LA CASSAZIONE, L’ONTOLOGIA E LA NAVE DICIOTTI di Giuseppe Butta'
di Giuseppe Butta'
25-03-2025 - DIARIO POLITICO di Giuseppe Butta'
Wiilliam Taft – che, oltre a essere stato Presidente degli Stati Uniti, fu anche giudice distrettuale e Presidente della Corte Suprema – non si stancava di ripetere che «la possibilità di criticare liberamente e pubblicamente l'azione giudiziaria è, per il corpo politico, più importante della stessa immunità dei tribunali e dei giudici. Nel caso dei giudici, anzi la loro stessa indipendenza rende necessario che il diritto di commentare le loro decisioni venga esercitato liberamente perché è l'unico strumento possibile e disponibile nelle mani di un popolo libero per mantenere i giudici sensibili e attenti alle ragionevoli necessità di coloro che essi servono».
Al contrario, il primo Presidente della Cassazione, Cassano, non solo si è rivelata allergica alle critiche mosse alla sentenza sui risarcimenti ai migranti ma ha detto anche che, «mettere in dubbio l'imparzialità della magistratura» mina la democrazia. La dr.ssa Cassano è altresì convinta che i giudici debbano essere pronti a «bilanciare la volontà del popolo con altri e altrettanto importanti contrappesi».
La Bastiglia o la Torre di Londra?
Perché si possa capire, il ‘cirillico' con cui è stata scritta l'ordinanza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sul risarcimento ai migranti illegali della nave Diciotti – che, poveretti, poterono sbarcare a Catania solo dopo dieci giorni di sosta sulla nave alla fonda in rada – deve essere trascritto nel nostro meno fantasioso alfabeto.
Il ‘giuridichese' è ‘ontologicamente' – termine che, come vedremo, spiega tutto nella suddetta ordinanza – più incomprensibile del ‘politichese'. Dobbiamo ammettere che, tuttavia, questa volta la ‘ratio' dell'ordinanza è abbastanza chiara perché – come dice il poeta – è «trafitta da un raggio di sole».
Ma «è subito sera»!
Infatti i giudici della Suprema Corte hanno esibito grandi doti, potremmo dire ‘sofistiche', discettando sull'ontologia dell'atto politico per differenziarlo dall'atto ‘squallidamente' e ‘soltanto' amministrativo.
Essi si sono appellati al «diritto vivente». Abbiamo così potuto apprendere che «Il diritto vivente conferma la recessività della nozione di atto politico, che coincide con gli atti che attengono alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali». Abbiamo potuto apprendere che, in forza di questa vitalità del diritto, «deve escludersi che nei comportamenti indicati a fondamento della pretesa risarcitoria possano ravvisarsi i tratti tipologici dell'atto politico per così dire «puro», come tale sottratto al sindacato giurisdizionale … Non si è di fronte, cioè, ad un atto che attiene alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali. Si è in presenza, piuttosto, di un atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico, al fine di contemperare gli interessi in gioco e che proprio per questo si innesta su una regolamentazione che a vari livelli, internazionale e nazionale, ne segna i confini. Le motivazioni politiche alla base della condotta non ne snaturano la qualificazione, non rendono, cioè, politico un atto che è, e resta, ontologicamente amministrativo».
Sebbene nell'ordinanza si ammetta che, «per statuto costituzionale, il giudice non può essere chiamato a fare politica in luogo degli organi di rappresentanza», dobbiamo ricordare che, in ‘giuridichese', il termine diritto vivente vuole significare esattamente il contrario di quanto sopra ‘concesso': significa interpretazione evolutiva della legge – e, anche, della Costituzione – affidata al giudice che legge la legge aggiornandola secondo le condizioni dell'epoca in cui egli esercita la sua alta funzione o, se preferite, secondo le sue proprie idee.
