"ISRAELE E L'INCERTO FUTURO DI GAZA"
26-11-2023 - IL SOCIALISMO NEL MONDO
Non c'è dubbio che Hamas sia un'organizzazione terroristica: il barbaro massacro di innocenti israeliani del 7 ottobre ne è la prova indiscutibile. E non c'è dubbio che per eliminare i terroristi irriducibili sia indispensabile la forza. Tuttavia la sola forza delle armi non riuscirà a sradicare il movimento. Quando la rappresaglia messa in atto da Israele che si sta consumando nella striscia di Gaza avrà fine, si dovrà inevitabilmente ricorrere alla politica per dare una svolta definitiva a questa lotta che sta durando da quasi un secolo. Ma quale soluzione può proporsi alle due parti in lotta? Quale apparire accettabile per entrambi?
La soluzione dei due Stati – dividere la terra tra il fiume Giordano e il Mediterraneo per ritagliare due stati israeliani e palestinesi indipendenti e sovrani – appare come l'unica opzione che consentirebbe sia agli israeliani che ai palestinesi di soddisfare i propri diritti politici, civili e umani. Opzione più volte appoggiata dai leader mondiali, presidente degli Stati Uniti Joe Biden e Ue compresi. Per trovare un accordo sull'opzione dei due Stati è però indispensabile che entrambe le parti dimostrino la volontà politica di voler arrivare a un'intesa, che fino ad oggi è mancata. Per questa ragione la maggior parte degli osservatori ritiene necessaria una nuova leadership politica in Israele come in Palestina.
Mahmoud Abbas, il capo dell'Autorità Palestinese, ha 87 anni. La sua assenza dalle scene nell'ultimo mese, dopo 19 anni al potere, ha minato la sua autorità e la sua credibilità presso l'opinione pubblica. Il suo unico plausibile successore, Marwan Barghouti, un importante leader della fazione politica di Fatah ed eroe per molti palestinesi, è stato in una prigione israeliana per 21 anni, scontando cinque ergastoli per omicidio. Quanto a Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano da più tempo in carica e capo del partito conservatore Likud, è una figura controversa. Si è sempre rifiutato di dimettersi nonostante anni di scandali e processi per corruzione che avrebbero posto fine alla carriera di qualsiasi altro politico. Ma questa volta l'accusa per i fallimenti in termini di sicurezza che hanno permesso ai terroristi di Hamas di riversarsi oltre il confine da Gaza e commettere un'atrocità senza rivali nella storia dello stato di Israele potrebbe compromettere definitamente il suo futuro politico. I risultati di un sondaggio condotto dall'Israel Democracy Institute, con sede a Gerusalemme, hanno rilevato che solo il 7% degli intervistati si fida di lui per portare avanti la guerra. Il suo sostegno è sceso a un totale di 3,9 su 10, secondo una ricerca dell'Istituto per la libertà e la responsabilità dell'Università di Reichman. Pochi si aspettano che sopravviva come primo ministro una volta finita la guerra. Il che ha dato adito al sospetto negli esperti militari occidentali che identifichi la propria sopravvivenza politica con una lunga guerra e relativo spargimento di sangue. Per quanto riguarda un futuro piano per Gaza le sue dichiarazioni, in linea con il governo di estrema destra da lui presieduto, sembrano escludere qualsiasi ruolo dell'autorità palestinese dopo il conflitto. Scartata pertanto l'opzione dei due Stati, quale altra opzione si prospetta? Il governo israeliano sembra non avere alcun piano per Gaza oltre alla sua devastazione. Fino ad ora non sono emerse indicazioni di un piano a lungo termine per dopo la fine dei combattimenti al punto che i funzionari occidentali si chiedono se esistano. Recentemente Netanyahu ha affermato che nel dopoguerra Israele manterrà il controllo dell'enclave “per un periodo indefinito.” Ciò potrebbe includere forze di stanza a Gaza dopo la fine del conflitto. Alcuni esponenti della destra israeliana pretendono che lo Stato ebraico addirittura reintroduca nella Striscia gli insediamenti israeliani, considerati illegali dalla maggior parte della comunità internazionale. Se questo progetto dovesse realizzarsi, è probabile che il conflitto si trasformi in guerriglia a tempo indeterminato all'interno di Gaza.
Il quadro di un futuro assetto della regione è quanto mai incerto, offuscato dal fatto che le leadership israeliana, palestinese e statunitense – negli USA il prossimo anno si terranno le elezioni - potrebbero cambiare nel corso di quella che ha tutti i presupposti di trasformarsi in una campagna di lunga durata. Intanto, il bilancio delle vittime palestinesi continua ad aumentare: il bombardamento e l'invasione di Gaza da parte di Israele hanno ucciso più di 14.000 persone e creato una catastrofe umanitaria nell'enclave. Nessuno sa cosa resterà di Gaza – che ospita 2,3 milioni di persone – quando i combattimenti finiranno. Quello che è certo è che più le stragi continueranno, più si alimenterà l'idea di resistenza in milioni di palestinesi ridotti alla disperazione, senza un lavoro, senza una prospettiva, senza un futuro, in una Gaza ridotta in macerie, con la Cisgiordania soggetta a un'annessione israeliana strisciante e indifendibile.
