"ISRAELE È IL NOSTRO ULTIMO BALUARDO E FACCIAMO FINTA DI NON SAPERLO"
25-11-2023 - DIARIO POLITICO di Giuseppe Butta'
Credo anche che non sia un caso che i ‘resistenti’ di Hamas – come Erdogan li ha definiti incoraggiando a farlo anche buona parte dei ‘resistenti’ italiani – abbiano scatenato la mattanza del 7 ottobre nel Sud di Israele.
Cui prodest? Se la guerra è sempre una sconfitta per l’umanità, e non abbiamo ragione di dubitarlo, altrettanto certo è però che c’è sempre qualcuno che ne trae vantaggio.
Non ci soffermeremo sulle brutalità che stanno deturpando quella parte del mondo se non per dire che non si può chiedere a Israele di arrendersi al turpe, raccapricciante e angosciante ricatto degli ostaggi o di battersi con le mani legate, con i tricche-tracche e le castagnole contro i missili e i bunker di Hamas: sappiamo tutti che Hamas si è trincerata dietro i corpi vivi dei malcapitati palestinesi, dietro un muro di carne al cui riparo ha collocato i suoi katiuscia, i suoi missili, le sue orde barbariche. Sappiamo tutti che, tra le centinaia di chilometri di tunnel costruiti, gl’ingegneri di Hamas non ne hanno pensato un solo metro da destinare a rifugio per i civili.
Israele subordina al rilascio degli ostaggi la tregua che insistentemente gli viene chiesto (anche dagli americani) di concedere; per questo motivo, le anime belle accusano il governo israeliano di disumanità e chiedono a gran voce di fermare l’attacco a Gaza: forse per lasciarla nelle mani di Hamas? Come tutti sappiamo, le tregue e la guerra si fanno in due: quindi è chiaro che la tregua deve dare in cambio qualcosa alla parte che, essendo in vantaggio sul campo di battaglia, la concede. E, in questo caso, ciò che deve essere concesso non può essere altro che la vita degli ostaggi; di tutti gli ostaggi. A Israele si chiede proporzionalità nella sua reazione al vile attacco terroristico del 7 ottobre; ma come si vuole misurare questa proporzione? Non certo sul numero di morti, vilipesi, che si sono contati nei kibbutz confinanti con Gaza; una tale proporzione andrebbe piuttosto misurata rispetto all’obiettivo di debellare Hamas che Israele si pone per scongiurare attacchi simili in futuro: il costo da pagare per raggiungerlo – compreso il rischio di non riuscirci – lo deve valutare Israele sia in termini militari che politici.
Manifestare in favore della pace è certamente legittimo ed anche necessario a patto però che, nel tentativo di addossare al governo di Netaniahu tutte le responsabilità della presente situazione, non si distorcano i fatti e non si chieda solo a Israele di rinunciare ai suoi piani di difesa.
Forse sarebbe il caso che (anche da parte dell’ONU) si ricordasse ad Hamas che, da quando la guerra è guerra, esiste la resa e gli si chiedesse quindi di liberare gli ostaggi senza condizioni visto che non è in grado di difendere quella popolazione che dice di voler proteggere e, altresì, di rinunciare ai suoi piani per un nuovo olocausto: piani annunziati e perfezionati dal presidente iraniano Raisi che a Riad – nella grande assise degli stati islamici di tutte le confessioni, Turchia, Arabia Saudita, Iran, etc. – ha tracciato dal Giordano al mare i confini del futuro stato palestinese.
