"L’ARRIVO DELLA PRIMAVERA E I PORTAVOCE DIMISSIONARI"
25-04-2023 - AGORA'
Non c’è due senza tre… E il quarto vien da sé. A febbraio dopo le dimissioni dei portavoce Gerardo Pelosi e Alfonso Celotto, a distanza di pochi giorni anche i Ministri del Merito e dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, e della Cultura, Gennaro Sangiuliano, restano senza i loro rispettivi portavoce.
Cosa è accaduto? Un corto circuito nella comunicazione di governo? Un inciampo da parte degli staff che si occupano di comunicazione? Il minimo comun denominatore che ha portato i portavoce alla fuga dai rispettivi ministeri, dopo appena pochi mesi dal loro insediamento, sono “motivazioni personali”. Non indagheremo certo i retroscena di Palazzo, di cosa possa esser avvenuto in quelle stanze o nei corridoi. Ci limiteremo a una breve considerazione sul ruolo del portavoce, il braccio destro comunicativo di una figura di vertice.
Il portavoce nell’uso degli strumenti di comunicazione a sua disposizione è chiamato principalmente ad occuparsi di tattica, non di strategia. Filippo Sensi, già portavoce di due premier Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, dichiarò che quando si trovava nel gabinetto del sindaco di Roma i comunicatori non partecipavano mai alle riunioni. Infatti prima di tutto doveva essere chiara la posizione politica e solo allora il portavoce poteva contattare le testate giornalistiche e diffondere il messaggio. Con questa modalità diviene inoltre altresì molto difficile far filtrare “veline” e informazioni senza l’autorizzazione del proprio responsabile politico.
Non sono poi mancate eccezioni di chi ha mischiato strategia e tattica. Pensiamo, ad esempio, a Rocco Casalino, che, nel promuover la figura del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha usato proprio questa modalità.
La professione del portavoce va coltivata nel corso degli anni. Spesso si ritiene che un bravo portavoce sia esclusivamente un giornalista di lungo corso, con numerosi contatti caldi nelle redazioni e magari proveniente al tempo stesso da una redazione molto titolata. Tale professionalità è sicuramente spendibile nel mondo giornalistico ma non necessariamente anche dall’altra parte della barricata, nell’universo di chi attua tattiche e/o strategie.
In un contesto in cui la comunicazione non è più di tipo verticale, i social media hanno un ruolo maggiore e si assiste quotidianamente ad una sovrabbondanza informativa, il portavoce dovrà stare attento a non sovraesporre la figura di vertice. La notorietà del politico, in questo caso, non di rado è nociva e risulta fuorviante esprimersi continuamente nei diversi settori non di propria competenza. Il “segreto” risiede nel saper muoversi nei momenti giusti dando i messaggi più appropriati, non mancando di trasmettere informazioni accurate e briefing per la stampa e agendo con correttezza e sensibilità istituzionale.
Cosa è accaduto? Un corto circuito nella comunicazione di governo? Un inciampo da parte degli staff che si occupano di comunicazione? Il minimo comun denominatore che ha portato i portavoce alla fuga dai rispettivi ministeri, dopo appena pochi mesi dal loro insediamento, sono “motivazioni personali”. Non indagheremo certo i retroscena di Palazzo, di cosa possa esser avvenuto in quelle stanze o nei corridoi. Ci limiteremo a una breve considerazione sul ruolo del portavoce, il braccio destro comunicativo di una figura di vertice.
Il portavoce nell’uso degli strumenti di comunicazione a sua disposizione è chiamato principalmente ad occuparsi di tattica, non di strategia. Filippo Sensi, già portavoce di due premier Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, dichiarò che quando si trovava nel gabinetto del sindaco di Roma i comunicatori non partecipavano mai alle riunioni. Infatti prima di tutto doveva essere chiara la posizione politica e solo allora il portavoce poteva contattare le testate giornalistiche e diffondere il messaggio. Con questa modalità diviene inoltre altresì molto difficile far filtrare “veline” e informazioni senza l’autorizzazione del proprio responsabile politico.
Non sono poi mancate eccezioni di chi ha mischiato strategia e tattica. Pensiamo, ad esempio, a Rocco Casalino, che, nel promuover la figura del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha usato proprio questa modalità.
La professione del portavoce va coltivata nel corso degli anni. Spesso si ritiene che un bravo portavoce sia esclusivamente un giornalista di lungo corso, con numerosi contatti caldi nelle redazioni e magari proveniente al tempo stesso da una redazione molto titolata. Tale professionalità è sicuramente spendibile nel mondo giornalistico ma non necessariamente anche dall’altra parte della barricata, nell’universo di chi attua tattiche e/o strategie.
In un contesto in cui la comunicazione non è più di tipo verticale, i social media hanno un ruolo maggiore e si assiste quotidianamente ad una sovrabbondanza informativa, il portavoce dovrà stare attento a non sovraesporre la figura di vertice. La notorietà del politico, in questo caso, non di rado è nociva e risulta fuorviante esprimersi continuamente nei diversi settori non di propria competenza. Il “segreto” risiede nel saper muoversi nei momenti giusti dando i messaggi più appropriati, non mancando di trasmettere informazioni accurate e briefing per la stampa e agendo con correttezza e sensibilità istituzionale.
Fonte: di Loredana Nuzzolese