La soluzione dei due Stati – dividere la terra tra il fiume Giordano e il Mediterraneo per ritagliare due stati israeliani e palestinesi indipendenti e sovrani – appare come l'unica opzione che consentirebbe sia agli israeliani che ai palestinesi di soddisfare i propri diritti politici, civili e umani. Opzione più volte appoggiata dai leader mondiali, presidente degli Stati Uniti Joe Biden e Ue compresi. Per trovare un accordo sull'opzione dei due Stati è però indispensabile che entrambe le parti dimostrino la volontà politica di voler arrivare a un'intesa, che fino ad oggi è mancata. Per questa ragione la maggior parte degli osservatori ritiene necessaria una nuova leadership politica in Israele come in Palestina.
Mahmoud Abbas, il capo dell'Autorità Palestinese, ha 87 anni. La sua assenza dalle scene nell'ultimo mese, dopo 19 anni al potere, ha minato la sua autorità e la sua credibilità presso l'opinione pubblica. Il suo unico plausibile successore, Marwan Barghouti, un importante leader della fazione politica di Fatah ed eroe per molti palestinesi, è stato in una prigione israeliana per 21 anni, scontando cinque ergastoli per omicidio. Quanto a Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano da più tempo in carica e capo del partito conservatore Likud, è una figura controversa. Si è sempre rifiutato di dimettersi nonostante anni di scandali e processi per corruzione che avrebbero posto fine alla carriera di qualsiasi altro politico. Ma questa volta l'accusa per i fallimenti in termini di sicurezza che hanno permesso ai terroristi di Hamas di riversarsi oltre il confine da Gaza e commettere un'atrocità senza rivali nella storia dello stato di Israele potrebbe compromettere definitamente il suo futuro politico. I risultati di un sondaggio condotto dall'Israel Democracy Institute, con sede a Gerusalemme, hanno rilevato che solo il 7% degli intervistati si fida di lui per portare avanti la guerra. Il suo sostegno è sceso a un totale di 3,9 su 10, secondo una ricerca dell'Istituto per la libertà e la responsabilità dell'Università di Reichman. Pochi si aspettano che sopravviva come primo ministro una volta finita la guerra. Il che ha dato adito al sospetto negli esperti militari occidentali che identifichi la propria sopravvivenza politica con una lunga guerra e relativo spargimento di sangue. Per quanto riguarda un futuro piano per Gaza le sue dichiarazioni, in linea con il governo di estrema destra da lui presieduto, sembrano escludere qualsiasi ruolo dell'autorità palestinese dopo il conflitto. Scartata pertanto l'opzione dei due Stati, quale altra opzione si prospetta? Il governo israeliano sembra non avere alcun piano per Gaza oltre alla sua devastazione. Fino ad ora non sono emerse indicazioni di un piano a lungo termine per dopo la fine dei combattimenti al punto che i funzionari occidentali si chiedono se esistano. Recentemente Netanyahu ha affermato che nel dopoguerra Israele manterrà il controllo dell'enclave “per un periodo indefinito.” Ciò potrebbe includere forze di stanza a Gaza dopo la fine del conflitto. Alcuni esponenti della destra israeliana pretendono che lo Stato ebraico addirittura reintroduca nella Striscia gli insediamenti israeliani, considerati illegali dalla maggior parte della comunità internazionale. Se questo progetto dovesse realizzarsi, è probabile che il conflitto si trasformi in guerriglia a tempo indeterminato all'interno di Gaza.
Il quadro di un futuro assetto della regione è quanto mai incerto, offuscato dal fatto che le leadership israeliana, palestinese e statunitense – negli USA il prossimo anno si terranno le elezioni - potrebbero cambiare nel corso di quella che ha tutti i presupposti di trasformarsi in una campagna di lunga durata. Intanto, il bilancio delle vittime palestinesi continua ad aumentare: il bombardamento e l'invasione di Gaza da parte di Israele hanno ucciso più di 14.000 persone e creato una catastrofe umanitaria nell'enclave. Nessuno sa cosa resterà di Gaza – che ospita 2,3 milioni di persone – quando i combattimenti finiranno. Quello che è certo è che più le stragi continueranno, più si alimenterà l'idea di resistenza in milioni di palestinesi ridotti alla disperazione, senza un lavoro, senza una prospettiva, senza un futuro, in una Gaza ridotta in macerie, con la Cisgiordania soggetta a un'annessione israeliana strisciante e indifendibile.
Fonte: di Giulietta Rovera