"L’ANTISEMITISMO, UNA MALA PIANTA CHE NON MUORE"
25-11-2023 - CRONACHE SOCIALISTE
L’attacco dei terroristi di Hamas contro inermi cittadini israeliani avvenuto il 7 ottobre scorso ha prodotto la reazione del governo guidato da Benjamin Netanyahu. Da oltre un mese assistiamo alla controffensiva israeliana le cui conseguenze, finora, sono state pagate largamente dalla popolazione civile di Gaza in ragione della stessa disposizione delle basi terroristiche di Hamas collocate per lo più in ambienti sotterranei all’interno di un territorio di dimensioni limitate e densamente popolato.
Tralasciando le responsabilità dell’una e dell’altra parte che verranno accertate e, se del caso, sanzionate da organi giurisdizionali israeliani e internazionali, vorremmo spostare il focus della questione sulle reazioni innescate in Europa e negli Stati Uniti dall’azione messa in campo da Israele.
Improvvisamente ci siamo resi conto che il fantasma dell’antisemitismo si aggira ancora per l’Europa. Il Germania il governo Scholz si dice fortemente preoccupato per l’aumento delle manifestazioni di odio antiebraico. Lo scorso 7 novembre il partito Alternative für Deutschland (AfD) è stato classificato come ‘raggruppamento estremista di destra’ dai servizi segreti per la sicurezza interna che monitorano attentamente la situazione perché negli ultimi tempi AfD pare essere stato pesantemente infiltrato da elementi neonazisti. D’altra parte, come si è potuto vedere, anche in Germania è forte l’antisemitismo espresso dalle comunità musulmane. Se ne è avuta conferma dalle manifestazioni di piazza a Berlino e in altre città ma la politica e il ceto intellettuale hanno dato una risposta all’altezza. Il ministro dell’Economia Robert Habeck, membro dei Grünen (il partito dei Verdi), ha postato su X (l’ex-Twitter) un messaggio molto duro per richiamare i tedeschi alle loro responsabilità storiche e rivolgendosi ai cittadini di fede musulmana ha ricordato loro che «bruciare le bandiere israeliane è un reato penale, così come lodare le azioni di Hamas. Chi è tedesco dovrà risponderne in tribunale, chi non è tedesco rischierà anche il proprio status di residenza. Per coloro che non hanno ancora un titolo di soggiorno questi comportamenti sono motivo di espulsione».
Uno tra i maggiori intellettuali europei viventi, il filosofo Jürgen Habermas si è espresso pubblicamente portando la sua solidarietà a Israele aggiungendo di ritenere giustificata “in linea di principio” la sua reazione ma raccomandando, in parallelo, di rispettare il principio di proporzionalità e di evitare vittime civili assumendo che ciò possa costituire la base per la ripresa di un dialogo costruttivo che conduca a una pace futura.
Molto diversa la situazione in Francia. Zeev Sternhell ci ha fatto scoprire molti anni fa con i suoi libri le radici del fascismo e dell’antisemitismo presenti in questo paese. Qui la situazione si è di molto aggravata con la presenza sul territorio di cinque milioni di cittadini francesi di fede musulmana. Dal 2000 al 2018 55.000 ebrei hanno abbandonato la Francia per trasferirsi in Israele a causa dell’islamismo radicale mentre meno di dieci anni fa un sondaggio della CNN indicava che un francese su cinque fra i 18 e i 34 anni non aveva mai sentito parlare della Shoah.
Negli ultimi anni la situazione non pare essere migliorata. Secondo il “Riformista” dal 7 ottobre si sono registrati 1.500 episodi di antisemitismo. Occorre, peraltro, ricordare che già nel luglio scorso era stato imbrattato a Parigi il Memoriale dei martiri della deportazione con una scritta che inneggiava alla Shoah. Domenica 12 novembre in Francia hanno sfilato 182.000 persone in una serie di ‘marce civiche’ solidali con i loro concittadini di fede ebraica. 105.000 a Parigi con la partecipazione dei leader dei principali schieramenti meno Jean-Luc Melenchon de la France insoumise ma alla presenza del primo ministro Elisabeth Borne. Assente invece il presidente Macron, evidentemente imbarazzato dalla presenza alla manifestazione di Marine Le Pen (anche in Francia si è già in campagna elettorale per le europee) anche se il suo messaggio di solidarietà a Israele e ai cittadini francesi di fede ebraica è arrivato forte e chiaro.
