riunì poco dopo ed elesse segretario del partito Giovanni Bacci, con vice Emilio Zannerini. Direttore dell'Avanti! fu riconfermato Giacinto Menotti Serrati.
Intanto la violenza fascista arrivava a colpire obiettivi sempre più importanti. Se ne vide un doloroso esempio nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1921, quando i fascisti assaltarono la nuova [36] sede dell'Avanti! di Milano, provocando ingenti danni. In quell'occasione a dare man forte ai difensori del giornale accorse il noto giornalista, ex repubblicano di sinistra, Pietro Nenni [37].
Il 7 aprile 1921 il governo Giolitti si pronunciò per lo scioglimento della Camera e per conseguenza furono indette nuove elezioni per il 15 maggio 1921. Nonostante la forte rivalità in campo proletario e le violenze fasciste, il PSI, sotto la guida di Bacci, che non si era ricandidato, riuscì a reggere l'urto e a limitare le perdite, ottenendo 123 deputati [38] e confermandosi primo partito [39].
Sempre smaniosa di entrarci, in occasione del 3° congresso (29-6-1921) dell' Internazionale Comunista, la Direzione massimalista inviò a Mosca una delegazione composta da Costantino Lazzari, Ezio Riboldi e Fabrizio Maffi, per sostenere il ricorso contro la precedente esclusione del PSI, nel tentativo di convincere i capi comunisti ad ammetterlo nelle sue file. I tre, invece di... convincere, tornarono convinti dalle posizioni di Mosca.
E poiché la Direzione, presieduta da Bacci, non fu del parere di espellere i riformisti, come voleva Mosca, fu deciso di dare la parola a un nuovo congresso.
I tre, poi definiti “i pellegrini di Mosca“, per tutta risposta organizzarono una propria corrente, poi conosciuta come terzinternazionalista, favorevole ad accogliere tutte le condizioni di Mosca. Cosí Bacci commenterà la inaspettata conversione dei tre, quando si rivolse a Maffi, ricordandogli che è strano come si vada a Mosca a sostenere un ricorso, e poi si venga qui a parlare contro il ricorso stesso!
Intanto, per arginare la violenza fascista che non dava tregua alle organizzazioni socialiste, il 3 agosto 1921 il PSI acconsentì a firmare, nell'ufficio del Presidente della Camera Enrico De Nicola, un “Patto di pacificazione“ coi fascisti. Per il PSI firmarono Giovanni Bacci ed Emilio Zannerini, oltre i deputati Morgari e Musatti; per i fascisti Mussolini ed altri gerarchi. Esso non durò che pochi mesi, cioè fino al successivo novembre 1921, quando fu sconfessato dal congresso nazionale fascista.
Il nuovo congresso del PSI si svolse a Roma dal 10 al 15 ottobre 1921 e si concluse con la vittoria dei massimalisti unitari (Serrati), di cui Bacci faceva parte, che raccolsero un numero di voti superiore a quelli ottenuti dalle altre tre mozioni messe assieme: terzinternazionalisti (Lazzari), centristi (Alessandri) e riformisti (Turati).
I risultati rimasero immutati, rispetto a prima: riconferma dell'adesione all'Internazionale Comunista; rifiuto di quest'ultima ad ammettere il PSI, se non alle sue condizioni.
Forse la vera sorpresa si ebbe quando Olindo Vernocchi lesse la lista della nuova Direzione: mancava il nome di Giovanni Bacci. Vernocchi diede lettura di una lettera, in precedenza mandata da Bacci, Al Comitato della frazione. Quando a Livorno fui chiamato a ricoprire la carica di segretario del Partito, dichiarai che per non creare imbarazzi alla frazione e al Partito mi sarei sobbarcato alla gravissima responsabilità addossatami dalla fiducia dei compagni di tenere l'ufficio fino al nuovo Congresso. Ora non credo superfluo richiamare quella mia dichiarazione nell'eventualità che la frazione abbia la maggioranza nel Congresso, essendo irremovibile il mio proposito d'allora, e ripetutamente manifestato anche nell'assemblea massimalista dell'altra sera. Vi ringrazio, carissimi compagni, dell'alta prova di stima datami in questo tormentoso e tormentato periodo della vita del nostro partito e vi saluto affettuosamente.
Immediata la risposta di Vernocchi, a nome del Partito, che ringraziò Bacci per la sua opera indefessa e assidua per il Partito tutto. Egli seppe tenere il timone del Partito in momenti gravi e difficili, sempre tenendo alta la dignità e la grandezza del socialismo.
Bacci lasciò l'alto incarico [40], ma non lasciò la politica. Da quel momento la sua biografia personale appare strettamente intrecciata con quella del partito.
Il suo esordio giornalistico lo fece sul foglio locale Il Baradello [3]. E man mano che si sviluppava la sua intensa attività giornalistica, egli andava avvicinandosi sempre più al nascente movimento socialista italiano [4], che nel 1892 si organizzò come Partito dei Lavoratori [5].
Dapprima Bacci divenne direttore della mensile Rivista di Ferrara (1882- 1886), poi del quotidiano democratico Mentana (gen-feb 1887) e infine di quello radicale La provincia di Mantova, a partire dal 1889 [6] e fino al 1907.
Nel 1903, maturate le sue convinzioni socialiste, aderì ufficialmente al PSI. Nel dicembre di quell'anno egli volle mettere a disposizione dei suoi compagni il giornale da lui diretto, che dunque nel sottotitolo diventa un Giornale socialista quotidiano [7]. Il notevole apporto politico che ciò rappresentò per il PSI, indusse il gruppo dirigente socialista a valorizzare il nuovo fervente militante. Egli infatti, dopo essere stato eletto consigliere provinciale per il PSI, prima di Mantova e poi di Ravenna, divenne segretario dell'importante Camera del Lavoro di Ravenna. Questo ruolo gli aprì la strada della politica nazionale. Infatti lo troviamo presente nel IX congresso del PSI (Roma, 7-10 ottobre 1906) [8].
All'interno del PSI vi era allora una forte tensione tra l'ala “sinistra“, rappresentata dai sindacalisti rivoluzionari [9] e la “destra“ riformista, e tale rivalità rischiava di immobilizzare il partito.
Tra le due correnti dunque si coagulò un terzo raggruppamento, capeggiato da Oddino Morgari, a cui aderì anche Enrico Ferri, detto “integralista“, in quanto si dichiarava per un “socialismo integrale“ e si proponeva di operare una sintesi tra gli opposti schieramenti, salvaguardando così l'unità del partito [10]. Il suo documento politico, largamente vincitore del congresso, si pronunciò, infatti, sia contro “la collaborazione impegnativa col potere“, sia contro “l'uso frequente dello sciopero generale“ e “l'esaltazione dell'azione diretta“. Con questa corrente era schierato Giovanni Bacci, con un ruolo nient'affatto secondario.
Lo si vide quando, dopo la proclamazione dei risultati, la sera del 9/10, i delegati integralisti unitari si riunirono a parte e nominarono una Commissione ristretta col compito di scegliere e proporre i nomi dei futuri componenti della Direzione Nazionale, che sarebbe stata formata interamente da integralisti. Di tale commissione faceva parte Giovanni Bacci [11], il quale entrò, per la prima volta, nella Direzione del partito, con una collocazione più accentuata a sinistra.
Alla vigilia del successivo congresso di Firenze (1908) la composita maggioranza integralista si era in parte sfaldata: una parte si era spostata verso i riformisti, che così riconquistarono la maggioranza; alcuni, fra cui Bacci, aderirono alla corrente intransigente rivoluzionaria in cui si stava affermando la leadership di Costantino Lazzari.