Che la guerra di Gaza si concluda con l’eliminazione di Hamas non è certo anche se dovremmo augurarcelo; è certo invece che questo sia un obiettivo legittimo, necessario e utile non solo per Israele ma anche per la stessa soluzione del problema palestinese. Temo però che, anche se Israele accettasse di tornare dentro i confini del 1967, cioè lasciando anche Gerusalemme Est, questi ‘resistenti’ rimarrebbero assetati del sangue degli ebrei. Sappiamo tutti che la cancellazione dalla faccia della terra dello Stato degli ebrei e, insieme, della vita degli ebrei è il fine agognato e non nascosto di Hamas, Hezbollah, Jihad, Iran, etc., ed è un fine il cui perseguimento rende impossibile la pace. Il compromesso dei ‘due stati’ raggiunto a Camp David e a Oslo non piace soprattutto a chi ha avuto e ha molto da guadagnare dall’instabilità del Medio Oriente.
In questo clima e su questa base – pur essendo necessario arrivare alla fondazione di uno stato palestinese a fianco di Israele e pur essendovi tra gli israeliani chi, come Ehud Olmert, è disposto a lasciare Gerusalemme Est e ad alcuni scambi territoriali in modo da ridislocare gl’insediamenti di coloni in Cisgiordania – l’apertura delle trattative appare molto lontana fino a quando non sarà stata rimossa la minaccia che fa vivere lo stato ebraico sotto la tirannia perenne di una disperata apprensione.
Non è necessario scavare nelle manifestazioni delle piazze italiane – che hanno come protagoniste le masse arabe e islamiche presenti in Italia, accompagnate, se non guidate, da vecchi arnesi e nuovi sedicenti leader del cosiddetto pacifismo nostrano (Santoro, De Magistris & co.) e leader sindacali che, a Genova, cercano di boicottare la spedizione di armi a Israele – per capire che dietro si nasconde qualcosa di più oscuro, una fobia antiisraeliana, se non antisemita, e antiamericana patologica.
Purtroppo però dobbiamo registrare che tutto l’Occidente, compresi gli Stati Uniti, non si fa mancare questi spettacoli che ne invocano il suicidio.
In certi salotti televisivi e su buona parte della carta stampata non si parla d’altro che delle colpe – anzi dei crimini – di Netanyahu ma si sottace che dietro di lui vi è un gabinetto di guerra di cui fa parte anche Ganz, il suo principale avversario nelle recenti elezioni: certo è vero che la mancata attuazione degli accordi di Oslo pesa non solo la politica israeliana degli insediamenti in Cisgiordania ma non minore peso ha avuto la strategia di Hamas e dei suoi protettori che mirano alla distruzione di Israele
Nei talk-show, nelle piazze e nelle università italiane – che, come al solito, si adeguano seppure con un certo ritardo alle mode dettate dalle università americane – abbondano gli slogan antisemiti e antioccidentali che vengono fatti passare come difesa di una giusta causa. Molto inchiostro e grande parte di certi palinsesti televisivi vengono sprecati per mettere alla gogna Salvini, responsabile di avere convocato una striminzita manifestazione filo-occidentale e pro-Israele in nome di Oriana Fallaci.
Cui prodest la guerra di Gaza? Chi ha armato e foraggiato Hamas forse con lo scopo di rendere impossibile qualsiasi soluzione?
Non ci meravigliamo del fatto che, nel pieno della guerra di Gaza, il Cremlino si sia affrettato a ricevere una delegazione di Hamas – né dovremmo meravigliarci se apprendessimo che, sotto sotto, lo hanno fatto anche i cinesi – né ci sorprende che gli Hezbollah libanesi abbiano annunciato di avere nelle mani il missile russo Yakhont e di essere così in grado di colpire la flotta USA fino a 300 Km di distanza.
Da un mese a questa parte, la guerra in Ucraina è sotto i nostri occhi ma non la vediamo più come non vediamo più la ‘guerra del grano’ che semina fame e rancore nei paesi messi a ‘dieta’ dalla Russia – paesi africani, soprattutto quelli ben custoditi dai musicisti wagneriani pur orfani di Prigozhin e ben presidiati dalla Cina ‘neo-capitalista’ che ne ricava ottime rendite – e da dove si esportano centinaia di migliaia di ‘migranti’ da accogliere in Europa Occidentale (specialmente in Italia); né vediamo la lontana Taiwan dove si potrebbe ben presto aprire un’altra ordalia forse con una nuova Pearl Harbor. Non vediamo nemmeno le grandi manovre dei BRICS che mirano a dare un colpo mortale all’economia Occidentale.
