"IL TARLO DEL GOVERNISMO" di Paolo Bagnoli
25-07-2023 - EDITORIALE
A volte ritornano. E Romano Prodi è tornato per parlare a Cesena alla costituzione della corrente di Stefano Bonaccini. La presenza dell'ex- presidente del consiglio era stata annunciata, nei giorni passati, come l'occasione per una lezione; si presume di politica; per cercare di dare una linea a una forza sulla cui crisi e sulla sua persistenza nel perdere non vale la pena soffermarsi tanto i fatti parlano da soli.
E' difficile capire cosa ci si potesse aspettare da una personalità, rispettabilissima peraltro, come Romano Prodi che in quanto a capacità di costruire politica ha già ampiamente dato se pur a lui va riconosciuto il merito di aver battuto due volte Silvio Berlusconi. Le vittorie, tuttavia, non sono servite né a salvare il sistema politico dal proprio progressivo sfarinamento né a impedire l'avanzata del populismo. Le vittorie sono ricordi importanti sul piano simbolico, ma non sono stati incidenti sul piano politico, compresa la costruzione del Pd nato da un'idea furbesca e confusa e, di tormento in tormento, finito in un sbandamento da cui è uscita Elly Schlein che avrà pure tante doti, ma non sembra possedere quelle necessarie per guidare un partito che, se mai vuole essere tale, occorre reimpiantarlo di sana pianta. Per diventare cosa? Quella forza di centro democratico che ci è parso di cogliere nell'intervento di Lorenzo Guerini, uno dei pochi dirigenti politici degni del nome.
Vedremo cosa combinerà la corrente nata a Cesena; certo che da Prodi sono venute parole usuali; è venuto un ragionamento politico povero senza sostanza vera. Prendiamone un passaggio, forse quello più significativo: “Il Pd può essere il perno del centrosinistra, ma lo spirito unitario è la condizione perché possa tornare alla guida dell'Italia. Il riformismo è indispensabile, accompagnato da un radicalismo dolce.” Ci limitiamo dal fare ogni ironia sul richiamo al “ riformismo” e al “radicalismo dolce”; sarebbe anche fin troppo facile, ma se questo è il contributo di colui che è stato definito il padre nobile del Pd alla sua rinascita – se mai lo può un qualcosa che non è mai veramente nato – la destra può continuare a sgovernare questo Paese in tutta tranquillità guidata da una Giorgia Meloni che ravvisa in ogni suo passo un successo nazionale. Quasi due mesi orsono il premio Nobel Joseph Stiglitz, parlando al Festival dell'Economia di Trento rilevò come l'Italia rischiasse una lenta soppressione degli strumenti democratici.”(“la Repubblica”,28.5.'23)
La sintonia tra Prodi e il Pd risiede nel fatto che entrambi considerano il problema politico italiano come un qualcosa che si gioca solo esclusivamente sulla conquista del governo, per cui non c'è bisogno di pensare l'Italia, non abbisogna nessuna cultura politica poiché tutto si risolve nel refrain delle “sorelle Bandiera”: fatti più in là! Il problema, lo ribadiamo, non è né il partito – e siamo generosi – né – e ne siamo rammaricati – l'Italia, bensì conquistare il governo: ora, riconquistare il governo. Ma è possibile che nessuno, a un anno dalla caduta del governo Draghi, abbia sentito la necessità di fare un'analisi della dinamica che fece cadere quella coalizione d'emergenza e del perché il Pd ,che doveva essere il meno interessato alla sua caduta, non fu in grado di sviluppare iniziativa politica alcuna?
La storia sta confermando quanto già si sapeva: governismo e populismo vanno a braccetto, ma quando il secondo fa blocco con l'illiberalismo della destra il primo, bene che vada, assume un profilo simil-peronismo, peraltro senza esserlo veramente. In esso, poi, confluisce un po' tutto, come il rifarsi avanti di una proposta già presente nel referendum di Matteo Renzi; ossia, una riforma istituzionale che preveda un sistema monocamerale con una “camera delle autonomie.”
Romano Prodi ha lanciato un appello alla sostanziazione del governismo, ma la replica della realtà è altra e, come molti a Cesena hanno rilevato, il partito perde regolarmente le occasioni elettorali, fatta salva qualche eccezione. Ci sembra che Cesena sia quasi una prova tecnica di scissione, ma saranno i fatti parlare.
E in questa situazione c'è stato chi ha invitato il Pd a svegliarsi e a integrarsi in una grande formazione politica come il Partito del Socialismo Europeo visto che le Elezioni europee sono alle porte. Se il partito del socialismo europeo esistesse la proposta potrebbe avere anche un senso, ma esso è un fantasma, per lo più nascosto, visto che non si aggira per l'Europa. Ma possono essere questi i ragionamenti da fare in un frangente delicato per la democrazia, non solo italiana, che stiamo attraversando?