Quest'ultima, poco prima dei lavori si riunì a parte sotto la presidenza proprio di Bacci, a conferma del consolidarsi della sua influenza. Bacci sarà uno dei firmatari della mozione intransigente al congresso.
Ma il vero salto di qualità nella carriera di Bacci si ebbe a conclusione del congresso socialista di Reggio Emilia (7-10 luglio 1912). In precedenza si erano verificate due novità piuttosto rilevanti: la spaccatura in due ali della corrente riformista: la sinistra (Turati, Treves, Modigliani) e la destra (Bissolati, Bonomi, Cabrini) sul tema del sostegno o meno al Governo, sulla guerra di Libia, sulla partecipazione di Bissolati alle consultazioni del re; e la conquista della maggioranza congressuale da parte degli “intransigenti rivoluzionari“.
Nell'ufficio di presidenza del congresso, per la sinistre fu eletto Bacci, assieme al leader della corrente Costantino Lazzari e al deputato Gregorio Agnini.
Fra i rivoluzionari spiccava l'ancor giovane Benito Mussolini, presentatore della mozione approvata sull'espulsione dei “destri“:
Il Congresso, presa visione della povera, scheletrica relazione del gruppo parlamentare, constata e deplora l'inazione politica del gruppo stesso, che ha contribuito a demoralizzare le masse e, riferendosi agli atti specifici compiuti dai deputati Bissolati, Cabrini, Bonomi dopo l’attentato del 14 marzo, ritiene tali atti costituire gravissima offesa allo spirito della dottrina e alla tradizione socialista e dichiara espulsi dal partito i deputati suddetti Bissolati, Cabrini e Bonomi. La stessa misura colpisce anche il deputato Podrecca per i suoi atteggiamenti nazionalisti e guerrafondai [12].
Fu poi eletta una Direzione monocolore della sinistra rivoluzionaria, con segretario Costantino Lazzari e vice il siciliano di Caltagirone Arturo Vella. Membri di diritto, come da tradizione, il rappresentante del Gruppo Parlamentare (Oddino Morgari) e il direttore dell'Avanti!, carica per la quale, succedendo a Claudio Treves, fu nominato Giovanni Bacci.
Si trattava di una funzione assai delicata e prestigiosa, se si considera che il giornale socialista fungeva allora da veicolo di informazione, di collegamento e di orientamento per tutti i militanti.
Tuttavia Bacci, per nulla ambizioso e dirigente coscienzioso, resse solo pochi mesi, non potendo conciliare il troppo impegnativo onere di dirigere un quotidiano così importante con gli altri suoi impegni politici e sindacali. Questa la sua lettera di commiato, pubblicata sull'Avanti! del 1° dicembre 1912:
Scaduti i quattro mesi dall'accettazione della nomina a direttore dell'Avanti! (per la quale accettazione avevo posto la condizione di provvisorietà che sempre permase con la piena consapevolezza dei compagni della Direzione del Partito e del giornale); assolta la necessità materiale e morale di porre ogni mia cura non ad una distinta funzione, ma a quel conglobato di delicatissime responsabilità politiche ed amministrative interne risultanti principalmente dalla vittoria rivoluzionaria di Reggio Emilia, quando la forte compagine degli interessi del Partito sembrava presentarsi non salda, mi ritiro oggi per ritornare al mio posto di battaglia fra i lavoratori di Romagna con la fiducia che forse non inutile fu l'opera oscura e coscienziosa del mio breve e laborioso passaggio all'Avanti!
Come fui orgoglioso di ricevere la direzione del giornale da Claudio Treves, così con orgoglio la cedo a Benito Mussolini che sarà la squilla mattutina della nostra giornata rivoluzionaria, dalla quale egli continuerà a trarre fortunati risvegli per l'intero partito socialista.
Ai colleghi assidui ed intelligenti del giornale e dell'Amministrazione, ai bravi operai vada il mio riconoscente saluto, e il buon augurio al loro lavoro aspro ma ricco d'intime soddisfazioni; ai compagni che, nella stessa ora del distacco, mi vollero alla carica di Presidente della Società Editrice dell'Avanti! i miei ringraziamenti; ai socialisti d'Italia mi sia consentito di mandare l'affettuoso grido di stringersi sempre più intorno al loro giornale centrale, il vessillifero di tutte le loro lotte, di tutte le loro aspirazioni, raccolte e coordinate quotidianamente al supremo intento dell'emancipazione della classe operaia.
Viva l'Avanti!
Viva il Socialismo!
Con gli stessi toni, con gli stessi auspici, poco più sotto gli rispondeva il nuovo direttore del giornale socialista: Benito Mussolini. Anche al congresso di Ancona (26--29/7/1914) aperto proprio da Giovanni Bacci [13], Mussolini ebbe parole di elogio per il suo predecessore alla direzione dell'Avanti!:
A Giovanni Bacci, che mi consegnò il giornale, deve andare un pensiero di gratitudine da parte del congresso. L'opera sua fu provvidenziale. Il partito usciva da Reggio Emilia diviso, lacerato. Il Bacci affrettò la rimarginatura delle ferite prodotte dall'esodo dei destri.
Nessuno dei due avrebbe potuto neanche lontanamente immaginare quello cha sarebbe accaduto pochi mesi dopo, quando apparvero all’orizzonte le scure nubi della guerra mondiale.
Le posizioni pacifiste di Bacci e del PSI all'inizio furono condivise dall'abile e incisivo giornalista che dirigeva l'Avanti!, anche quando, il 28 luglio 1914, il conflitto europeo scoppiò davvero e in Italia, rimasta neutrale, nelle piazze, sulla stampa e in Parlamento si aprì un aspro dibattito fra interventisti e neutralisti, fra i quali si collocavano soprattutto i socialisti.
Improvvisamente, però, apparve sull'Avanti! un articolo di Mussolini che sembrava preparare il terreno al passaggio al campo interventista [14].
Questa inaspettata novità costrinse la Direzione a riunirsi d'urgenza il 20 ottobre 1914 per precisare la posizione ufficiale del partito contro l'ingresso dell'Italia nella guerra europea e per approvare un manifesto in proposito [15].
Mussolini, presente alla seduta, ovviamente non lo firmò, ma presentò un suo ordine del giorno di ben altro orientamento, che ottenne il suo solo voto. In conseguenza di ciò, egli presentò le dimissioni da direttore dell'Avanti!.[16]
Il giorno dopo, la Direzione del PSI, su proposta di Bacci e Della Seta, decise di avocare a sé la direzione del giornale socialista. In concreto, a dirigere per un po' l'Avanti provvide un Comitato di direzione, composto dal segretario del partito Costantino Lazzari e dai membri della Direzione con esperienze in campo giornalistico, Giovanni Bacci, soprattutto, e Giacinto Menotti Serrati [17] che, dal successivo 1° dicembre 1914, diventò direttore unico.
L'inutile strage [18] e le immani distruzioni, materiali e morali, causate dalla guerra imperialista 1914-18 nel mondo intero, colpirono duramente anche il movimento operaio internazionale, distruggendo – probabilmente per sempre – quello che i padri del socialismo scientifico, Karl Marx e Friedrich Engels, avevano individuato come il suo bene più grande: l'unità [19].
Il micidiale veleno nazionalista cominciò a penetrare da subito anche nelle file del proletariato, quando partiti che pur aveva avuto un ruolo guida nella Seconda Internazionale [20] votarono i crediti di guerra [21].
Solo pochi partiti, fra cui l'italiano e lo svizzero e alcune minoranze degli altri, si schierarono fermamente per l'internazionalismo proletario, assunsero importanti deliberazioni in merito e lanciarono appelli contro la guerra nei convegni di Zimmerwald [22] e di Kienthal [23] in Svizzera.
