"LA SCIENZA TRISTE"
27-04-2021 - AGORA'
La crisi che attanaglia la sinistra europea, dagli anni Novanta, è senza precedenti. In Inghilterra Tony Blair, nel 1995 abolendo la oramai vetusta IV clausola dello Statuto del Labour Party e sostituendola con un'altra che riconosce il ruolo fondamentale del mercato nell'economia, distrusse il socialismo. Anche se pudicamente lo definì New Labor. Le successive sconfitte elettorali dimostrarono l'errore madornale fatto. In Germania l'unica cosa che sa fare la SPD è quello di rimanere attaccata al Governo, di fatto, con una posizione gregaria rispetto al Presidente in carica. Quando la sinistra governa, come in Italia, non è capace di dare alcuna prospettiva alla sua azione e fa della pedissequa obbedienza alla politica della EU, con tutto quello che ne consegue verso gli interessi che dice di voler tutelare. In Francia, dopo la disastrosa gestione Hollande i socialisti sono considerati un soggetto da tutelare perché a rischio estinzione.
Tutti i partiti, di fatto, danno ragione a chi sostiene la scelta del mercato (senza regole) come momento unico per la distribuzione della ricchezza prodotta.
Hanno abbracciato una teoria economica che sottostà alla concezione dell'”individualismo metodologico”, cioè al fatto che le scelte generali sono la sommatoria delle azioni individuali, si accetta il risultato che l'unico obbiettivo è essere ricchi, ogni possibilità di azione sociale viene meno.
Bisogna ripartire dalla “scienza triste” come la definì Thomas Carlyle, cioè l'economia per capire se è possibile una strategia diversa da quella seguita fin qui.
Intorno al 1870 apparvero i primi studi (Jevons, Walras e Menger) che proponevano di cambiare il paradigma della teoria economica. Il concetto di valore di un bene non venne più definito in base al lavoro in esso contenuto come sostenevano i primi scrittori di economia definiti “classici” (Smith, Ricardo e Marx, sia pure con impostazioni diverse), ma secondo la valutazione che ciascun soggetto faceva in base all'ultima dose necessaria di un bene per soddisfare le proprie esigenze ed al prezzo del medesimo. I classici invece non affrontarono mai l'analisi economica in termini individuali ma in termini di nazione (Adam Smith Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni. An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations). Ad onore del vero bisogna anche ricordare che l'impostazione non riuscì a trovare uno sbocco soddisfacente alle ipotesi di partenza.
Il marginalismo si presta a essere trasformato in equazioni e può apparire come una scienza esatta. Questa teoria ha qualche “piccolo” difetto, richiede alcune ipotesi iniziali che sono semplicemente assurde come il mercato “atomistico” (si intende un mercato dove non esistono barriere all'entrata e delle imprese e che ciascuna è così piccola che non è in grado di determinare il prezzo) e il cosiddetto “agente unico” (il famoso homo oeconomicus che diventa il solo agente “umano” come soggetto razionale massimizzante, in termini economici, le proprie scelte). Sono sufficienti queste due ipotesi per capire la fallacità di questa teoria.
Sulla scorta delle impostazioni degli economisti classici sorsero i primi movimenti socialisti, utopisti soprattutto e poi scientifici (in verità tanto scientifici non erano), che sostenevano non solo la necessità di migliorare le condizioni della classe operaia (I romanzi di Charles Dickens sono ancora a ricordarci quale fosse la vita dei proletari in quegli anni), ma mettevano in dubbio la legittimità della proprietà privata perno su cui si basa il dominio delle classi dirigenti.
Minacciosa fu, per le classi dominanti, la nascita delle Trade Unions e venne messo in essere qualsiasi artificio per impedirne la legalizzazione. La spinta sociale fu così forte che nel 1871 furono dichiarati legittimi, dopo che nel 1867 , per l'ennesima volta, una commissione reale aveva proposto di dichiararle illegali. (Nel 1980 Mrs. Margaret Thatcher indebolì il sindacato e quando Tony Blair vinse le elezioni non compì alcun atto per restituire loro le antiche prerogative).
Come è facile intuire il marginalismo costituì un notevole “sollievo” per i capitalisti, la “legittimità” della loro proprietà non venne messa in discussione da questa teoria. Da quel momento non si parlò più di economia ma di “scienza economica” decretandone così, al pari della legge della gravità, l'assoluta veridicità.
In realtà la teoria economica marginalista o neoclassica ebbe prima una violenta scossa da John Maynard Keynes (Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta The General Theory of Employment, Interest and Money) che inserì il concetto di macroeconomia e successivamente con Piero Sraffa, allievo e collaboratore di Keynes, che riportò prepotentemente alla ribalta la teoria classica nel suo libro (Produzione di merci a mezzo di merci. Premesse a una critica della teoria economica Production of Commodities by Means of Commodities. Prelude to a critique to economic theory). Dove dimostrò come, in una economia capitalista, dopo aver remunerato i fattori della produzione, il plus valore prodotto si distribuisce in base alla lotta di classe.
Ho raccontato in maniera molto succinta e approssimativa la storia del pensiero economico per dimostrare come chi ci propone una soluzione giustificandola con il TINA (There is no alternative) sbaglia, in realtà si descrive una rappresentazione della società soggettiva e non oggettiva. Esistono le basi, anche teoriche, per impostare un'azione politica tesa verso obbiettivi diversi rispetto ai disastri prodotti dalla teoria marginalista.
Non è sufficiente basare la propria attività politica solo sui cosiddetti “diritti civili” che pure sono importanti. Sono necessarie strategie in grado di tutelare quel “volgo disperso che nome non ha”.
L'unica strada possibile perché la sinistra rinasca e ritrovi una sua ragione di essere è quella di contrastare questo capitalismo giunto ad un livello di oppressione sull'umanità che oramai ha messo in pericolo la nostra stessa esistenza, riproponendo una diversa distribuzione della ricchezza non solo attraverso aumenti salariali, ma soprattutto con un accrescimento del welfare, un sostegno all'occupazione e al mutamento del sistema produttivo che abbia l'ecologia come guida.
Solo avendo chiaro ciò per cui si combatte è possibile ricreare intorno alla sinistra quei consensi necessari, in una democrazia, raggiungere quegli obbiettivi di equità sociale che il capitalismo, così come lo conosciamo, non potrà mai risolvere.
Mi auguro di aver stimolato i mei cinque lettori ad aprire un confronto approfondito su questo tema.
Fonte: di ENNO GHIANDELLI