"I ‘PATROCINI’ IN ITALIA"
26-06-2023 - DIARIO POLITICO di Giuseppe Butta'
Tutto, o quasi tutto, viene patrocinato in Italia: spettacoli, conferenze, marce, fuochi d’artificio; basta avere qualche amico e nessuno nega a nessuno l’alto patrocinio – che spesso significa anche un congruo finanziamento.
Esclusi, of course, gli anarchici, anche i più estremi libertari – come gli omosessuali e c. – sono pronti a rinunciare al piacere di essere liberi fino in fondo – cioè di non apparire in alcun modo ‘dipendenti’ da chicchessia – pur di ottenere le coccole e i soldi di Regioni, Provincie e Comuni, etc. (tra i patroni più attivi ci sono i sindaci Gualtieri e Sala) per offrirci i loro spettacoli spesso (o quasi sempre) di dubbio gusto.
E pretendono di non subire rifiuti.
Dai loro ‘patroni’ essi vogliono un blasone che ne copra tutti i comportamenti e fini, anche quelli che eventualmente possano configurare l’apologia di reato: per esempio la Regione Lazio, che aveva concesso il patrocinio al cosiddetto ‘gay pride’ da svolgersi a Roma, lo ha dovuto ritirare perché il manifesto di questa manifestazione prevedeva tra l’altro la promozione della ‘maternità surrogata’, notoriamente vietata in Italia. Inoltre, il ‘manifesto’ degli orgogliosi gay era un attacco politico contro il governo Meloni e la maggioranza che lo appoggia che, tra l’altro, è la stessa che sostiene il governo regionale del Lazio. Un tale Colamarino, che pare sia lo stratega del gay pride romano, ci ha informato che «Da oggi parte la resistenza della nostra comunità a questa destra, a questo governo e a Meloni. Quello che è successo con il patrocinio della regione Lazio è l'ennesima prova di quanto questa destra sia omofoba e cialtrona. È una vergogna. E tutto questo sulla pelle dei cittadini del Lazio e della nostra comunità».
Fin qui niente di male. Il ‘manifesto’ e la ‘queeresistenza’ sono legittimi e nessuno li contesta.
Con tutta la simpatia che si può avere per questi ‘orgogliosi’ libertari dobbiamo dire però che essi non possono volere la ’botte piena e la moglie ubriaca’, cioè ottenere il patrocinio della regione e attaccarne il governo; essi vorrebbero, come al solito, una cosa piuttosto ‘contro natura’, cioè che il governo della regione attacchi se stesso.
La decisione di revoca del patrocinio ha naturalmente suscitato un elevato dibattito: il primo a urlare alla deriva autoritaria (grande classico di questi tempi) è stato l’on. Alessandro Zan, che si è avvalso del megafono gentilmente concesso dal direttore della Stampa: «Questa è omofobia di Stato. Usano pregiudizi ancora presenti nel Paese, per alimentarli e discriminare una parte dei cittadini. Esattamente come faceva il fascismo». Lo stesso Zan è poi salito sul carro carnascialesco del PD, che sfilava nella manifestazione romana, per lanciare un appello alla «resistenza collettiva» contro un governo intenzionato a portarci «in Polonia e Ungheria».
Poi, nella berlingueriana Cartabianca, Elly Schlein ha rincarato la dose parlando di "bullismo istituzionale" mentre Alessandra Moretti, l'eurodeputata pdina in cerca di ricandidatura, ha dato una mano alla gagliardamente cromatica segretaria del suo partito scrivendo che l'Italia «rischia di diventare un paese retrogrado sui diritti civili e dunque rischia di indebolirsi nel suo spirito democratico".
Accanto al carro del PD ha sfilato anche un carro di +Europa su cui viaggiava – insieme con Emma Bonino la quale, bontà sua, ci ha ricordato che «le diversità non sono di per sé devianze» – il segretario Riccardo Magi il quale più moderatamente ha reso noto che «se il governo vorrà tornare indietro sui diritti civili useremo tutti i mezzi democratici per fermarli».
Angelo Bonelli – il verde anche nell’incarnato – si è accontentato invece del più classico dei classici allarmi: «la revoca è un segnale della deriva illiberale di questa destra».
Questi tutori della libertà di pensiero e dell’obbligo di patrocinio non avevano battuto ciglio, anzi avevano plaudito al sindaco Sala, ‘democratico gayfriend’, quando rifiutò di ‘patrocinare’ il Family day.
Ad Arisa – la cantante che pure sostiene i diritti LGBTQ+ ma ha la colpa di apprezzare Giorgia Meloni – i ‘libertari’ hanno consigliato di non presentarsi al prossimo ‘Milano Pride’ per evitare spiacevoli conseguenze (cioè di essere buttata fuori a pedate): la polemica è stata rinfocolata da Paola Iezzi, la cantante-madrina del gay pride romanesco, la quale ha affermato che Arisa, avendo paura di non poter più lavorare, sarebbe stata costretta a dichiararsi meloniana.