Nel corso della guerra i socialisti italiani di tutte le correnti si impegnarono a fondo per la pace e per questo alcuni di loro, anche i più prestigiosi, come Lazzari, Serrati, Vella, finirono in galera, con l'accusa di “disfattismo“; altri condussero in parlamento la loro battaglia, come Claudio Treves [24] e altri ancora, come il giovane soldato [25] Giacomo Matteotti, venne internato in Sicilia, poiché le autorità militari ritenevano pericoloso (!) lasciare nella zona del fronte quel pervicace, violento agitatore, capace di nuocere in ogni momento agli interessi nazionali!
Non meno importante fu il contributo di coloro che, come Bacci, rimasero a presidiare il partito, il giornale e la struttura organizzativa del movimento socialista.
La guerra lasciò forti strascichi dietro di sé: milioni di morti, feriti e mutilati, fame, disoccupazione, miseria [26]. In seguito alla Rivoluzione Russa (ottobre 1917) sorsero i partiti comunisti, per lo più derivanti da scissioni nei vari partiti socialisti. Sorsero anche il fascismo e il nazismo e molti movimenti di estrema destra.
In Italia le tradizionali divisioni tra rivoluzionari e riformisti, di solito con un centro a far da cuscinetto fra loro, man mano si lasciarono condizionare dalla Rivoluzione Russa.
Nel XV congresso (Roma, 1-5/9/1918) del PSI, tenutosi poco prima della fine della guerra, si confrontarono la “destra“ riformista di Turati e Modigliani, un “centro“ integralista, guidato da Tiraboschi e una sinistra rivoluzionaria, che da allora fu detta “massimalista“ in quanto si proponeva di realizzare il programma massimo del partito.
Quest'ultima, nonostante i suoi capi (Lazzari, Vella, Serrati) fossero in galera, uscì ampiamente vincitrice dal congresso. Bacci fu riconfermato nella Direzione.
Il 3 febbraio 1919 essa decise di aderire all'Internazionale Comunista, fondata poco prima.
Il sedicesimo congresso socialista (Roma, 5-8/10/1919) risultò ancora più accentuatamente rivoluzionario: a) a destra stavano i “massimalisti unitari“, capeggiati da Costantino Lazzari, che mettevano l'accento sulla necessità di mantenere unito il partito e di conservare il programma di Genova del 1892; su di essa, per motivi tattici, finiranno per confluire i riformisti; b) al centro la maggioranza, che risulterà vincitrice, dei “massimalisti elezionisti“, che ritenevano superato il programma di Genova, ma intendevano partecipare alle elezioni politiche imminenti: fra di essi Bacci, che sarà ancora riconfermato nella Direzione; c) all'estrema sinistra i “comunisti astensionisti“ di Bordiga che propugnavano l'abbandono di ogni attività parlamentare. Nuovo segretario fu eletto Nicola Bombacci.
Le elezioni politiche del 16 novembre 1919 premiarono il PSI per la sua coerente e instancabile lotta alla guerra, che tante sofferenze aveva causato nel popolo. Esso passò, infatti, a 156 deputati, dai 52 che aveva ottenuto nel 1913. Bacci si candidò nel collegio di Ravenna e fu eletto.
Poiché il Consiglio Nazionale del PSI in seguito deliberò (11-13/1/1920) l'incompatibilità tra le due cariche di deputato e di membro della Direzione, Bacci ed altri dirigenti, fra cui Bombacci, si dimisero dalla Direzione[27]. Bombacci fu sostituito, come segretario del partito, dal professore di matematica Egidio Gennari.
Alla Camera Bacci fu inserito nella “Commissione permanente per l'estero e le colonie“, ma la sua attività di parlamentare d'opposizione non fu particolarmente intensa. Fu invece molto agitato il periodo in cui rimase in carica, caratterizzato da importanti vicende politiche: l'occupazione delle fabbriche, la formazione di una corrente politica interna del PSI strettamente allineata al Comintern, lo sviluppo dello squadrismo fascista contro tutte le organizzazioni proletarie e democratiche.
Finita la guerra lo sfacelo organizzativo del socialismo mondiale venne consolidato e ufficializzato con la formazione di tre distinte associazioni internazionali [28]. Le divisioni, ovviamente, si riprodussero, nei vari stati del mondo, adattandosi alle situazioni nazionali. In Italia la frattura definitiva si verificò nell'ultimo congresso (Livorno, 15-21/1/1921) del PSI ancora unito, i cui delegati avevano tutti in tasca la stessa tessera, prima dell'avvio, imperioso e inarrestabile, di quella che fu detta l'orgia delle scissioni [29]. Così il magistrale pennello di Giuseppe Scalarini [30] rappresentò la situazione del PSI sull'Avanti! del 20 gennaio 1921:
Come un grande fiume (il PSI) che a un certo punto (1921) si divide in tre correnti, le quali poi finiranno per riunirsi di nuovo per arrivare assieme alla meta (il socialismo).
A sinistra stavano i comunisti (nel congresso detti “comunisti puri“) guidati da Amadeo Bordiga; al centro i massimalisti (“comunisti unitari“) [31], riuniti attorno a Giacinto Menotti Serrati e a destra i riformisti (“concentrazionisti“) con autorevole leader FilippoTurati.
Presiedere la storica assemblea su cui in seguito scorreranno fiumi di inchiostro toccò in sorte a Giovanni Bacci a ciò incaricato dalla Direzione[32], che così, il 15 gennaio 1921, introdusse i lavori:
Cari compagni congressisti, a nome della Direzione del Partito ho l'onore di porgervi il saluto della fraternità socialista e di vivamente compiacermi di essere venuti numerosissimi a questo Congresso nazionale, il Congresso dell'ospitale Livorno, che è il XVII della serie cominciata a Genova nel 1892.
In verità non mai si vide in Italia, e credo raramente all'estero, un congresso c0sì imponente, il quale ha richiamato sopra di sé la più accesa attenzione delle nostre quattromila e più sezioni, agitate negli ultimi mesi dalle maggiori correnti di idee, di programmi, di tendenze sul conflitto tremendo dell'unità e della scissione del Partito; non soltanto l'attenzione del proletariato, che ci guarda con ansia e aspetta la parola delle sue sante battaglie, ma ha richiamato sopra di sé le vivide speranze di intrepidi e valorosi compagni del di fuori e la preoccupazione di tanta parte della non sempre disinteressata stampa borghese, alla quale contraccambio il cortese saluto. È stato scritto che il presente congresso sarà detto storico per le conseguenze gravi che usciranno dalle sue decisioni. C'è infatti in quest'aria qualche cosa di solenne perché nell'animo di ciascuno di noi già sentiamo enorme la responsabilità del voto che stiamo per dare. E' appunto la solennità del momento che inspira alle vostre discussioni la reciproca tolleranza delle opposte dimostrazioni e affermazioni, la serenità dei discorsi nella estrema eppur necessaria vivacità dei dibattiti.
Questo Partito [è un partito] cosciente e organico anche nella varietà delle sue manifestazioni vitali, glorioso per i suoi atteggiamenti morali, per il suo coraggio civile. […].
Il nobile appello unitario di Giovanni Bacci purtroppo rimase inascoltato. Vistosi in minoranza rispetto ai “comunisti unitari“ (massimalisti), sulla cui mozione vittoriosa erano confluiti anche i voti degli “intransigenti rivoluzionari“ di Lazzari, il 21 gennaio 1921 i comunisti “puri“ lasciarono il congresso cantando l'Internazionale. Andavano a godersi la loro purezza e a fondare il loro partito: il Partito Comunista d'Italia (PCdI) [33]. Intanto dilagava in tutta Italia la reazione fascista.