Siamo in estate, bollente per di più, e a Cesena anche la “politica” ha pensato bene di andare al mare.
E' difficile capire cosa ci si potesse aspettare da una personalità, rispettabilissima peraltro, come Romano Prodi che in quanto a capacità di costruire politica ha già ampiamente dato se pur a lui va riconosciuto il merito di aver battuto due volte Silvio Berlusconi. Le vittorie, tuttavia, non sono servite né a salvare il sistema politico dal proprio progressivo sfarinamento né a impedire l'avanzata del populismo. Le vittorie sono ricordi importanti sul piano simbolico, ma non sono stati incidenti sul piano politico, compresa la costruzione del Pd nato da un'idea furbesca e confusa e, di tormento in tormento, finito in un sbandamento da cui è uscita Elly Schlein che avrà pure tante doti, ma non sembra possedere quelle necessarie per guidare un partito che, se mai vuole essere tale, occorre reimpiantarlo di sana pianta. Per diventare cosa? Quella forza di centro democratico che ci è parso di cogliere nell'intervento di Lorenzo Guerini, uno dei pochi dirigenti politici degni del nome.
Vedremo cosa combinerà la corrente nata a Cesena; certo che da Prodi sono venute parole usuali; è venuto un ragionamento politico povero senza sostanza vera. Prendiamone un passaggio, forse quello più significativo: “Il Pd può essere il perno del centrosinistra, ma lo spirito unitario è la condizione perché possa tornare alla guida dell'Italia. Il riformismo è indispensabile, accompagnato da un radicalismo dolce.” Ci limitiamo dal fare ogni ironia sul richiamo al “ riformismo” e al “radicalismo dolce”; sarebbe anche fin troppo facile, ma se questo è il contributo di colui che è stato definito il padre nobile del Pd alla sua rinascita – se mai lo può un qualcosa che non è mai veramente nato – la destra può continuare a sgovernare questo Paese in tutta tranquillità guidata da una Giorgia Meloni che ravvisa in ogni suo passo un successo nazionale. Quasi due mesi orsono il premio Nobel Joseph Stiglitz, parlando al Festival dell'Economia di Trento rilevò come l'Italia rischiasse una lenta soppressione degli strumenti democratici.”(“la Repubblica”,28.5.'23)
La sintonia tra Prodi e il Pd risiede nel fatto che entrambi considerano il problema politico italiano come un qualcosa che si gioca solo esclusivamente sulla conquista del governo, per cui non c'è bisogno di pensare l'Italia, non abbisogna nessuna cultura politica poiché tutto si risolve nel refrain delle “sorelle Bandiera”: fatti più in là! Il problema, lo ribadiamo, non è né il partito – e siamo generosi – né – e ne siamo rammaricati – l'Italia, bensì conquistare il governo: ora, riconquistare il governo. Ma è possibile che nessuno, a un anno dalla caduta del governo Draghi, abbia sentito la necessità di fare un'analisi della dinamica che fece cadere quella coalizione d'emergenza e del perché il Pd ,che doveva essere il meno interessato alla sua caduta, non fu in grado di sviluppare iniziativa politica alcuna?
La storia sta confermando quanto già si sapeva: governismo e populismo vanno a braccetto, ma quando il secondo fa blocco con l'illiberalismo della destra il primo, bene che vada, assume un profilo simil-peronismo, peraltro senza esserlo veramente. In esso, poi, confluisce un po' tutto, come il rifarsi avanti di una proposta già presente nel referendum di Matteo Renzi; ossia, una riforma istituzionale che preveda un sistema monocamerale con una “camera delle autonomie.”
Romano Prodi ha lanciato un appello alla sostanziazione del governismo, ma la replica della realtà è altra e, come molti a Cesena hanno rilevato, il partito perde regolarmente le occasioni elettorali, fatta salva qualche eccezione. Ci sembra che Cesena sia quasi una prova tecnica di scissione, ma saranno i fatti parlare.
E in questa situazione c'è stato chi ha invitato il Pd a svegliarsi e a integrarsi in una grande formazione politica come il Partito del Socialismo Europeo visto che le Elezioni europee sono alle porte. Se il partito del socialismo europeo esistesse la proposta potrebbe avere anche un senso, ma esso è un fantasma, per lo più nascosto, visto che non si aggira per l'Europa. Ma possono essere questi i ragionamenti da fare in un frangente delicato per la democrazia, non solo italiana, che stiamo attraversando?
Siamo in estate, bollente per di più, e a Cesena anche la “politica” ha pensato bene di andare al mare.