"IL RESTO È SILENZIO"
26-06-2023 - DIARIO POLITICO di Giuseppe Butta'
Dell’azione politica di Silvio Berlusconi due cose saranno sempre ricordate.
La prima è l’avere sconfitto la ‘gioiosa macchina da guerra’ che aveva messo in campo il PDS di Occhetto. Sconfitto dalla storia, il PCI nel 1994 stava tentando la spallata che non gli era riuscita nel 1948 e nei decenni successivi e che ora gli sembrava a portata di mano dopo che i partiti democratici, dalla DC al PSI, erano stati messi fuori gioco per mano giudiziaria.
È vero che, a quel tempo, il PCI aveva riposto almeno una parte dell’armamentario dello stalinismo puro e che il pericolo dell’instaurazione di un regime staliniano si era attenuato; tuttavia questo partito non ha mai avuto una sua ‘Bad Godesberg’ e a nessuno può sfuggire che, allora, il PCI – che, dopo la caduta del muro e dell’Unione sovietica, pensò che fosse sufficiente cambiare di nome per far dimenticare la sua antica fedeltà leninista-stalinista – si stava preparando a raccogliere i frutti della strategia egemonico-gramsciana lungamente perseguita.
La vittoria di Berlusconi nel 1994 è stata per i comunisti italiani una sconfitta definitiva perché sono stati costretti in questi ultimi trent’anni a tentare di fare i conti con la loro storia, a dovere accettare – non so quanto convintamente e sinceramente – di dirsi socialdemocratici (cioè quelli che prima essi chiamavano ‘socialfascisti’). Anzi abbiamo potuto sentire qualcuno di essi dirsi, addirittura, liberale, con il paradosso di vedere vecchi stalinisti pretendere di dare patenti di liberalismo a questo e non a quello e di populismo, se non di fascismo, a chi dissenta da loro. Da questo punto di vista, Fausto Bertinotti, pur lamentando che Berlusconi allora si inventò un nemico che non c’era più (il comunismo) e, così, riuscì a imporre un bipolarismo che a suo avviso avrebbe messo in crisi la vera democrazia (ma la democrazia non è alternativa di maggioranze e minoranze?), ha riconosciuto che la discesa in campo di Berlusconi ha in fondo allungato la vita a una ‘sinistra’ obsoleta che però si è ulteriormente mummificata e non si è evoluta come avrebbe dovuto a fronte dei nuovi sviluppi socio-economici e culturali.
Noi piuttosto speravamo – spes contra spem – che questa medicina amara potesse far guarire la ‘sinistra’ italiana; ciò non è avvenuto perché essa è caduta nella trappola del potere da essa stessa preparata e alla quale si è avvinta pervicacemente.
La ‘discesa in campo’ che impedì la spallata non è stata mai perdonata a Berlusconi: da allora, la sua vicenda politica ha dovuto svolgersi in difesa soprattutto contro le incursioni delle ‘teste di cuoio giudiziarie’, a partire dall’avviso di garanzia tempestivamente ‘messo in campo’ appena sei mesi dopo la formazione del primo governo Berlusconi e, chissà perché, pubblicato sul ‘Corriere della sera’ ancor prima che venisse notificato al Presidente del Consiglio mentre presiedeva una Conferenza internazionale a Napoli.
Dobbiamo dare atto a Berlusconi di avere attraversato questo ‘deserto giudiziario’, sia pure commettendo molti errori come accade a chi deve ‘sopravvivere’ in un terreno popolato da sicofanti di professione e disseminato di mine, continuamente martellato da indagini e rinvii a giudizio finiti nel nulla – tranne uno che lo portò a una molto discutibile e discussa condanna definitiva e alla defenestrazione dal Senato – e continuamente mortificato dall’accusa infamante di avere corrotto, con la sua televisione, con la sua ricchezza e con il suo ‘sessismo’, la morale pubblica e quella privata degli italiani.