Veniamo ora al nostro paese in cui episodi di risentimento verso gli ebrei e Israele non sono mancati e in cui si è assistito a numerose manifestazioni di vandalismo ma, cosa ancor più grave, a richieste d’interruzione della collaborazione fra università italiane e israeliane, il tutto nato nell’alveo di quella comunità scientifica per la quale il dialogo, l’incontro e il rispetto per la pluralità delle opinioni dovrebbero rappresentare lo sforzo supremo cui aspirare. Appare incomprensibile che una presa di posizione del genere possa essere maturata nell’ambiente universitario che si suppone tenere nella massima considerazione l’aderenza alla realtà dei fatti. Purtroppo, invece, leggendo l’appello dei 4.000 docenti rivolto ai ministri Tajani e Bernini si evince che questa è tenuta in non cale visto che il testo assomma una gran quantità di strafalcioni storici. La triste impressione che se ne ricava è che l’università abbia abdicato, almeno in parte, al proprio dovere di dibattere liberamente e di formare le coscienze dei cittadini all’insegna della libertà e del pluralismo. Il governo e le forze politiche hanno, invece, offerto uno spettacolo più in linea con la gravità del momento assumendo atteggiamenti responsabili pur nella differenza delle posizioni.
Infine, un cenno sulla situazione negli Stati Uniti. Anche oltreoceano, fin nei campus degli atenei più prestigiosi, si è assistito a manifestazioni antisemite e ed atti intimidatori nei confronti di studenti ebrei. Ci si è meravigliati del perché di questo clima in università come Harvard che si sono cullate per anni nella cultura del politicamente corretto scoprendosi, da un giorno all’altro, a fianco di Hamas. Forse non è estraneo a questa deriva l’enorme flusso di denaro che, partito dal Qatar, ha finanziato le più importanti università americane. Uno studio recente ha accertato che negli ultimi vent’anni ben 4,7 miliardi di dollari sono stati investiti dal Qatar nelle istituzioni universitarie americane. Anche questo aspetto fa parte del soft power con cui il paese del Golfo cerca di penetrare negli Stati Uniti e nelle democrazie occidentali. Il discorso che sta al centro della propaganda qatarina fa asse intorno alla demonizzazione d’Israele. Vedendo qual e stata la reazione dei campus americani dopo il 7 ottobre dobbiamo riconoscere che sono stati soldi ben spesi.
Tralasciando le responsabilità dell’una e dell’altra parte che verranno accertate e, se del caso, sanzionate da organi giurisdizionali israeliani e internazionali, vorremmo spostare il focus della questione sulle reazioni innescate in Europa e negli Stati Uniti dall’azione messa in campo da Israele.
Improvvisamente ci siamo resi conto che il fantasma dell’antisemitismo si aggira ancora per l’Europa. Il Germania il governo Scholz si dice fortemente preoccupato per l’aumento delle manifestazioni di odio antiebraico. Lo scorso 7 novembre il partito Alternative für Deutschland (AfD) è stato classificato come ‘raggruppamento estremista di destra’ dai servizi segreti per la sicurezza interna che monitorano attentamente la situazione perché negli ultimi tempi AfD pare essere stato pesantemente infiltrato da elementi neonazisti. D’altra parte, come si è potuto vedere, anche in Germania è forte l’antisemitismo espresso dalle comunità musulmane. Se ne è avuta conferma dalle manifestazioni di piazza a Berlino e in altre città ma la politica e il ceto intellettuale hanno dato una risposta all’altezza. Il ministro dell’Economia Robert Habeck, membro dei Grünen (il partito dei Verdi), ha postato su X (l’ex-Twitter) un messaggio molto duro per richiamare i tedeschi alle loro responsabilità storiche e rivolgendosi ai cittadini di fede musulmana ha ricordato loro che «bruciare le bandiere israeliane è un reato penale, così come lodare le azioni di Hamas. Chi è tedesco dovrà risponderne in tribunale, chi non è tedesco rischierà anche il proprio status di residenza. Per coloro che non hanno ancora un titolo di soggiorno questi comportamenti sono motivo di espulsione».