La sfilata ha trovato comunque una grande conferma dell’alto livello del pensiero dei manifestanti in uno degli slogan più significativi e ripetuti: «Tranquilla mamma sono bisex, non fascista».
Esclusi, of course, gli anarchici, anche i più estremi libertari – come gli omosessuali e c. – sono pronti a rinunciare al piacere di essere liberi fino in fondo – cioè di non apparire in alcun modo ‘dipendenti’ da chicchessia – pur di ottenere le coccole e i soldi di Regioni, Provincie e Comuni, etc. (tra i patroni più attivi ci sono i sindaci Gualtieri e Sala) per offrirci i loro spettacoli spesso (o quasi sempre) di dubbio gusto.
E pretendono di non subire rifiuti.
Dai loro ‘patroni’ essi vogliono un blasone che ne copra tutti i comportamenti e fini, anche quelli che eventualmente possano configurare l’apologia di reato: per esempio la Regione Lazio, che aveva concesso il patrocinio al cosiddetto ‘gay pride’ da svolgersi a Roma, lo ha dovuto ritirare perché il manifesto di questa manifestazione prevedeva tra l’altro la promozione della ‘maternità surrogata’, notoriamente vietata in Italia. Inoltre, il ‘manifesto’ degli orgogliosi gay era un attacco politico contro il governo Meloni e la maggioranza che lo appoggia che, tra l’altro, è la stessa che sostiene il governo regionale del Lazio. Un tale Colamarino, che pare sia lo stratega del gay pride romano, ci ha informato che «Da oggi parte la resistenza della nostra comunità a questa destra, a questo governo e a Meloni. Quello che è successo con il patrocinio della regione Lazio è l'ennesima prova di quanto questa destra sia omofoba e cialtrona. È una vergogna. E tutto questo sulla pelle dei cittadini del Lazio e della nostra comunità».
Fin qui niente di male. Il ‘manifesto’ e la ‘queeresistenza’ sono legittimi e nessuno li contesta.
Con tutta la simpatia che si può avere per questi ‘orgogliosi’ libertari dobbiamo dire però che essi non possono volere la ’botte piena e la moglie ubriaca’, cioè ottenere il patrocinio della regione e attaccarne il governo; essi vorrebbero, come al solito, una cosa piuttosto ‘contro natura’, cioè che il governo della regione attacchi se stesso.
La decisione di revoca del patrocinio ha naturalmente suscitato un elevato dibattito: il primo a urlare alla deriva autoritaria (grande classico di questi tempi) è stato l’on. Alessandro Zan, che si è avvalso del megafono gentilmente concesso dal direttore della Stampa: «Questa è omofobia di Stato. Usano pregiudizi ancora presenti nel Paese, per alimentarli e discriminare una parte dei cittadini. Esattamente come faceva il fascismo». Lo stesso Zan è poi salito sul carro carnascialesco del PD, che sfilava nella manifestazione romana, per lanciare un appello alla «resistenza collettiva» contro un governo intenzionato a portarci «in Polonia e Ungheria».
Poi, nella berlingueriana Cartabianca, Elly Schlein ha rincarato la dose parlando di "bullismo istituzionale" mentre Alessandra Moretti, l'eurodeputata pdina in cerca di ricandidatura, ha dato una mano alla gagliardamente cromatica segretaria del suo partito scrivendo che l'Italia «rischia di diventare un paese retrogrado sui diritti civili e dunque rischia di indebolirsi nel suo spirito democratico".
Accanto al carro del PD ha sfilato anche un carro di +Europa su cui viaggiava – insieme con Emma Bonino la quale, bontà sua, ci ha ricordato che «le diversità non sono di per sé devianze» – il segretario Riccardo Magi il quale più moderatamente ha reso noto che «se il governo vorrà tornare indietro sui diritti civili useremo tutti i mezzi democratici per fermarli».
Angelo Bonelli – il verde anche nell’incarnato – si è accontentato invece del più classico dei classici allarmi: «la revoca è un segnale della deriva illiberale di questa destra».
Questi tutori della libertà di pensiero e dell’obbligo di patrocinio non avevano battuto ciglio, anzi avevano plaudito al sindaco Sala, ‘democratico gayfriend’, quando rifiutò di ‘patrocinare’ il Family day.
Ad Arisa – la cantante che pure sostiene i diritti LGBTQ+ ma ha la colpa di apprezzare Giorgia Meloni – i ‘libertari’ hanno consigliato di non presentarsi al prossimo ‘Milano Pride’ per evitare spiacevoli conseguenze (cioè di essere buttata fuori a pedate): la polemica è stata rinfocolata da Paola Iezzi, la cantante-madrina del gay pride romanesco, la quale ha affermato che Arisa, avendo paura di non poter più lavorare, sarebbe stata costretta a dichiararsi meloniana.
La sfilata ha trovato comunque una grande conferma dell’alto livello del pensiero dei manifestanti in uno degli slogan più significativi e ripetuti: «Tranquilla mamma sono bisex, non fascista».
Fonte: di Giuseppe Butta'