I ‘Catoni’ che lo hanno messo alla gogna sono gli stessi che non disdegnano il controllo delle televisioni e dei giornali, gli affari bancari, l’import-export e che rivendicano la libertà degli ‘orientamenti’ sessuali, si concedono ai ‘burlesque’ dei ‘gay pride’ e fanno dell’aborto e dell’utero in affitto l’emblema del proprio ‘progressismo’.
L’altro grande risultato dell’azione politica di Berlusconi è stato l’avere svelato la necessità di mettere mano a qualche riforma, prima fra tutte quella della magistratura e poi quella dello statalismo immanente nella nostra società: due grandi riforme liberali che non gli è riuscito di fare.
La storia dirà quali siano state le responsabilità di Berlusconi e della sua maggioranza ma anche a chi altro possa essere addebitato lo stallo in cui si è impantanato il nostro paese: per esempio, nel 1994 non si permise a Berlusconi di fare la riforma delle pensioni che poi si concesse di fare prima a Dini e poi ai salvatori della patria, Monti e Fornero, mentre contro il famoso ‘scalone’ Maroni nel 2005 si avventarono le ruspe sindacali e girotondine.
Se in questi ultimi trenta anni il Paese non ha potuto risolvere i suoi problemi non è solo per responsabilità di Berlusconi che, almeno per la metà di questo tempo, fu fuori dal governo e che, per qualche anno, passò il tempo trastullandosi con i ‘servizi sociali’. Il suo primo governo durò sei mesi e fu sostituito da Dini; poi venne Prodi e, dopo, ancora Prodi; infine, la ‘deposizione’ del governo Berlusconi nel 2011 aprì la lunga stagione nebbiosa dei ‘governi del Presidente’ con gl’interludi renziani e contiani.
Forse egli non aveva le capacità di fare quelle riforme; forse, l’idea che ne aveva era parziale e inadeguata (ma ciò non ci meraviglia perché la ‘perfezione’ non è di questo mondo e, dunque, si va necessariamente per tentativi ed errori); forse egli era distratto dai suoi interessi personali sicché fu facile per gli avversari di quelle riforme presentarle all’opinione pubblica come ‘leggi ad personam’ o affossare la riforma costituzionale del 2006 che, fra l’altro, prevedeva il superamento dell’ignominioso pasticcio in cui ci aveva cacciato la precedente riforma del Titolo V (2001); sicuramente non ne ebbe la forza perché il sistema si è chiuso a riccio e, soprattutto, perché gli mancò quel sostegno pieno delle sue stesse ‘composite’ maggioranze – spesso invischiate in lotte sotterranee di potere capeggiate da trasformisti di professione mascherati da ‘centristi’ – che sarebbe stato necessario per poter battere quell’alleanza di interessi costituiti che usò ogni mezzo per ‘arrestarlo’ e che ancora oggi è in campo per ‘vilipenderne’ il cadavere.
Molti, che oggi s’indignano per il lutto nazionale decretato per il ‘caimano’, se fossero vissuti quando morì Stalin sarebbero andati fuori di testa, avrebbero sottoscritto ciò che scrisse ‘L’Unità’ – «gloria eterna all’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e il progresso dell’umanità» – e preso il lutto fino a quando Kruscev non gli avesse spiegato che non ne valeva la pena.
Tralasciando gli esempi di ‘indignazione’ più volgari e maleodoranti, citerò solo il titolo apparso sulla prima pagina del giornale ex debenedettiano – «Un lutto per dividere. Il governo impone una serrata politica di sette giorni» – e quello sul ‘nuovo’ giornale debenedettiano – «Il lutto per Berlusconi blocca l’Italia. La destra congela le istituzioni» – che insinuano velenosamente l’idea che sia avvenuto quasi un ‘colpo di stato’.
Più esplicito è stato Gad Lerner che ha divinato il nostro futuro: «Si riconosce un progetto, nel funerale di Berlusconi. Forse perfino un regime in formazione dietro di lui, nel suo nome».
