"L’EUROPA ASSENTE" di Paolo Bagnoli
21-03-2022 - EDITORIALE
La guerra causata dall’aggressione della Russia all’Ucraina pone tante questioni sul tavolo dell’umanità. La prima è proprio quella umanitaria. Essa dipende dalla politica; infatti, fino a quando non ci sarà un cessate il fuoco che faccia da prodromo a una soluzione, la questione umanitaria continuerà drammaticamente a intensificare una tragedia di dimensioni talmente ampie della quale noi, tramite i media, sappiamo e vediamo solo una piccola parte.
La guerra ci dice come il mondo, dopo la caduta del comunismo, necessiti di un nuovo ordine mondiale. Non sapremmo dire se lo si possa ridisegnare a seguito del conflitto in atto oppure se esso esprima solo il momento di passaggio verso più ampie future tragedie. Affidare un po’ tutto al riarmo dell’Europa – che ora appare inevitabile, praticamente naturale – non sembra essere la via maestra poiché il meccanismo della guerra fredda, ossia di due militarismi che si fronteggiavano garantendo un equilibro, non appare più praticabile. Il riarmo dell’Europa non coincide con l irrisolta questione della sicurezza europea. Essa, a nostro avviso, non può pregiudizialmente escludere la Russia; un’altra Russia beninteso, non certo quella di Putin giustamente e con mossa azzeccata definito dal presidente Biden un “criminale”. Va dato, inoltre, atto al presidente americano di non aver sbagliato una mossa recuperando così’, sul piano della capacità politica, quanto l’abbandono dell’Afghanistan aveva a buon motivo messo in discussione.
Per fermare la guerra e arrivare alla pace occorre la ripresa della politica. E qui siamo alle dolenti note, quelle che non vorremmo suonare, ma l’entità geopolitica che dovrebbe giocare un ruolo da protagonista, ossia l’Europa, non c’è. Dobbiamo rendere onore al presidente Macron il quale, in rappresentanza dell’Unione che ora presiede, se essa fa sentire la sua voce, peraltro senza esiti, tramite le quasi lunghe quanto inconcludenti telefonate tra lui e Putin.
Attenta alle questioni militari e a quelle economiche l’Europa, ancora una volta, scarta su quelle politiche. Nei giorni scorsi era circolata la notizia che i garanti di una possibile pace avrebbe visto garanti l’Usa, la Gran Bretagna e la Turchia, quest’ultima molto attiva e, nello specifico, positivamente attiva poiché tutto ciò che la mette di fronte al proprio passato ottomano non la lascia indifferente; succede anche per la Siria e la Libia, scenari nei quali l’Europa è senza voce. Naturalmente, se l’ipotesi fosse realizzabile non lo potrebbe essere senza che gli Usa e la Cina avessero concordato le proprie cose; il colloquio tra Biden e Xi è apparso come un annusarsi, ma è chiaro che solo americani e i cinesi sono nella condizione di imporre una soluzione che, formalmente, non umili né la Russia né l’Ucraina al di là degli orrori cui assistiamo, avendo ben presente che ognuna delle due avrà dei prezzi da pagare in aggiunta a quelli che stanno caramente pagando a causa dello scontro.
L’assenza dell’Europa - sempre tutta concentrata sui liberi mercati e trattati oramai addirittura fuori dal buon senso - nasce dall’incapacità di avere coraggio nel volersi motivare, abbandonando però ogni retorica oramai divenuta indigeribile, come lo spazio che ha incubato lo spirito dell’Occidente e, quindi, dell’unica civiltà liberale che il mondo conosca ammesso si possa definire “civiltà” un consorzio storico-culturale fondato sulla libertà; libertà, sì, non un generico liberalismo giustificato e giustificante mercatismo planetario.
La storia non finisce mai. Quella della libertà comporta un consapevole movimento delle vicende umane fondato sulla centralità dell’uomo, la sua autonomia, sul fatto che tutte le libertà devono essere solidali. La realtà europea si è mossa negli anni, ma per essere soggetti politici occorre produrre politica. Se c’è questa volontà – credevamo cominciasse a esserci dopo la nascita dell’euro – allora, sulla base degli ideali fondativi, si devono pure cambiare le idee e non ingessarsi in meccanismi burocratici paralizzanti. Occhio poi a cadere nelle trappole. Si è detto che a fronte dell’attacco russo all’Ucraina l’Europa ha dimostrato di essere unita. La condanna è stata unanime, ma l’unità, mancando una politica che le dia senso, non c’è stata come dimostra il viaggio a Kiev dei rappresentanti della Cechia, della Polonia e della Slovenia.