Così Bacci salutò la scissione:
Nell'atto materiale della divisione non ci sia scambio di brutte parole. Ci divideremo con sentimenti fraterni. Mi auguro che le future polemiche, pur ispirandosi alla rigorosità tattica, siano al di sopra delle misere questioni personali. Diamo un esempio di civiltà socialista noi che per tanti anni siamo restati insieme.
Dopo di che Bacci aggiunse: I lavori del Partito Socialista Italiano continuano.
Adottate alcune altre decisioni [34], fu eletta la nuova Direzione [35], la quale si riunì poco dopo ed elesse segretario del partito Giovanni Bacci, con vice Emilio Zannerini. Direttore dell'Avanti! fu riconfermato Giacinto Menotti Serrati.
Intanto la violenza fascista arrivava a colpire obiettivi sempre più importanti. Se ne vide un doloroso esempio nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1921, quando i fascisti assaltarono la nuova [36] sede dell'Avanti! di Milano, provocando ingenti danni. In quell'occasione a dare man forte ai difensori del giornale accorse il noto giornalista, ex repubblicano di sinistra, Pietro Nenni [37].
Il 7 aprile 1921 il governo Giolitti si pronunciò per lo scioglimento della Camera e per conseguenza furono indette nuove elezioni per il 15 maggio 1921. Nonostante la forte rivalità in campo proletario e le violenze fasciste, il PSI, sotto la guida di Bacci, che non si era ricandidato, riuscì a reggere l'urto e a limitare le perdite, ottenendo 123 deputati [38] e confermandosi primo partito [39].
Sempre smaniosa di entrarci, in occasione del 3° congresso (29-6-1921) dell' Internazionale Comunista, la Direzione massimalista inviò a Mosca una delegazione composta da Costantino Lazzari, Ezio Riboldi e Fabrizio Maffi, per sostenere il ricorso contro la precedente esclusione del PSI, nel tentativo di convincere i capi comunisti ad ammetterlo nelle sue file. I tre, invece di... convincere, tornarono convinti dalle posizioni di Mosca.
E poiché la Direzione, presieduta da Bacci, non fu del parere di espellere i riformisti, come voleva Mosca, fu deciso di dare la parola a un nuovo congresso.
I tre, poi definiti “i pellegrini di Mosca“, per tutta risposta organizzarono una propria corrente, poi conosciuta come terzinternazionalista, favorevole ad accogliere tutte le condizioni di Mosca. Cosí Bacci commenterà la inaspettata conversione dei tre, quando si rivolse a Maffi, ricordandogli che è strano come si vada a Mosca a sostenere un ricorso, e poi si venga qui a parlare contro il ricorso stesso!
Intanto, per arginare la violenza fascista che non dava tregua alle organizzazioni socialiste, il 3 agosto 1921 il PSI acconsentì a firmare, nell'ufficio del Presidente della Camera Enrico De Nicola, un “Patto di pacificazione“ coi fascisti. Per il PSI firmarono Giovanni Bacci ed Emilio Zannerini, oltre i deputati Morgari e Musatti; per i fascisti Mussolini ed altri gerarchi. Esso non durò che pochi mesi, cioè fino al successivo novembre 1921, quando fu sconfessato dal congresso nazionale fascista.
Il nuovo congresso del PSI si svolse a Roma dal 10 al 15 ottobre 1921 e si concluse con la vittoria dei massimalisti unitari (Serrati), di cui Bacci faceva parte, che raccolsero un numero di voti superiore a quelli ottenuti dalle altre tre mozioni messe assieme: terzinternazionalisti (Lazzari), centristi (Alessandri) e riformisti (Turati).
I risultati rimasero immutati, rispetto a prima: riconferma dell'adesione all'Internazionale Comunista; rifiuto di quest'ultima ad ammettere il PSI, se non alle sue condizioni.
Forse la vera sorpresa si ebbe quando Olindo Vernocchi lesse la lista della nuova Direzione: mancava il nome di Giovanni Bacci. Vernocchi diede lettura di una lettera, in precedenza mandata da Bacci, Al Comitato della frazione. Quando a Livorno fui chiamato a ricoprire la carica di segretario del Partito, dichiarai che per non creare imbarazzi alla frazione e al Partito mi sarei sobbarcato alla gravissima responsabilità addossatami dalla fiducia dei compagni di tenere l'ufficio fino al nuovo Congresso. Ora non credo superfluo richiamare quella mia dichiarazione nell'eventualità che la frazione abbia la maggioranza nel Congresso, essendo irremovibile il mio proposito d'allora, e ripetutamente manifestato anche nell'assemblea massimalista dell'altra sera. Vi ringrazio, carissimi compagni, dell'alta prova di stima datami in questo tormentoso e tormentato periodo della vita del nostro partito e vi saluto affettuosamente.
Immediata la risposta di Vernocchi, a nome del Partito, che ringraziò Bacci per la sua opera indefessa e assidua per il Partito tutto. Egli seppe tenere il timone del Partito in momenti gravi e difficili, sempre tenendo alta la dignità e la grandezza del socialismo.
Bacci lasciò l'alto incarico [40], ma non lasciò la politica. Da quel momento la sua biografia personale appare strettamente intrecciata con quella del partito.
Sempre in preda alle convulsioni causate dal suo intramontabile masochismo politico, la nuova Direzione massimalista unitaria si affrettò a inoltrare un nuovo appello all'Internazionale Comunista, che di nuovo lo rigettò per la mancata espulsione dei riformisti dal PSI.
Intanto lo squadrismo fascista continuava a martoriare le organizzazioni proletarie, tanto che perfino qualche membro della Direzione, come lo psichiatra Ferdinando Cazzamalli e il professore di filosofia Adelchi Baratono [41], cominciò a chiedersi perché diavolo il PSI non utilizzasse il suo nutrito gruppo parlamentare, almeno per lenire le sofferenze di migliaia di lavoratori e di attivisti perseguitati dal fascismo.
Furono, dopo tanto pavide esitazioni, finalmente più decisi i riformisti, al punto che Turati, rompendo la disciplina di partito, partecipò alle consultazioni del Re, in occasione della crisi di fine luglio 1922, per cercare di ottenere la formazione di un governo non connivente coi fascisti. Purtroppo inutilmente.
L'occasione era fin troppo ghiotta perché i massimalisti non cogliessero la palla al balzo per espellere i riformisti, cosa che avvenne puntualmente al Congresso straordinario (Roma, 1-4/10/1922) [42], nonostante l'invito profetico di Treves: I socialisti coi socialisti, i comunisti coi comunisti.
I riformisti, sostenuti anche dai centristi, costituirono perciò un loro proprio partito, Il Partito Socialista Unitario (PSU), cui poi si aggiunsero anche Baratono e Cazzamalli, con segretario Giacomo Matteotti [43]. Bacci rimase col vecchio partito, di cui ormai rappresentava la tradizione più autentica e coerente. Finalmente soddisfatta, l'Internazionale Comunista invitò il PSI a inviare una delegazione a Mosca per organizzare la fusione tra PSI e PCdI.
Intanto il fascismo andava al potere (28-10-1922) con l'intenzione di rimanerci a lungo. Il 5 novembre la delegazione del PSI, capeggiata da Serrati era a Mosca a concludere l'accordo, con la benedizione del Comintern, che aveva rincarato la dose, includendo fra i socialisti da espellere anche il siciliano Arturo Vella, rivoluzionario fra i più limpidi e coerenti, a lungo vice del prestigioso Costantino Lazzari.
Appreso del raggiunto accordo, la Direzione del PSI lo approvò in data 31 dicembre 1922, con la sola astensione del segretario Fioritto. Serrati, esultante per quello che riteneva un successo, da Mosca mandò all'Avanti! un articolo inneggiante all'imminente fusione [44]. Il redattore capo, Pietro Nenni, che intanto lo sostituiva, pubblicó l'articolo, ma accanto ne aggiunse uno suo, di segno diametralmente opposto [45].