Il resto è silenzio.
La prima è l’avere sconfitto la ‘gioiosa macchina da guerra’ che aveva messo in campo il PDS di Occhetto. Sconfitto dalla storia, il PCI nel 1994 stava tentando la spallata che non gli era riuscita nel 1948 e nei decenni successivi e che ora gli sembrava a portata di mano dopo che i partiti democratici, dalla DC al PSI, erano stati messi fuori gioco per mano giudiziaria.
È vero che, a quel tempo, il PCI aveva riposto almeno una parte dell’armamentario dello stalinismo puro e che il pericolo dell’instaurazione di un regime staliniano si era attenuato; tuttavia questo partito non ha mai avuto una sua ‘Bad Godesberg’ e a nessuno può sfuggire che, allora, il PCI – che, dopo la caduta del muro e dell’Unione sovietica, pensò che fosse sufficiente cambiare di nome per far dimenticare la sua antica fedeltà leninista-stalinista – si stava preparando a raccogliere i frutti della strategia egemonico-gramsciana lungamente perseguita.
La vittoria di Berlusconi nel 1994 è stata per i comunisti italiani una sconfitta definitiva perché sono stati costretti in questi ultimi trent’anni a tentare di fare i conti con la loro storia, a dovere accettare – non so quanto convintamente e sinceramente – di dirsi socialdemocratici (cioè quelli che prima essi chiamavano ‘socialfascisti’). Anzi abbiamo potuto sentire qualcuno di essi dirsi, addirittura, liberale, con il paradosso di vedere vecchi stalinisti pretendere di dare patenti di liberalismo a questo e non a quello e di populismo, se non di fascismo, a chi dissenta da loro. Da questo punto di vista, Fausto Bertinotti, pur lamentando che Berlusconi allora si inventò un nemico che non c’era più (il comunismo) e, così, riuscì a imporre un bipolarismo che a suo avviso avrebbe messo in crisi la vera democrazia (ma la democrazia non è alternativa di maggioranze e minoranze?), ha riconosciuto che la discesa in campo di Berlusconi ha in fondo allungato la vita a una ‘sinistra’ obsoleta che però si è ulteriormente mummificata e non si è evoluta come avrebbe dovuto a fronte dei nuovi sviluppi socio-economici e culturali.
Noi piuttosto speravamo – spes contra spem – che questa medicina amara potesse far guarire la ‘sinistra’ italiana; ciò non è avvenuto perché essa è caduta nella trappola del potere da essa stessa preparata e alla quale si è avvinta pervicacemente.
La ‘discesa in campo’ che impedì la spallata non è stata mai perdonata a Berlusconi: da allora, la sua vicenda politica ha dovuto svolgersi in difesa soprattutto contro le incursioni delle ‘teste di cuoio giudiziarie’, a partire dall’avviso di garanzia tempestivamente ‘messo in campo’ appena sei mesi dopo la formazione del primo governo Berlusconi e, chissà perché, pubblicato sul ‘Corriere della sera’ ancor prima che venisse notificato al Presidente del Consiglio mentre presiedeva una Conferenza internazionale a Napoli.
Dobbiamo dare atto a Berlusconi di avere attraversato questo ‘deserto giudiziario’, sia pure commettendo molti errori come accade a chi deve ‘sopravvivere’ in un terreno popolato da sicofanti di professione e disseminato di mine, continuamente martellato da indagini e rinvii a giudizio finiti nel nulla – tranne uno che lo portò a una molto discutibile e discussa condanna definitiva e alla defenestrazione dal Senato – e continuamente mortificato dall’accusa infamante di avere corrotto, con la sua televisione, con la sua ricchezza e con il suo ‘sessismo’, la morale pubblica e quella privata degli italiani.