Tale colpevole assenza concentra, di fatto, l’essenza europea solo nella Nato. Un riarmo generalizzato, infatti, dall’ottica del presente sembra proiettare lo sguardo ben più lontano. L’idea dell’Europa, però, non dimentichiamolo, nasceva perché la sua civiltà non fosse travolta un’altra volta, dopo la seconda guerra mondiale, facendo vivere nella pace i popoli che la abitano; liberandoli dal tarlo sempre in agguato dei nazionalismi perversi. L’Europa unita era e rimane una grande sfida democratica al mondo e al suo futuro. La Nato significa sostanzialmente gli Stati Uniti, coi quali dobbiamo essere alleati in nome e per conto dell’idea di Occidente, ma non subalterni o solo acquiscienti dati i rapporti di forza. Noi europei, però, come ci rappresentiamo? Abbiamo un Parlamento che non legifera, una Commissione che talora sembra assolvere alla funzione di un grande e complicato condominio e un Consiglio che è la sede della decisione politica. Esso appare addirittura contrastante con l’intento stesso della costruzione europea, in quanto vincolato alla regola dell’unanimità e, quindi, alla salvaguardia delle nazioni che ne fanno parte e non a superare gli ambiti particolari riconducendo il tutto in un riconosciuto e accettato insieme politico che tutti salvaguarda e tutti rappresenta. Un’Europa politicamente unita – già sarebbe un significativo passo in avanti creare nel Consiglio una “cooperazione rafforzata” tra alcuni Stati; oggi, con l’uscita della Gran Bretagna, l’operazione sembrerebbe facilitata – avrebbe la forza e l’autorevolezza di essere tra i quattro grandi players mondiali accanto agli Stati Uniti, alla Cina e alla Russia.
Ripetiamo: dalla situazione presente si può realisticamente uscire con un accordo tra gli Usa e la Cina; un accordo nel quale gli Usa rappresentano anche l’Europa e la Cina, la Russia con la quale ha stretto un patto di quelli pesanti. Il peso di ciò che lega le sfere occidentali è dato dalla Nato, il che è limitativo e pericolosamente settoriale.
Quella dell’Europa è un’assenza che grava sul presente e sul futuro del mondo. Tuttavia, come a suo tempo vi fu una classe politica che accese il cammino del vecchio continente dopo la seconda guerra mondiale, ne occorrerebbe una a salvaguardia della pace contro i rischi di un terzo conflitto mondiale che nessuno riesce nemmeno a immaginare cosa potrebbe comportare. Nessuno, proprio nessuno, ma il dolore che proviamo nel vedere a cosa sono sottoposti i bambini ucraini ci dovrebbe, fuori di ogni pietismo, far ragionare sul futuro non solo loro , bensì di tutte quelle giovani vite che rischiano di trovarsi in un inferno apocalittico.
La guerra ci dice come il mondo, dopo la caduta del comunismo, necessiti di un nuovo ordine mondiale. Non sapremmo dire se lo si possa ridisegnare a seguito del conflitto in atto oppure se esso esprima solo il momento di passaggio verso più ampie future tragedie. Affidare un po’ tutto al riarmo dell’Europa – che ora appare inevitabile, praticamente naturale – non sembra essere la via maestra poiché il meccanismo della guerra fredda, ossia di due militarismi che si fronteggiavano garantendo un equilibro, non appare più praticabile. Il riarmo dell’Europa non coincide con l irrisolta questione della sicurezza europea. Essa, a nostro avviso, non può pregiudizialmente escludere la Russia; un’altra Russia beninteso, non certo quella di Putin giustamente e con mossa azzeccata definito dal presidente Biden un “criminale”. Va dato, inoltre, atto al presidente americano di non aver sbagliato una mossa recuperando così’, sul piano della capacità politica, quanto l’abbandono dell’Afghanistan aveva a buon motivo messo in discussione.
Per fermare la guerra e arrivare alla pace occorre la ripresa della politica. E qui siamo alle dolenti note, quelle che non vorremmo suonare, ma l’entità geopolitica che dovrebbe giocare un ruolo da protagonista, ossia l’Europa, non c’è. Dobbiamo rendere onore al presidente Macron il quale, in rappresentanza dell’Unione che ora presiede, se essa fa sentire la sua voce, peraltro senza esiti, tramite le quasi lunghe quanto inconcludenti telefonate tra lui e Putin.
Attenta alle questioni militari e a quelle economiche l’Europa, ancora una volta, scarta su quelle politiche. Nei giorni scorsi era circolata la notizia che i garanti di una possibile pace avrebbe visto garanti l’Usa, la Gran Bretagna e la Turchia, quest’ultima molto attiva e, nello specifico, positivamente attiva poiché tutto ciò che la mette di fronte al proprio passato ottomano non la lascia indifferente; succede anche per la Siria e la Libia, scenari nei quali l’Europa è senza voce. Naturalmente, se l’ipotesi fosse realizzabile non lo potrebbe essere senza che gli Usa e la Cina avessero concordato le proprie cose; il colloquio tra Biden e Xi è apparso come un annusarsi, ma è chiaro che solo americani e i cinesi sono nella condizione di imporre una soluzione che, formalmente, non umili né la Russia né l’Ucraina al di là degli orrori cui assistiamo, avendo ben presente che ognuna delle due avrà dei prezzi da pagare in aggiunta a quelli che stanno caramente pagando a causa dello scontro.
