LA SCOMPARSA DI MARCO CIANCA di Paolo Bagnoli
22-10-2024 - CRONACHE SOCIALISTE
Marco Cianca ci ha lasciato. Il 30 settembre, l'acuirsi della terribile malattia contro la quale combatteva da tempo con coraggio e grande forza d'animo, gli ha stroncato la vita. Aveva 71 anni.
Se n'è andato uno dei nostri, un compagno, un amico: per chi scrive, un fratello.
Il nostro giornale ha perso il suo collaboratore più bravo, la firma più prestigiosa perché Marco era un giornalista di razza; non l'ho mai pensato altro che giornalista; al “Corriere della Sera” aveva raggiunto livelli apicali; il mondo giornalistico romano, e non solo, lo ha pianto con sincerità stringendosi ai suoi cari.
Ci eravamo incontrati per motivi di ricerca storica; stava, infatti, lavorando a un libro su Alberto Cianca, suo prozio e mi aveva chiesto alcune cose su “Giustizia e Libertà”. Alberto Cianca, infatti, ne era stato uno dei fondatori insieme a Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Gaetano Salvemini, Francesco Fausto Nitti, e pochi altri, a Parigi nell'agosto 1929. Da quell'incontro era nata un'amicizia profonda e vera introdotta, in qualche modo se così si può dire, dal fatto che ero stato in stretta amicizia con suo padre Claudio, parlamentare comunista, popolarissimo a Roma; un comunista atipico, d'animo libertario e dalle visioni ampie sulla sinistra e su quello che doveva essere il suo compito.
Marco, tuttavia, non era comunista; le sue idee erano come le mie: giellismo, azionismo, socialismo quale ideale nel quale si realizza la libertà.
Essere nel gruppo de “La Rivoluzione Democratica” fu, così, naturale perché naturale era il pensare social-azionista come dimostrano gli articoli che ha pubblicato su questo giornale e che saranno raccolti in un apposito quaderno.
E' stato Marco a proporre di salvaguardare la cultura e il senso storico dell'azionismo rifondando il Partito d'Azione la cui fiamma doveva continuare a restare accesa per non mollare nella speranza di un'Italia migliore, più libera più democratica, più giusta e non correre il rischio di essere strumentalizzata da mani improprie in quest'Italia solcata da una profonda crisi oggi sfociata nel governo di una destra discesa per li rami dal fascismo salotino.
Così, nel settembre del 2023 il Partito d'Azione è rinato, messo in salvaguardia senza ambizioni elettoralistiche, ma come trincea di cultura politica democratica; non un altro Partito, ma un Partito “altro”. Nell' impresa Marco si era tuffato senza risparmiarsi. Sei i fondatori; a giugno, per un male incurabile ci ha lasciato Maria Torrigiani, una compagna di grande valore e acuta intelligenza; è doveroso qui ricordarlo.
Marco era un uomo di cultura non solo storica, ma anche letteraria e, con la leggerezza tipica dell'intelligenza, passava dalla discussione impegnata al discorrere ironico. Era buono e sincero; era un fratello, un fratello vero.
La sua mancanza morde forte dentro; ora siamo più soli e non è retorica; fare quello che ci siamo proposti – che con lui avevamo programmato – più difficile, ma stringeremo i denti e non molleremo la presa.
Marco ci ha lasciati per sempre, ma l'amicizia rimane salda nel dolore che non si placa. Essere amici come lo siamo stati noi è stato bello. Nel labirinto dei pensieri capita di domandarmi: chissà Marco cosa avrebbe detto; chissà cosa, a fronte di un problema, avremmo fatto.
L'interrogativo ce lo porteremo dentro nei nostri giorni nella fedeltà vissuta a un uomo di rigore e di sapienza, un impasto di moralità concreta che raramente capita di vedere; e così l'amicizia.
Addio Marco; grazie per quanto mi hai dato e quanto hai lasciato a tutti noi.