La discussione, o meglio la battaglia, era di nuovo aperta, questa volta tra autonomisti, contrari alla fusione, e fusionisti.
Il tutto provocò una mezza sollevazione nella base; sicché nel corso di un convegno tenutosi a Milano il 14 gennaio 1923, gli autonomisti, capeggiati da Vella e Nenni, costituirono un “Comitato Nazionale di Difesa Socialista“. A questo punto riappare il nome del vecchio leone Giovanni Bacci, presente alla riunione e chiamato a far parte del Comitato Esecutivo della nuova frazione autonomista [46]. I “fusionisti“, il 25 febbraio 1923, crearono un loro “Comitato Nazionale Unionista“ e la parola passò a un nuovo congresso che si tenne a Milano nei giorni 15-16-17 aprile 1923.
Esso fu vinto dal Comitato di Difesa Socialista, che costituì una Direzione monocolore [47] con segretario Tito Oro Nobili, mentre la direzione dell'Avanti! fu affidata ad un comitato composto da Pietro Nenni, Riccardo Momigliano e Olindo Vernocchi.
La Direzione autonomista, per evitare nuove spaccature, stabilì il divieto di frazioni organizzate, sicché quando i terzinternazionalisti [48] pubblicarono una loro rivista, li escluse dal partito [49], provocando una terza scissione, dopo la comunista (1921) e la riformista (1922). Altri furono messi fuori del partito, quando decisero di presentarsi alle nuove elezioni parlamentari del 6 aprile 1924 nelle liste del PCdI, in cui poi confluiranno. Nello stesso periodo ebbe luogo la definitiva rottura tra il PSI e l'internazionale Comunista.
Fra i candidati del PSI spiccava il nome di Giovanni Bacci. La campagna elettorale si svolse in un clima di forti intimidazioni e di inaudita violenza squadristica, per cui i risultati assicurarono una larga vittoria a Mussolini e ai suoi alleati del “Listone“. Il caso più eclatante di violenza fu quello dell'assassinio di Antonio Piccinini (1884-1924), candidato del PSI nella circoscrizione Emilia, la stessa in cui era candidato Bacci, la stessa in cui, grazie alla passione di Camillo Prampolini, era nato e fiorito il socialismo cooperativistico, tanto odiato dagli agrari. Piccinini fu trucidato da alcuni fascisti la sera del 28 febbraio 1924. Ma la Direzione del PSI chiese ai suoi iscritti e simpatizzanti di votarlo lo stesso, nonostante le minacce fasciste, sicché egli, già morto, fu eletto!
Di fatto gli subentrò Giovanni Bacci. E fu proprio Bacci, fra i socialisti, nella seduta della Camera del 29 maggio 1924 a chiedere di intervenire per commemorare [50] – scrisse l'Avanti! del giorno dopo – il nostro compagno Piccinini, assassinato nel corso della lotta elettorale ed eletto nella circoscrizione emiliana.
Il presidente obiettò che non si poteva commemorare chi non era stato deputato o senatore. Bacci replicò che Piccinini doveva considerarsi deputato, essendo risultato eletto sia pure non convalidato per l'efferato delitto che lo ha tolto al mondo.
Fra tumulti e tafferugli, fra le proteste della sinistra, la posizione della presidenza fu approvata dalla maggioranza fascista, il che impedì, di fatto, l'intervento di Bacci su quel delitto.
Tuttavia Piccinini fu ricordato nel corso dello storico discorso tenuto da Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, il giorno dopo alla Camera, un discorso di denuncia di brogli elettorali:
Intanto lo squadrismo fascista continuava a martoriare le organizzazioni proletarie, tanto che perfino qualche membro della Direzione, come lo psichiatra Ferdinando Cazzamalli e il professore di filosofia Adelchi Baratono [41], cominciò a chiedersi perché diavolo il PSI non utilizzasse il suo nutrito gruppo parlamentare, almeno per lenire le sofferenze di migliaia di lavoratori e di attivisti perseguitati dal fascismo.
Furono, dopo tanto pavide esitazioni, finalmente più decisi i riformisti, al punto che Turati, rompendo la disciplina di partito, partecipò alle consultazioni del Re, in occasione della crisi di fine luglio 1922, per cercare di ottenere la formazione di un governo non connivente coi fascisti. Purtroppo inutilmente.
L'occasione era fin troppo ghiotta perché i massimalisti non cogliessero la palla al balzo per espellere i riformisti, cosa che avvenne puntualmente al Congresso straordinario (Roma, 1-4/10/1922) [42], nonostante l'invito profetico di Treves: I socialisti coi socialisti, i comunisti coi comunisti.
I riformisti, sostenuti anche dai centristi, costituirono perciò un loro proprio partito, Il Partito Socialista Unitario (PSU), cui poi si aggiunsero anche Baratono e Cazzamalli, con segretario Giacomo Matteotti [43]. Bacci rimase col vecchio partito, di cui ormai rappresentava la tradizione più autentica e coerente. Finalmente soddisfatta, l'Internazionale Comunista invitò il PSI a inviare una delegazione a Mosca per organizzare la fusione tra PSI e PCdI.
Intanto il fascismo andava al potere (28-10-1922) con l'intenzione di rimanerci a lungo. Il 5 novembre la delegazione del PSI, capeggiata da Serrati era a Mosca a concludere l'accordo, con la benedizione del Comintern, che aveva rincarato la dose, includendo fra i socialisti da espellere anche il siciliano Arturo Vella, rivoluzionario fra i più limpidi e coerenti, a lungo vice del prestigioso Costantino Lazzari.
Appreso del raggiunto accordo, la Direzione del PSI lo approvò in data 31 dicembre 1922, con la sola astensione del segretario Fioritto. Serrati, esultante per quello che riteneva un successo, da Mosca mandò all'Avanti! un articolo inneggiante all'imminente fusione [44]. Il redattore capo, Pietro Nenni, che intanto lo sostituiva, pubblicó l'articolo, ma accanto ne aggiunse uno suo, di segno diametralmente opposto [45].
La discussione, o meglio la battaglia, era di nuovo aperta, questa volta tra autonomisti, contrari alla fusione, e fusionisti.
Il tutto provocò una mezza sollevazione nella base; sicché nel corso di un convegno tenutosi a Milano il 14 gennaio 1923, gli autonomisti, capeggiati da Vella e Nenni, costituirono un “Comitato Nazionale di Difesa Socialista“. A questo punto riappare il nome del vecchio leone Giovanni Bacci, presente alla riunione e chiamato a far parte del Comitato Esecutivo della nuova frazione autonomista [46]. I “fusionisti“, il 25 febbraio 1923, crearono un loro “Comitato Nazionale Unionista“ e la parola passò a un nuovo congresso che si tenne a Milano nei giorni 15-16-17 aprile 1923.
Esso fu vinto dal Comitato di Difesa Socialista, che costituì una Direzione monocolore [47] con segretario Tito Oro Nobili, mentre la direzione dell'Avanti! fu affidata ad un comitato composto da Pietro Nenni, Riccardo Momigliano e Olindo Vernocchi.
La Direzione autonomista, per evitare nuove spaccature, stabilì il divieto di frazioni organizzate, sicché quando i terzinternazionalisti [48] pubblicarono una loro rivista, li escluse dal partito [49], provocando una terza scissione, dopo la comunista (1921) e la riformista (1922). Altri furono messi fuori del partito, quando decisero di presentarsi alle nuove elezioni parlamentari del 6 aprile 1924 nelle liste del PCdI, in cui poi confluiranno. Nello stesso periodo ebbe luogo la definitiva rottura tra il PSI e l'internazionale Comunista.