L’assenza dell’Europa - sempre tutta concentrata sui liberi mercati e trattati oramai addirittura fuori dal buon senso - nasce dall’incapacità di avere coraggio nel volersi motivare, abbandonando però ogni retorica oramai divenuta indigeribile, come lo spazio che ha incubato lo spirito dell’Occidente e, quindi, dell’unica civiltà liberale che il mondo conosca ammesso si possa definire “civiltà” un consorzio storico-culturale fondato sulla libertà; libertà, sì, non un generico liberalismo giustificato e giustificante mercatismo planetario.
La storia non finisce mai. Quella della libertà comporta un consapevole movimento delle vicende umane fondato sulla centralità dell’uomo, la sua autonomia, sul fatto che tutte le libertà devono essere solidali. La realtà europea si è mossa negli anni, ma per essere soggetti politici occorre produrre politica. Se c’è questa volontà – credevamo cominciasse a esserci dopo la nascita dell’euro – allora, sulla base degli ideali fondativi, si devono pure cambiare le idee e non ingessarsi in meccanismi burocratici paralizzanti. Occhio poi a cadere nelle trappole. Si è detto che a fronte dell’attacco russo all’Ucraina l’Europa ha dimostrato di essere unita. La condanna è stata unanime, ma l’unità, mancando una politica che le dia senso, non c’è stata come dimostra il viaggio a Kiev dei rappresentanti della Cechia, della Polonia e della Slovenia.
Tale colpevole assenza concentra, di fatto, l’essenza europea solo nella Nato. Un riarmo generalizzato, infatti, dall’ottica del presente sembra proiettare lo sguardo ben più lontano. L’idea dell’Europa, però, non dimentichiamolo, nasceva perché la sua civiltà non fosse travolta un’altra volta, dopo la seconda guerra mondiale, facendo vivere nella pace i popoli che la abitano; liberandoli dal tarlo sempre in agguato dei nazionalismi perversi. L’Europa unita era e rimane una grande sfida democratica al mondo e al suo futuro. La Nato significa sostanzialmente gli Stati Uniti, coi quali dobbiamo essere alleati in nome e per conto dell’idea di Occidente, ma non subalterni o solo acquiscienti dati i rapporti di forza. Noi europei, però, come ci rappresentiamo? Abbiamo un Parlamento che non legifera, una Commissione che talora sembra assolvere alla funzione di un grande e complicato condominio e un Consiglio che è la sede della decisione politica. Esso appare addirittura contrastante con l’intento stesso della costruzione europea, in quanto vincolato alla regola dell’unanimità e, quindi, alla salvaguardia delle nazioni che ne fanno parte e non a superare gli ambiti particolari riconducendo il tutto in un riconosciuto e accettato insieme politico che tutti salvaguarda e tutti rappresenta. Un’Europa politicamente unita – già sarebbe un significativo passo in avanti creare nel Consiglio una “cooperazione rafforzata” tra alcuni Stati; oggi, con l’uscita della Gran Bretagna, l’operazione sembrerebbe facilitata – avrebbe la forza e l’autorevolezza di essere tra i quattro grandi players mondiali accanto agli Stati Uniti, alla Cina e alla Russia.
Ripetiamo: dalla situazione presente si può realisticamente uscire con un accordo tra gli Usa e la Cina; un accordo nel quale gli Usa rappresentano anche l’Europa e la Cina, la Russia con la quale ha stretto un patto di quelli pesanti. Il peso di ciò che lega le sfere occidentali è dato dalla Nato, il che è limitativo e pericolosamente settoriale.
Quella dell’Europa è un’assenza che grava sul presente e sul futuro del mondo. Tuttavia, come a suo tempo vi fu una classe politica che accese il cammino del vecchio continente dopo la seconda guerra mondiale, ne occorrerebbe una a salvaguardia della pace contro i rischi di un terzo conflitto mondiale che nessuno riesce nemmeno a immaginare cosa potrebbe comportare. Nessuno, proprio nessuno, ma il dolore che proviamo nel vedere a cosa sono sottoposti i bambini ucraini ci dovrebbe, fuori di ogni pietismo, far ragionare sul futuro non solo loro , bensì di tutte quelle giovani vite che rischiano di trovarsi in un inferno apocalittico.