E allora è facile capire a chi giova tutto questo: nell’immediato, serve soprattutto alla Russia che spera nell’allentamento dell’attenzione degli Stati Uniti e dei loro alleati sull’Ucraina per poter tentare di portare a termine la sua strategia di espansione in Europa da un lato e nel Mediterraneo dall’altro (le navi russe sono già in Siria e stanno cercando un’altra base in Cirenaica, a un tiro di schioppo dall’Italia); nel lungo periodo, serve al progetto del califfato islamico cui aspirano vari pretendenti in competizione con i pasdaran iraniani e serve anche alla Cina che, da una conflagrazione ‘controllata’ – infatti non fa nulla per fermare la Russia né Hamas né l’Iran – spera di ricavare non solo l’isola che fu di Ciang Kai-shek ma anche nuove ‘vie della seta’ per mettere così il cappello su buona parte del mondo. La tregua firmata a San Francisco da Biden e Xi Jinping non promette di essere duratura.
Sarebbe dunque un errore, forse mortale, lasciare da sola Israele o anche fermarla a metà dell’opera per il timore che la guerra possa espandersi e coinvolgerci tutti; sarebbe un errore mortale perché lasceremmo campo libero a questi progetti e così, come disse Churchill a proposito di Chamberlain, avremo non solo il disonore ma anche la guerra; sarebbe quell’errore che fin qui abbiamo voluto evitare non lasciando l’Ucraina da sola: o vogliamo commettere anche questo facendoci abbindolare – e pare che molti stiano per esserlo – dal pacifismo a senso unico?
E non è una questione di scontro di civiltà ma di meri equilibri di potere e di interessi – naturalmente compresi quelli culturali perché, come ha detto Bari Weiss, l’editorialista cacciata dal sempre più ‘leftista’ New York Times, «non c’è un altro Occidente dove fuggire se questo fallisce».
Cui prodest? Se la guerra è sempre una sconfitta per l’umanità, e non abbiamo ragione di dubitarlo, altrettanto certo è però che c’è sempre qualcuno che ne trae vantaggio.
Non ci soffermeremo sulle brutalità che stanno deturpando quella parte del mondo se non per dire che non si può chiedere a Israele di arrendersi al turpe, raccapricciante e angosciante ricatto degli ostaggi o di battersi con le mani legate, con i tricche-tracche e le castagnole contro i missili e i bunker di Hamas: sappiamo tutti che Hamas si è trincerata dietro i corpi vivi dei malcapitati palestinesi, dietro un muro di carne al cui riparo ha collocato i suoi katiuscia, i suoi missili, le sue orde barbariche. Sappiamo tutti che, tra le centinaia di chilometri di tunnel costruiti, gl’ingegneri di Hamas non ne hanno pensato un solo metro da destinare a rifugio per i civili.
Israele subordina al rilascio degli ostaggi la tregua che insistentemente gli viene chiesto (anche dagli americani) di concedere; per questo motivo, le anime belle accusano il governo israeliano di disumanità e chiedono a gran voce di fermare l’attacco a Gaza: forse per lasciarla nelle mani di Hamas? Come tutti sappiamo, le tregue e la guerra si fanno in due: quindi è chiaro che la tregua deve dare in cambio qualcosa alla parte che, essendo in vantaggio sul campo di battaglia, la concede. E, in questo caso, ciò che deve essere concesso non può essere altro che la vita degli ostaggi; di tutti gli ostaggi. A Israele si chiede proporzionalità nella sua reazione al vile attacco terroristico del 7 ottobre; ma come si vuole misurare questa proporzione? Non certo sul numero di morti, vilipesi, che si sono contati nei kibbutz confinanti con Gaza; una tale proporzione andrebbe piuttosto misurata rispetto all’obiettivo di debellare Hamas che Israele si pone per scongiurare attacchi simili in futuro: il costo da pagare per raggiungerlo – compreso il rischio di non riuscirci – lo deve valutare Israele sia in termini militari che politici.