Fra i candidati del PSI spiccava il nome di Giovanni Bacci. La campagna elettorale si svolse in un clima di forti intimidazioni e di inaudita violenza squadristica, per cui i risultati assicurarono una larga vittoria a Mussolini e ai suoi alleati del “Listone“. Il caso più eclatante di violenza fu quello dell'assassinio di Antonio Piccinini (1884-1924), candidato del PSI nella circoscrizione Emilia, la stessa in cui era candidato Bacci, la stessa in cui, grazie alla passione di Camillo Prampolini, era nato e fiorito il socialismo cooperativistico, tanto odiato dagli agrari. Piccinini fu trucidato da alcuni fascisti la sera del 28 febbraio 1924. Ma la Direzione del PSI chiese ai suoi iscritti e simpatizzanti di votarlo lo stesso, nonostante le minacce fasciste, sicché egli, già morto, fu eletto!
Di fatto gli subentrò Giovanni Bacci. E fu proprio Bacci, fra i socialisti, nella seduta della Camera del 29 maggio 1924 a chiedere di intervenire per commemorare [50] – scrisse l'Avanti! del giorno dopo – il nostro compagno Piccinini, assassinato nel corso della lotta elettorale ed eletto nella circoscrizione emiliana.
Il presidente obiettò che non si poteva commemorare chi non era stato deputato o senatore. Bacci replicò che Piccinini doveva considerarsi deputato, essendo risultato eletto sia pure non convalidato per l'efferato delitto che lo ha tolto al mondo.
Fra tumulti e tafferugli, fra le proteste della sinistra, la posizione della presidenza fu approvata dalla maggioranza fascista, il che impedì, di fatto, l'intervento di Bacci su quel delitto.
Tuttavia Piccinini fu ricordato nel corso dello storico discorso tenuto da Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, il giorno dopo alla Camera, un discorso di denuncia di brogli elettorali:
Uno dei candidati, l’onorevole Piccinini, al quale mando a nome del mio gruppo un saluto... (Rumori)… conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata la candidatura, nonostante prevedesse quale sarebbe stato per essere il destino suo all’indomani.
Analogo a quello di Piccinini sarà il suo destino: il 10 giugno 1924 il coraggioso deputato socialista fu rapito e assassinato a pugnalate da una squadra fascista [51]. Un'ondata di sdegno e di proteste attraversò l'Italia e sembrò far vacillare il governo. Il 27 giugno seguente i partiti non fascisti decisero di non partecipare ai lavori della Camera fino a che i responsabili del delitto non fossero stati processati (secessione dell'Aventino).
Il fallito attentato (5-11-1925) al Duce, organizzato dal socialista unitario Tito Zaniboni ebbe come immediata conseguenza che il primo partito ad essere sciolto (6-11-1925) dal regime fosse quello di Zaniboni, il PSU, il partito di Matteotti e dei socialisti riformisti [52].
In conseguenza di ciò, Pietro Nenni avanzò nella Direzione del PSI la proposta di riaccogliere nel PSI gli aderenti al disciolto PSU, realizzando così l'unità dei socialisti. La proposta fu respinta dalla Direzione [53] e Nenni si dimise dalla Direzione del PSI e da quella dell'Avanti! (17-12-1925).
Da allora nel PSI si aprì un accalorato dibattito fra coloro che condividevano la proposta Nenni e quelli che, invece, erano contrari ad essa. Si arrivò dunque a convocare un nuovo congresso da tenersi il 14 novembre 1926.
Tre le mozioni in discussione:
a) Una presentata dalla maggioranza massimalista [54] (Arturo Vella, Olindo Vernocchi, ecc.), detta di Difesa socialista, contraria alla fusione coi riformisti.
b) Una presentata dal Comitato per l'unitá socialista nel PSI (Pietro Nenni, Giuseppe Romita, ecc.), decisamente favorevole.
c) Una presentata dal Gruppo d'Azione Socialista, che si interponeva fra le altre due e che era favorevole alla fusione, purché essa fosse realizzata su posizioni di sinistra.
Suo primo firmatario era proprio Giovanni Bacci [55]. Fu questa l'ultima uscita pubblica del vecchio e autorevole socialista. Deputato, giornalista, sindacalista, amministratore, non aveva mai assunto toni da trombone politico o atteggiamenti tribunizi né aveva cercato le luci della ribalta; ma aveva sempre dimostrato correttezza, tenacia e soprattutto coerenza.
Egli aveva fiutato la possibilità di nuove dolorose scissioni, come infatti sarebbe ancora accaduto all'estero fra le altre due componenti, ed era sceso in campo per salvaguardare il bene supremo del partito e del socialismo italiano: l'unità. Così infatti recitava il 2° paragrafo dello schema di mozione pubblicato sull'Avanti! del 28 settembre 1926:
L'unità socialista è il problema senza dubbio più sentito dalle masse operaie. Ma essa può trovare la sua realizzazione soltanto nel Partito Socialista Italiano e con l'adesione al suo programma. Il Partito, dal canto suo, deve promuovere ed accelerare questo processo di unificazione, volgendo ogni suo sforzo ad un'interpretazione tattica delle sue inalterabili tavole programmatiche, al lume delle più recenti esperienze (guerra, fascismo, rivoluzione russa, crisi della Terza e Seconda Internazionale).
Intanto l'iniziativa aventiniana non aveva prodotto gli effetti desiderati [56], mentre il fascismo aveva ripreso vigore.
Il congresso socialista del 14 novembre non poté tenersi perché la democrazia stava esalando gli ultimi respiri: il 5 furono soppresse le libertà costituzionali, il 6 furono vietati tutti i partiti politici (tranne quello fascista) e il 9 la Camera deliberò la decadenza dei 123 deputati aventiniani, ovviamente compreso Giovanni Bacci.
Alcuni di loro fuggirono all'estero e affrontarono un lungo esilio. Degli altri, chi, come Bacci, non fu arrestato o confinato, fu costretto ad abbandonare la vita politica. Bacci morì a Milano il 9 agosto 1928.
Si spegneva con lui un protagonista della storia italiana fra '800 e '900 con un corposo curriculum alle spalle: segretario nazionale del PSI, direttore dell'Avanti!, deputato nella XXV e nella XXVII legislatura del Regno d'Italia. Soprattutto veniva a mancare un uomo onesto e coerente, ricco di fede e di passione, che aveva dedicato tutta la sua vita alla causa del lavoro e del socialismo.
Analogo a quello di Piccinini sarà il suo destino: il 10 giugno 1924 il coraggioso deputato socialista fu rapito e assassinato a pugnalate da una squadra fascista [51]. Un'ondata di sdegno e di proteste attraversò l'Italia e sembrò far vacillare il governo. Il 27 giugno seguente i partiti non fascisti decisero di non partecipare ai lavori della Camera fino a che i responsabili del delitto non fossero stati processati (secessione dell'Aventino).
Il fallito attentato (5-11-1925) al Duce, organizzato dal socialista unitario Tito Zaniboni ebbe come immediata conseguenza che il primo partito ad essere sciolto (6-11-1925) dal regime fosse quello di Zaniboni, il PSU, il partito di Matteotti e dei socialisti riformisti [52].
In conseguenza di ciò, Pietro Nenni avanzò nella Direzione del PSI la proposta di riaccogliere nel PSI gli aderenti al disciolto PSU, realizzando così l'unità dei socialisti. La proposta fu respinta dalla Direzione [53] e Nenni si dimise dalla Direzione del PSI e da quella dell'Avanti! (17-12-1925).
Da allora nel PSI si aprì un accalorato dibattito fra coloro che condividevano la proposta Nenni e quelli che, invece, erano contrari ad essa. Si arrivò dunque a convocare un nuovo congresso da tenersi il 14 novembre 1926.