In testa poco più di due versi di Giorgio Caproni: Se non dovessi tornare/sappiate che non sono mai/partito.
Non tornerai, caro Marco, però non sei mai partito.
Se n'è andato uno dei nostri, un compagno, un amico: per chi scrive, un fratello.
Il nostro giornale ha perso il suo collaboratore più bravo, la firma più prestigiosa perché Marco era un giornalista di razza; non l'ho mai pensato altro che giornalista; al “Corriere della Sera” aveva raggiunto livelli apicali; il mondo giornalistico romano, e non solo, lo ha pianto con sincerità stringendosi ai suoi cari.
Ci eravamo incontrati per motivi di ricerca storica; stava, infatti, lavorando a un libro su Alberto Cianca, suo prozio e mi aveva chiesto alcune cose su “Giustizia e Libertà”. Alberto Cianca, infatti, ne era stato uno dei fondatori insieme a Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Gaetano Salvemini, Francesco Fausto Nitti, e pochi altri, a Parigi nell'agosto 1929. Da quell'incontro era nata un'amicizia profonda e vera introdotta, in qualche modo se così si può dire, dal fatto che ero stato in stretta amicizia con suo padre Claudio, parlamentare comunista, popolarissimo a Roma; un comunista atipico, d'animo libertario e dalle visioni ampie sulla sinistra e su quello che doveva essere il suo compito.
Marco, tuttavia, non era comunista; le sue idee erano come le mie: giellismo, azionismo, socialismo quale ideale nel quale si realizza la libertà.
Essere nel gruppo de “La Rivoluzione Democratica” fu, così, naturale perché naturale era il pensare social-azionista come dimostrano gli articoli che ha pubblicato su questo giornale e che saranno raccolti in un apposito quaderno.
E' stato Marco a proporre di salvaguardare la cultura e il senso storico dell'azionismo rifondando il Partito d'Azione la cui fiamma doveva continuare a restare accesa per non mollare nella speranza di un'Italia migliore, più libera più democratica, più giusta e non correre il rischio di essere strumentalizzata da mani improprie in quest'Italia solcata da una profonda crisi oggi sfociata nel governo di una destra discesa per li rami dal fascismo salotino.
Così, nel settembre del 2023 il Partito d'Azione è rinato, messo in salvaguardia senza ambizioni elettoralistiche, ma come trincea di cultura politica democratica; non un altro Partito, ma un Partito “altro”. Nell' impresa Marco si era tuffato senza risparmiarsi. Sei i fondatori; a giugno, per un male incurabile ci ha lasciato Maria Torrigiani, una compagna di grande valore e acuta intelligenza; è doveroso qui ricordarlo.
Marco era un uomo di cultura non solo storica, ma anche letteraria e, con la leggerezza tipica dell'intelligenza, passava dalla discussione impegnata al discorrere ironico. Era buono e sincero; era un fratello, un fratello vero.
La sua mancanza morde forte dentro; ora siamo più soli e non è retorica; fare quello che ci siamo proposti – che con lui avevamo programmato – più difficile, ma stringeremo i denti e non molleremo la presa.
Marco ci ha lasciati per sempre, ma l'amicizia rimane salda nel dolore che non si placa. Essere amici come lo siamo stati noi è stato bello. Nel labirinto dei pensieri capita di domandarmi: chissà Marco cosa avrebbe detto; chissà cosa, a fronte di un problema, avremmo fatto.
L'interrogativo ce lo porteremo dentro nei nostri giorni nella fedeltà vissuta a un uomo di rigore e di sapienza, un impasto di moralità concreta che raramente capita di vedere; e così l'amicizia.
Addio Marco; grazie per quanto mi hai dato e quanto hai lasciato a tutti noi.
In testa poco più di due versi di Giorgio Caproni: Se non dovessi tornare/sappiate che non sono mai/partito.
Non tornerai, caro Marco, però non sei mai partito.
Fonte: di Paolo Bagnoli