"L'UTOPIA"
16-09-2021 - CRONACHE SOCIALISTE
Nel centenario della sciagurata scissione, prassi divenuta irreversibile nella storia della sinistra italiana, di Livorno da cui nacque il Pci, corre l'obbligo inserire d'autorità il 37esimo anniversario – 18 settembre 1984 – della morte, senza riti religiosi, di un antifascista di ferro, l'azionista e socialista Riccardo Lombardi che per rivendicare una identità socialista autonoma dal Pci si definiva acomunista, né filo né anticomunista.
Non per farne un santino da esibire o adorare per l'occasione, ma per ribadire la funzione della Politica quella con ‘P' maiuscola, di cui l'integerrimo Ingegnere è stato per un lungo periodo l'espressione più alta, intelligente, lucida e libertaria: un qualcosa fatto da uomini e donne per milioni di uomini e donne, non per se stessi, per la propria carriera, per il proprio partito, peggio per il proprio giglio magico.
Cos'era allora per Lombardi una società, l'insieme di uomini e donne, che la compongono e la vivono quotidianamente, dai caratteri, appunto, socialisti?
Innanzitutto, una società profondamente libera, garantista dei diritti sociali e civili, e anche altrettanto profondamente laica, capace di infrenare le inframmettenze clericali ben vistose sui diritti civili, divorzio e aborto.
È socialista insomma, “quella società che riesce a dare a ciascun individuo – diceva - la massima possibilità di decidere della propria esistenza e di costruire la propria vita”. E nel dare un abito a questa espressione nobile, precisò noi socialisti vogliamo una società più ricca perché diversamente ricca.
Poteva apparire un'utopia, anzi per i benpensanti lo era: ma senza un'utopia indispensabile per una visione alta del mondo umano si resta imprigionati dell'arida quotidianità, delle sterili convenienze del momento.
Per dar corpo e sostanza alla sua utopia, l'Ingegnere abile nel progettare e programmare, individuò anche gli strumenti necessari: le chiamò riforme di struttura, quelle che incidono a fondo le strutture di una società capitalistica per modificarla a favore della ‘povera gente', di coloro che pretendono il necessario per la loro sopravvivenza: un lavoro, una casa, non disgiunto però dall'indispensabile per la loro vita: scuola, università, formazione, sanità e salute.
Il temuto presbite acomunista era perciò indigesto, scomodo, anomalo: la Politica per lui era un derivato di una impostazione culturale che libera da schemi prefissati era un divenire continuo, una ricerca da non mollare mai, che imponeva pochi margini al compromesso: dopo la messa in soffitta dell'unico vero centro-sinistra mai esistito, del 1962 - quello della nazionalizzazione dell'energia elettrica, della scuola dell'obbligo, dell'abolizione della mezzadria, della riforma dei consorzi – rifiutò di fare il ministro dell'Economia (non amo le poltrone) del successivo perché si era persa volutamente la spinta riformatrice.
Non amava, l'acomunista, la parola riformista: preferiva riformatore, calzava meglio e di più con quella impostazione culturale riformismo rivoluzionario che contraddistinse il suo agire politico che, arricchito dalla passione per tutto quello che era cultura e conoscenza, fu sì rivoluzionario, ma la sua è stata una rivoluzione nonviolenta nel comportamento e nella parola, che con ferrea coerenza gli permise di prendere nettamente le distanze dalla feroce dittatura stalinista (Urss) espressione del fallito marxismo-leninismo, come anche dall'imperialismo americano, espressione a sua volta del violento capitalismo made in Usa.
Ecco, forse, per ricominciare l'opera di ricostruzione di una nuova sinistra, con idee e progetti altrettanto innovativi, bisognerebbe liberarsi dalle ideologie fallite, il marxismo-leninismo da una parte, e dall'altra il neoliberismo, che uccisero, si può dire nella culla, l'unico vero centro-sinistra esistito indigesto tanto al Pci di Palmiro Togliatti quanto all'elegantissimo governatore della Banca d'Italia, Guido Carli.
Non per farne un santino da esibire o adorare per l'occasione, ma per ribadire la funzione della Politica quella con ‘P' maiuscola, di cui l'integerrimo Ingegnere è stato per un lungo periodo l'espressione più alta, intelligente, lucida e libertaria: un qualcosa fatto da uomini e donne per milioni di uomini e donne, non per se stessi, per la propria carriera, per il proprio partito, peggio per il proprio giglio magico.
Cos'era allora per Lombardi una società, l'insieme di uomini e donne, che la compongono e la vivono quotidianamente, dai caratteri, appunto, socialisti?
Innanzitutto, una società profondamente libera, garantista dei diritti sociali e civili, e anche altrettanto profondamente laica, capace di infrenare le inframmettenze clericali ben vistose sui diritti civili, divorzio e aborto.
È socialista insomma, “quella società che riesce a dare a ciascun individuo – diceva - la massima possibilità di decidere della propria esistenza e di costruire la propria vita”. E nel dare un abito a questa espressione nobile, precisò noi socialisti vogliamo una società più ricca perché diversamente ricca.
Poteva apparire un'utopia, anzi per i benpensanti lo era: ma senza un'utopia indispensabile per una visione alta del mondo umano si resta imprigionati dell'arida quotidianità, delle sterili convenienze del momento.
Per dar corpo e sostanza alla sua utopia, l'Ingegnere abile nel progettare e programmare, individuò anche gli strumenti necessari: le chiamò riforme di struttura, quelle che incidono a fondo le strutture di una società capitalistica per modificarla a favore della ‘povera gente', di coloro che pretendono il necessario per la loro sopravvivenza: un lavoro, una casa, non disgiunto però dall'indispensabile per la loro vita: scuola, università, formazione, sanità e salute.
Il temuto presbite acomunista era perciò indigesto, scomodo, anomalo: la Politica per lui era un derivato di una impostazione culturale che libera da schemi prefissati era un divenire continuo, una ricerca da non mollare mai, che imponeva pochi margini al compromesso: dopo la messa in soffitta dell'unico vero centro-sinistra mai esistito, del 1962 - quello della nazionalizzazione dell'energia elettrica, della scuola dell'obbligo, dell'abolizione della mezzadria, della riforma dei consorzi – rifiutò di fare il ministro dell'Economia (non amo le poltrone) del successivo perché si era persa volutamente la spinta riformatrice.
Non amava, l'acomunista, la parola riformista: preferiva riformatore, calzava meglio e di più con quella impostazione culturale riformismo rivoluzionario che contraddistinse il suo agire politico che, arricchito dalla passione per tutto quello che era cultura e conoscenza, fu sì rivoluzionario, ma la sua è stata una rivoluzione nonviolenta nel comportamento e nella parola, che con ferrea coerenza gli permise di prendere nettamente le distanze dalla feroce dittatura stalinista (Urss) espressione del fallito marxismo-leninismo, come anche dall'imperialismo americano, espressione a sua volta del violento capitalismo made in Usa.
Ecco, forse, per ricominciare l'opera di ricostruzione di una nuova sinistra, con idee e progetti altrettanto innovativi, bisognerebbe liberarsi dalle ideologie fallite, il marxismo-leninismo da una parte, e dall'altra il neoliberismo, che uccisero, si può dire nella culla, l'unico vero centro-sinistra esistito indigesto tanto al Pci di Palmiro Togliatti quanto all'elegantissimo governatore della Banca d'Italia, Guido Carli.
Fonte: di CARLO PATRIGNANI