Tre le mozioni in discussione:
a) Una presentata dalla maggioranza massimalista [54] (Arturo Vella, Olindo Vernocchi, ecc.), detta di Difesa socialista, contraria alla fusione coi riformisti.
b) Una presentata dal Comitato per l'unitá socialista nel PSI (Pietro Nenni, Giuseppe Romita, ecc.), decisamente favorevole.
c) Una presentata dal Gruppo d'Azione Socialista, che si interponeva fra le altre due e che era favorevole alla fusione, purché essa fosse realizzata su posizioni di sinistra.
Suo primo firmatario era proprio Giovanni Bacci [55]. Fu questa l'ultima uscita pubblica del vecchio e autorevole socialista. Deputato, giornalista, sindacalista, amministratore, non aveva mai assunto toni da trombone politico o atteggiamenti tribunizi né aveva cercato le luci della ribalta; ma aveva sempre dimostrato correttezza, tenacia e soprattutto coerenza.
Egli aveva fiutato la possibilità di nuove dolorose scissioni, come infatti sarebbe ancora accaduto all'estero fra le altre due componenti, ed era sceso in campo per salvaguardare il bene supremo del partito e del socialismo italiano: l'unità. Così infatti recitava il 2° paragrafo dello schema di mozione pubblicato sull'Avanti! del 28 settembre 1926:
L'unità socialista è il problema senza dubbio più sentito dalle masse operaie. Ma essa può trovare la sua realizzazione soltanto nel Partito Socialista Italiano e con l'adesione al suo programma. Il Partito, dal canto suo, deve promuovere ed accelerare questo processo di unificazione, volgendo ogni suo sforzo ad un'interpretazione tattica delle sue inalterabili tavole programmatiche, al lume delle più recenti esperienze (guerra, fascismo, rivoluzione russa, crisi della Terza e Seconda Internazionale).
Intanto l'iniziativa aventiniana non aveva prodotto gli effetti desiderati [56], mentre il fascismo aveva ripreso vigore.
Il congresso socialista del 14 novembre non poté tenersi perché la democrazia stava esalando gli ultimi respiri: il 5 furono soppresse le libertà costituzionali, il 6 furono vietati tutti i partiti politici (tranne quello fascista) e il 9 la Camera deliberò la decadenza dei 123 deputati aventiniani, ovviamente compreso Giovanni Bacci.
Alcuni di loro fuggirono all'estero e affrontarono un lungo esilio. Degli altri, chi, come Bacci, non fu arrestato o confinato, fu costretto ad abbandonare la vita politica. Bacci morì a Milano il 9 agosto 1928.
Si spegneva con lui un protagonista della storia italiana fra '800 e '900 con un corposo curriculum alle spalle: segretario nazionale del PSI, direttore dell'Avanti!, deputato nella XXV e nella XXVII legislatura del Regno d'Italia. Soprattutto veniva a mancare un uomo onesto e coerente, ricco di fede e di passione, che aveva dedicato tutta la sua vita alla causa del lavoro e del socialismo.
- Agostino Bertani (1812-1886), medico, fu amico di Mazzini, Cattaneo, Garibaldi e Mameli; fu con Garibaldi nella difesa della Repubblica Romana, nella 2a e nella 3a guerra d'indipendenza, nella spedizione dei Mille e nella battaglia di Mentana. Deputato al Parlamento fu fondatore e leader del gruppo dell'Estrema Sinistra, fautore del suffragio universale e sostenitore del movimento contadino.
- Felice Cavallotti (1842-1898), fu un politico di orientamento radicale, poeta e giornalista. Deputato per dieci legislature, fu il fondatore, assieme a Bertani, dell'Estrema Sinistra. Era detto Il bardo della democrazia.
- Il giornale prendeva nome dall'omonimo colle che domina la città di Como e il cui nome significa “luogo elevato“. Il giornale uscì dal luglio 1978 al luglio 1884.
- La sua evoluzione dalla democrazia radicale al socialismo si vede, oltre che dai suoi articoli, dalle sue pubblicazioni di questo periodo: Il diritto di proprietà e gli operai (1884), Cavallotti e Costa (1887), Mazzini e il socialismo (1893).
- Nel suo congresso di fondazione (Genova, 1892) il partito socialista assunse la denominazione di Partito dei Lavoratori Italiani, che nel congresso di Reggio Emilia (1893) fu cambiata in quella di Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI) e, infine, nel congresso di Parma (1895), in quella di Partito Socialista Italiano (PSI).
- Quando Bacci arrivò alla sua direzione il giornale aveva come sottotitolo Giornale della democrazia; dal 28-11-1899 esso fu mutato in Giornale della Democrazia sociale. Quando Bacci aderì al PSI (1903) dal 27-12-1903 divenne Giornale socialista quotidiano, sottotitolo che conservò fino al 1°-7-1913.
- Su La Provincia di Mantova scrisse anche la celebre politica e sindacalista socialista Maria Goia (1878-1924).
- Pochi giorni prima (1-10-1906) era stata fondata a Milano la Confederazione Generale del Lavoro (CGdL), con primo segretario il socialista Rinaldo Rigola.
- Il 1°-7-1907 essi decisero di uscire dal PSI. Nel novembre 1912 costituiranno l'Unione Sindacale Italiana (USI).
- Durante i lavori congressuali emerse una quarta posizione, detta “intransigente rivoluzionaria”, guidata da Giovanni Lerda. Non seguirà i sindacalisti nella scissione.
- Gli altri componenti erano: Oddino Morgari, Enrico Ferri, Cabrini, Cecchetti e Gamparano.
- In conseguenza di questa deliberazione i riformisti di destra costituiranno un loro partito, denominato Partito Socialista Riformista Italiano (PSRI). Sull'argomento si puó vedere l'omonimo saggio di Ferdinando Leonzio sul mensile online La Rivoluzione Democratica del novembre 2019.
- Nella sua introduzione, Bacci disse, fra l'altro: Il Partito socialista non ha affini. Esso è sorto indomito ed indomabile contro la scellerataggine della guerra libica ed è Partito pacifista. Ma la sua essenza e la sua azione debbono essere sempre rivoluzionarie. Bacci sarà riconfermato nella Direzione.
- L'articolo, pubblicato sull'Avanti! il 18-10-1914 era intitolato Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante.
- Il manifesto, pubblicato sull'Avanti! il 21-10-1914 e intitolato “Contro la guerra“, era stato redatto da una commissione di cui facevano parte Giovanni Bacci, Alceste Della Seta, Costantino Lazzari e Oddino Morgari. L'appello proclamò: Su questa bandiera è scritto: Proletari di tutto il mondo, unitevi! Ed in mezzo al frastuono delle armi, innanzi all'orrore della guerra, noi socialisti d'Italia ancora dobbiamo dire: Il Partito socialista è contro alla guerra, per la neutralità.
- Il 15-11-1914 uscì un nuovo quotidiano, intitolato Il Popolo d'Italia, diretto da Mussolini, nel cui n.ro 1 figurava l'articolo del direttore intitolato Audacia!, dichiaratamente interventista. In conseguenza di ciò, la sezione socialista di Milano, cui era iscritto, il 24-11-1914 lo espulse dal PSI e il 30/11 successivo la Direzione, unanime, ratificò il provvedimento.
- Serrati in passato aveva collaborato con la rivista Lotta di classe e diretto Il Proletario, L'Avvenire dei Lavoratori, La Lima e Il Secolo nuovo.
- L'espressione è del papa Benedetto XV (1-8-1917).
- I due grandi socialisti avevano concluso il loro Manifesto del Partito Comunista (1848) con la celebre frase: Proletari di tutto il mondo, unitevi!
- Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD), Partito Socialdemocratico dei Lavoratori d'Austria (SDAP), Sezione Francese dell'Internazionale Operaia (SFIO), Partito Laburista (Gran Bretagna).
- Finanziamenti per le spese militari.
- La conferenza di Zimmerwald si svolse dal 5 all'8 settembre 1915. I delegati italiani erano: Angelica Balabanoff (poliglotta-interprete), Costantino Lazzari (segretario PSI), Giuseppe Emanuele Modigliani, Oddino Morgari e Giacinto Menotti Serrati (direttore dell'Avanti!).
- La conferenza di Kienthal ebbe luogo dal 24 al 30 aprile 1916. Il PSI era rappresentato da Enrico Dugoni, Costantino Lazzari, Giuseppe Emanuele Modigliani, Oddino Morgari, Elia Musatti, Camillo Prampolini, Giacinto Menotti Serrati.
- Celebre il discorso che Treves tenne alla Camera il 12-7-1917, concluso con un appassionato appello: Il prossimo inverno non più in trincea!
- Benché laureato in giurisprudenza Matteotti, per le sue idee politiche neutraliste, manifestate, fra l'altro, in un suo intervento al Consiglio Provinciale di Rovigo, era stato escluso dal corso allievi ufficiali.
- L'Italia ebbe seicentomila morti e un milione e mezzo di invalidi e mutilati.
- Fra i nuovi che entrarono nella Direzione, al posto dei dimissionari, Adelchi Baratono, Umberto Terracini ed Emilio Zannerini.
- a) I socialdemocratici (o socialisti “di destra”), dopo le conferenze preparatorie di Berna (febbraio 1919), di Amsterdam e di Lucerna (agosto 1919), specialmente per impulso del Partito Laburista britannico, col congresso di Ginevra (luglio 1920) fecero risorgere la Seconda Internazionale. b) I socialisti (o “centristi” rispetto alle altre due organizzazioni), diedero vita (febbraio 1921) all'Unione Internazionale Socialista (detta anche “Internazionale di Vienna”, dal luogo in cui aveva sede o spregiativamente detta dai comunisti “Internazionale due e mezzo”, perché si collocava tre la Seconda e la Terza Internazionale. Essa tentò, senza riuscirvi, di promuovere la riunificazione delle tre organizzazioni. Di conseguenza, nel congresso di Amburgo del 25-5-1923, si fuse con la sola Seconda Internazionale, dando vita all'Internazionale Operaia Socialista (IOS). Quest'ultima si dissolse di fatto nel 1940, con l'occupazione nazista di Bruxelles, dove era la sua sede centrale e poi di Parigi, dove da un mese si era trasferito il Segretariato. c) I comunisti (ex “sinistra” o “estrema sinistra” socialista), sotto la spinta di Lenin e della Rivoluzione Russa, il 4-3-1919 fondarono a Mosca la monolitica Terza Internazionale, detta anche Internazionale Comunista o Comintern. Essa fu sciolta il 15-5-1943, durante la seconda guerra mondiale.
- L'espressione è di Pietro Nenni.
- Scalarini (1873-1948) fu un celebre disegnatore e caricaturista politico socialista. Per molto tempo, a partire dal 22-10-1911, per molti anni pubblicò sull'Avanti! le sue incisive e mordenti vignette. Usava firmarsi disegnando una piccola scala seguita dalla parola “rini”. Antimilitarista e antifascista, fu perseguitato dal regime.
- Il Comitato Nazionale dei “comunisti unitari (ex "massimalisti elezionisti“) elesse una Commissione ristretta per tenere i rapporti con le altre correnti, di cui faceva parte Bacci, il cui prestigio nel partito era di molto cresciuto. Gli altri componenti erano: Vella, Froia, Mantica e Passigli.
- Lo affiancavano alla presidenza Anselmo Marabini (comunisti puri) e Argentina Altobelli (concentrazione riformista). I delegati rappresentavano 4367 sezioni aventi 213.327 iscritti.
- Aderirono al PCDI sostanzialmente tre gruppi: il più numeroso, che si riconosceva attorno al settimanale Il Soviet, quello che orbitava attorno alla pubblicazione L'Ordine Nuovo, fondato da Antonio Gramsci e altri, e i massimalisti di sinistra, come Gennari e Bombacci.
- La più importante fu probabilmente la pertinace volontà di rimanere nella Terza Internazionale, nonostante la scissione comunista.
- Essa risultò così composta: Giovanni Bacci, Adelchi Baratono, Sebastiano Bonfiglio, Franco Clerici, Domenico Fioritto, Giuseppe Mantica, Viscardo Montanari, Eugenio Mortasa, Giuseppe Parpagnoli, Giuseppe Passigli, Gaetano Pilati, Giacinto Menotti Serrati, Alojz Stolfa, Emilio Zannerini.
- La vecchia sede dell'Avanti!, il 15-4-1919 era stata distrutta da un assalto nazionalista-fascista.
- Dopo alcuni giorni il direttore Serrati lo assunse come corrispondente da Parigi dell'Avanti!. A Parigi Nenni si iscriverà al PSI e, tornato in Italia, nel maggio 1922 diverrà redattore capo del quotidiano socialista.
- Il PcdI ne ottenne 15.
- In quell'occasione il PSI aggiunse, nel suo contrassegno, oltre la falce e il martello, anche il libro, simbolo della cultura.
- Alla prima riunione della Direzione fu eletto segretario Domenico Fioritto. Serrati fu confermato direttore dell'Avanti!
- Baratono fu professore di filosofia di Sandro Pertini al liceo di Savona.
- Segretario del PSI fu riconfermato Domenico Fioritto, mentre Serrati rimase a dirigere l'Avanti!
- A questo partito aderì, subito dopo, il giovane Giuseppe Saragat, futuro Presidente della Repubblica.
- L'articolo di Serrati, pubblicato sull'Avanti del 3-1-1923 era intitolato All'Unitá comunista!
- L'articolo di Nenni era intitolato La liquidazione del Partito socialista?
- Si veda Avanti! del 13-1-1923. Oltre Bacci, facevano parte del C.E. Buscaglia, Clerici, Momigliano, Nenni, Pirri, Sacerdote, Silvestrini e Viotto.
- Essa era composta da Tito Oro Nobili (segretario), Luigi Fabbri, Riccardo Momigliano, Pietro Nenni, Andrea Pirri, Giuseppe Romita, Arturo Vella, Olindo Vernocchi (segretario dal 25-4-1925) più il rappresentante del gruppo parlamentare (prima Felice Assennato, poi Diego Del Bello).
- Bacci, coerentemente con le sue precedenti convinzioni, non ne faceva parte.
- Con essi si erano fusi i massimalisti di sinistra, guidati da Serrati.
- Con l'astensione del solo Nenni.
- La richiesta fu avanzata, per lo stesso motivo, anche dagli on. Fabrizio Maffi e Guido Picelli del gruppo parlamentare comunista.
- Il suo cadavere sarà ritrovato il 16 agosto.
- Col congresso di Roma (29-11-25) I riformisti ricostituirono il loro partito col nome di Partito Socialista dei Lavoratori Italiani PSLI.
- Con la sola eccezione di Giuseppe Romita.
- C'era anche un gruppetto di terzinternazionalisti riunito attorno alla figura di Costantino Lazzari, che probabilmente avrebbe votato per la mozione massimalista maggioritaria.
- Del Gruppo facevano parte: Gustavo Ferrari, Alfredo Massari, Guido Mazzali, Amilcare Morigi, Antonio Valeri, ecc.
- Il 25-4-1925 il segretario del PSI Tito Oro Nobili, fautore dell'“Aventino“, si era dimesso e al suo posto era stato eletto Olindo Vernocchi. Nel settembre successivo il PSI lasciò “Aventino“.
Fonte: di Ferdinando Leonzio