Manifestare in favore della pace è certamente legittimo ed anche necessario a patto però che, nel tentativo di addossare al governo di Netaniahu tutte le responsabilità della presente situazione, non si distorcano i fatti e non si chieda solo a Israele di rinunciare ai suoi piani di difesa.
Forse sarebbe il caso che (anche da parte dell’ONU) si ricordasse ad Hamas che, da quando la guerra è guerra, esiste la resa e gli si chiedesse quindi di liberare gli ostaggi senza condizioni visto che non è in grado di difendere quella popolazione che dice di voler proteggere e, altresì, di rinunciare ai suoi piani per un nuovo olocausto: piani annunziati e perfezionati dal presidente iraniano Raisi che a Riad – nella grande assise degli stati islamici di tutte le confessioni, Turchia, Arabia Saudita, Iran, etc. – ha tracciato dal Giordano al mare i confini del futuro stato palestinese.
Che la guerra di Gaza si concluda con l’eliminazione di Hamas non è certo anche se dovremmo augurarcelo; è certo invece che questo sia un obiettivo legittimo, necessario e utile non solo per Israele ma anche per la stessa soluzione del problema palestinese. Temo però che, anche se Israele accettasse di tornare dentro i confini del 1967, cioè lasciando anche Gerusalemme Est, questi ‘resistenti’ rimarrebbero assetati del sangue degli ebrei. Sappiamo tutti che la cancellazione dalla faccia della terra dello Stato degli ebrei e, insieme, della vita degli ebrei è il fine agognato e non nascosto di Hamas, Hezbollah, Jihad, Iran, etc., ed è un fine il cui perseguimento rende impossibile la pace. Il compromesso dei ‘due stati’ raggiunto a Camp David e a Oslo non piace soprattutto a chi ha avuto e ha molto da guadagnare dall’instabilità del Medio Oriente.
In questo clima e su questa base – pur essendo necessario arrivare alla fondazione di uno stato palestinese a fianco di Israele e pur essendovi tra gli israeliani chi, come Ehud Olmert, è disposto a lasciare Gerusalemme Est e ad alcuni scambi territoriali in modo da ridislocare gl’insediamenti di coloni in Cisgiordania – l’apertura delle trattative appare molto lontana fino a quando non sarà stata rimossa la minaccia che fa vivere lo stato ebraico sotto la tirannia perenne di una disperata apprensione.
Non è necessario scavare nelle manifestazioni delle piazze italiane – che hanno come protagoniste le masse arabe e islamiche presenti in Italia, accompagnate, se non guidate, da vecchi arnesi e nuovi sedicenti leader del cosiddetto pacifismo nostrano (Santoro, De Magistris & co.) e leader sindacali che, a Genova, cercano di boicottare la spedizione di armi a Israele – per capire che dietro si nasconde qualcosa di più oscuro, una fobia antiisraeliana, se non antisemita, e antiamericana patologica.
Purtroppo però dobbiamo registrare che tutto l’Occidente, compresi gli Stati Uniti, non si fa mancare questi spettacoli che ne invocano il suicidio.