Solo i giudici sono titolari di questo potere ‘costituente' e ‘legislativo' permanente: una ‘rivoluzione permanente' da fare invidia a Trotsky. Non so se Rino Formica, quando teorizza la necessità di «un colpo di stato costituzionale», sia stato ispirato dall'uso che si fa di questo potere latente. Però bisognerebbe ricordare a Formica che, in una democrazia, i colpi di stato sono sempre ‘reazionari'.
Non sarà anche per questo che la ‘destra' vince le elezioni?
Al contrario, il primo Presidente della Cassazione, Cassano, non solo si è rivelata allergica alle critiche mosse alla sentenza sui risarcimenti ai migranti ma ha detto anche che, «mettere in dubbio l'imparzialità della magistratura» mina la democrazia. La dr.ssa Cassano è altresì convinta che i giudici debbano essere pronti a «bilanciare la volontà del popolo con altri e altrettanto importanti contrappesi».
La Bastiglia o la Torre di Londra?
Perché si possa capire, il ‘cirillico' con cui è stata scritta l'ordinanza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sul risarcimento ai migranti illegali della nave Diciotti – che, poveretti, poterono sbarcare a Catania solo dopo dieci giorni di sosta sulla nave alla fonda in rada – deve essere trascritto nel nostro meno fantasioso alfabeto.
Il ‘giuridichese' è ‘ontologicamente' – termine che, come vedremo, spiega tutto nella suddetta ordinanza – più incomprensibile del ‘politichese'. Dobbiamo ammettere che, tuttavia, questa volta la ‘ratio' dell'ordinanza è abbastanza chiara perché – come dice il poeta – è «trafitta da un raggio di sole».
Ma «è subito sera»!
Infatti i giudici della Suprema Corte hanno esibito grandi doti, potremmo dire ‘sofistiche', discettando sull'ontologia dell'atto politico per differenziarlo dall'atto ‘squallidamente' e ‘soltanto' amministrativo.
Essi si sono appellati al «diritto vivente». Abbiamo così potuto apprendere che «Il diritto vivente conferma la recessività della nozione di atto politico, che coincide con gli atti che attengono alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali». Abbiamo potuto apprendere che, in forza di questa vitalità del diritto, «deve escludersi che nei comportamenti indicati a fondamento della pretesa risarcitoria possano ravvisarsi i tratti tipologici dell'atto politico per così dire «puro», come tale sottratto al sindacato giurisdizionale … Non si è di fronte, cioè, ad un atto che attiene alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali. Si è in presenza, piuttosto, di un atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico, al fine di contemperare gli interessi in gioco e che proprio per questo si innesta su una regolamentazione che a vari livelli, internazionale e nazionale, ne segna i confini. Le motivazioni politiche alla base della condotta non ne snaturano la qualificazione, non rendono, cioè, politico un atto che è, e resta, ontologicamente amministrativo».
Sebbene nell'ordinanza si ammetta che, «per statuto costituzionale, il giudice non può essere chiamato a fare politica in luogo degli organi di rappresentanza», dobbiamo ricordare che, in ‘giuridichese', il termine diritto vivente vuole significare esattamente il contrario di quanto sopra ‘concesso': significa interpretazione evolutiva della legge – e, anche, della Costituzione – affidata al giudice che legge la legge aggiornandola secondo le condizioni dell'epoca in cui egli esercita la sua alta funzione o, se preferite, secondo le sue proprie idee.
Solo i giudici sono titolari di questo potere ‘costituente' e ‘legislativo' permanente: una ‘rivoluzione permanente' da fare invidia a Trotsky. Non so se Rino Formica, quando teorizza la necessità di «un colpo di stato costituzionale», sia stato ispirato dall'uso che si fa di questo potere latente. Però bisognerebbe ricordare a Formica che, in una democrazia, i colpi di stato sono sempre ‘reazionari'.
Non sarà anche per questo che la ‘destra' vince le elezioni?
Fonte: di Giuseppe Butta'