I ‘Catoni’ che lo hanno messo alla gogna sono gli stessi che non disdegnano il controllo delle televisioni e dei giornali, gli affari bancari, l’import-export e che rivendicano la libertà degli ‘orientamenti’ sessuali, si concedono ai ‘burlesque’ dei ‘gay pride’ e fanno dell’aborto e dell’utero in affitto l’emblema del proprio ‘progressismo’.
L’altro grande risultato dell’azione politica di Berlusconi è stato l’avere svelato la necessità di mettere mano a qualche riforma, prima fra tutte quella della magistratura e poi quella dello statalismo immanente nella nostra società: due grandi riforme liberali che non gli è riuscito di fare.
La storia dirà quali siano state le responsabilità di Berlusconi e della sua maggioranza ma anche a chi altro possa essere addebitato lo stallo in cui si è impantanato il nostro paese: per esempio, nel 1994 non si permise a Berlusconi di fare la riforma delle pensioni che poi si concesse di fare prima a Dini e poi ai salvatori della patria, Monti e Fornero, mentre contro il famoso ‘scalone’ Maroni nel 2005 si avventarono le ruspe sindacali e girotondine.
Se in questi ultimi trenta anni il Paese non ha potuto risolvere i suoi problemi non è solo per responsabilità di Berlusconi che, almeno per la metà di questo tempo, fu fuori dal governo e che, per qualche anno, passò il tempo trastullandosi con i ‘servizi sociali’. Il suo primo governo durò sei mesi e fu sostituito da Dini; poi venne Prodi e, dopo, ancora Prodi; infine, la ‘deposizione’ del governo Berlusconi nel 2011 aprì la lunga stagione nebbiosa dei ‘governi del Presidente’ con gl’interludi renziani e contiani.
Forse egli non aveva le capacità di fare quelle riforme; forse, l’idea che ne aveva era parziale e inadeguata (ma ciò non ci meraviglia perché la ‘perfezione’ non è di questo mondo e, dunque, si va necessariamente per tentativi ed errori); forse egli era distratto dai suoi interessi personali sicché fu facile per gli avversari di quelle riforme presentarle all’opinione pubblica come ‘leggi ad personam’ o affossare la riforma costituzionale del 2006 che, fra l’altro, prevedeva il superamento dell’ignominioso pasticcio in cui ci aveva cacciato la precedente riforma del Titolo V (2001); sicuramente non ne ebbe la forza perché il sistema si è chiuso a riccio e, soprattutto, perché gli mancò quel sostegno pieno delle sue stesse ‘composite’ maggioranze – spesso invischiate in lotte sotterranee di potere capeggiate da trasformisti di professione mascherati da ‘centristi’ – che sarebbe stato necessario per poter battere quell’alleanza di interessi costituiti che usò ogni mezzo per ‘arrestarlo’ e che ancora oggi è in campo per ‘vilipenderne’ il cadavere.
Molti, che oggi s’indignano per il lutto nazionale decretato per il ‘caimano’, se fossero vissuti quando morì Stalin sarebbero andati fuori di testa, avrebbero sottoscritto ciò che scrisse ‘L’Unità’ – «gloria eterna all’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e il progresso dell’umanità» – e preso il lutto fino a quando Kruscev non gli avesse spiegato che non ne valeva la pena.
Tralasciando gli esempi di ‘indignazione’ più volgari e maleodoranti, citerò solo il titolo apparso sulla prima pagina del giornale ex debenedettiano – «Un lutto per dividere. Il governo impone una serrata politica di sette giorni» – e quello sul ‘nuovo’ giornale debenedettiano – «Il lutto per Berlusconi blocca l’Italia. La destra congela le istituzioni» – che insinuano velenosamente l’idea che sia avvenuto quasi un ‘colpo di stato’.
Più esplicito è stato Gad Lerner che ha divinato il nostro futuro: «Si riconosce un progetto, nel funerale di Berlusconi. Forse perfino un regime in formazione dietro di lui, nel suo nome».
Il resto è silenzio.
Fonte: di Giuseppe Butta'