In certi salotti televisivi e su buona parte della carta stampata non si parla d’altro che delle colpe – anzi dei crimini – di Netanyahu ma si sottace che dietro di lui vi è un gabinetto di guerra di cui fa parte anche Ganz, il suo principale avversario nelle recenti elezioni: certo è vero che la mancata attuazione degli accordi di Oslo pesa non solo la politica israeliana degli insediamenti in Cisgiordania ma non minore peso ha avuto la strategia di Hamas e dei suoi protettori che mirano alla distruzione di Israele
Nei talk-show, nelle piazze e nelle università italiane – che, come al solito, si adeguano seppure con un certo ritardo alle mode dettate dalle università americane – abbondano gli slogan antisemiti e antioccidentali che vengono fatti passare come difesa di una giusta causa. Molto inchiostro e grande parte di certi palinsesti televisivi vengono sprecati per mettere alla gogna Salvini, responsabile di avere convocato una striminzita manifestazione filo-occidentale e pro-Israele in nome di Oriana Fallaci.
Cui prodest la guerra di Gaza? Chi ha armato e foraggiato Hamas forse con lo scopo di rendere impossibile qualsiasi soluzione?
Non ci meravigliamo del fatto che, nel pieno della guerra di Gaza, il Cremlino si sia affrettato a ricevere una delegazione di Hamas – né dovremmo meravigliarci se apprendessimo che, sotto sotto, lo hanno fatto anche i cinesi – né ci sorprende che gli Hezbollah libanesi abbiano annunciato di avere nelle mani il missile russo Yakhont e di essere così in grado di colpire la flotta USA fino a 300 Km di distanza.
Da un mese a questa parte, la guerra in Ucraina è sotto i nostri occhi ma non la vediamo più come non vediamo più la ‘guerra del grano’ che semina fame e rancore nei paesi messi a ‘dieta’ dalla Russia – paesi africani, soprattutto quelli ben custoditi dai musicisti wagneriani pur orfani di Prigozhin e ben presidiati dalla Cina ‘neo-capitalista’ che ne ricava ottime rendite – e da dove si esportano centinaia di migliaia di ‘migranti’ da accogliere in Europa Occidentale (specialmente in Italia); né vediamo la lontana Taiwan dove si potrebbe ben presto aprire un’altra ordalia forse con una nuova Pearl Harbor. Non vediamo nemmeno le grandi manovre dei BRICS che mirano a dare un colpo mortale all’economia Occidentale.
E allora è facile capire a chi giova tutto questo: nell’immediato, serve soprattutto alla Russia che spera nell’allentamento dell’attenzione degli Stati Uniti e dei loro alleati sull’Ucraina per poter tentare di portare a termine la sua strategia di espansione in Europa da un lato e nel Mediterraneo dall’altro (le navi russe sono già in Siria e stanno cercando un’altra base in Cirenaica, a un tiro di schioppo dall’Italia); nel lungo periodo, serve al progetto del califfato islamico cui aspirano vari pretendenti in competizione con i pasdaran iraniani e serve anche alla Cina che, da una conflagrazione ‘controllata’ – infatti non fa nulla per fermare la Russia né Hamas né l’Iran – spera di ricavare non solo l’isola che fu di Ciang Kai-shek ma anche nuove ‘vie della seta’ per mettere così il cappello su buona parte del mondo. La tregua firmata a San Francisco da Biden e Xi Jinping non promette di essere duratura.
Sarebbe dunque un errore, forse mortale, lasciare da sola Israele o anche fermarla a metà dell’opera per il timore che la guerra possa espandersi e coinvolgerci tutti; sarebbe un errore mortale perché lasceremmo campo libero a questi progetti e così, come disse Churchill a proposito di Chamberlain, avremo non solo il disonore ma anche la guerra; sarebbe quell’errore che fin qui abbiamo voluto evitare non lasciando l’Ucraina da sola: o vogliamo commettere anche questo facendoci abbindolare – e pare che molti stiano per esserlo – dal pacifismo a senso unico?
E non è una questione di scontro di civiltà ma di meri equilibri di potere e di interessi – naturalmente compresi quelli culturali perché, come ha detto Bari Weiss, l’editorialista cacciata dal sempre più ‘leftista’ New York Times, «non c’è un altro Occidente dove fuggire se questo fallisce».
Fonte: di Giuseppe Butta'