Uno tra i maggiori intellettuali europei viventi, il filosofo Jürgen Habermas si è espresso pubblicamente portando la sua solidarietà a Israele aggiungendo di ritenere giustificata “in linea di principio” la sua reazione ma raccomandando, in parallelo, di rispettare il principio di proporzionalità e di evitare vittime civili assumendo che ciò possa costituire la base per la ripresa di un dialogo costruttivo che conduca a una pace futura.
Molto diversa la situazione in Francia. Zeev Sternhell ci ha fatto scoprire molti anni fa con i suoi libri le radici del fascismo e dell’antisemitismo presenti in questo paese. Qui la situazione si è di molto aggravata con la presenza sul territorio di cinque milioni di cittadini francesi di fede musulmana. Dal 2000 al 2018 55.000 ebrei hanno abbandonato la Francia per trasferirsi in Israele a causa dell’islamismo radicale mentre meno di dieci anni fa un sondaggio della CNN indicava che un francese su cinque fra i 18 e i 34 anni non aveva mai sentito parlare della Shoah.
Negli ultimi anni la situazione non pare essere migliorata. Secondo il “Riformista” dal 7 ottobre si sono registrati 1.500 episodi di antisemitismo. Occorre, peraltro, ricordare che già nel luglio scorso era stato imbrattato a Parigi il Memoriale dei martiri della deportazione con una scritta che inneggiava alla Shoah. Domenica 12 novembre in Francia hanno sfilato 182.000 persone in una serie di ‘marce civiche’ solidali con i loro concittadini di fede ebraica. 105.000 a Parigi con la partecipazione dei leader dei principali schieramenti meno Jean-Luc Melenchon de la France insoumise ma alla presenza del primo ministro Elisabeth Borne. Assente invece il presidente Macron, evidentemente imbarazzato dalla presenza alla manifestazione di Marine Le Pen (anche in Francia si è già in campagna elettorale per le europee) anche se il suo messaggio di solidarietà a Israele e ai cittadini francesi di fede ebraica è arrivato forte e chiaro.
Veniamo ora al nostro paese in cui episodi di risentimento verso gli ebrei e Israele non sono mancati e in cui si è assistito a numerose manifestazioni di vandalismo ma, cosa ancor più grave, a richieste d’interruzione della collaborazione fra università italiane e israeliane, il tutto nato nell’alveo di quella comunità scientifica per la quale il dialogo, l’incontro e il rispetto per la pluralità delle opinioni dovrebbero rappresentare lo sforzo supremo cui aspirare. Appare incomprensibile che una presa di posizione del genere possa essere maturata nell’ambiente universitario che si suppone tenere nella massima considerazione l’aderenza alla realtà dei fatti. Purtroppo, invece, leggendo l’appello dei 4.000 docenti rivolto ai ministri Tajani e Bernini si evince che questa è tenuta in non cale visto che il testo assomma una gran quantità di strafalcioni storici. La triste impressione che se ne ricava è che l’università abbia abdicato, almeno in parte, al proprio dovere di dibattere liberamente e di formare le coscienze dei cittadini all’insegna della libertà e del pluralismo. Il governo e le forze politiche hanno, invece, offerto uno spettacolo più in linea con la gravità del momento assumendo atteggiamenti responsabili pur nella differenza delle posizioni.
Infine, un cenno sulla situazione negli Stati Uniti. Anche oltreoceano, fin nei campus degli atenei più prestigiosi, si è assistito a manifestazioni antisemite e ed atti intimidatori nei confronti di studenti ebrei. Ci si è meravigliati del perché di questo clima in università come Harvard che si sono cullate per anni nella cultura del politicamente corretto scoprendosi, da un giorno all’altro, a fianco di Hamas. Forse non è estraneo a questa deriva l’enorme flusso di denaro che, partito dal Qatar, ha finanziato le più importanti università americane. Uno studio recente ha accertato che negli ultimi vent’anni ben 4,7 miliardi di dollari sono stati investiti dal Qatar nelle istituzioni universitarie americane. Anche questo aspetto fa parte del soft power con cui il paese del Golfo cerca di penetrare negli Stati Uniti e nelle democrazie occidentali. Il discorso che sta al centro della propaganda qatarina fa asse intorno alla demonizzazione d’Israele. Vedendo qual e stata la reazione dei campus americani dopo il 7 ottobre dobbiamo riconoscere che sono stati soldi ben spesi.
Fonte: di Andrea Becherucci