"L’IDEA DEL SOCIALISMO LIBERALE"
22-12-2023 - AGORA´
Pochi giorni fa (11 dicembre 2023) su “Social Europe” (un magazine on line) è apparso un articolo per noi accattivante: The idea of a liberal socialism di Bo Rothstein, un famoso docente svedese di politologia. Tra l'altro è divenuto noto al grande pubblico perché nel 2017 si è dimesso per protesta da insegnante della Blavatnik School of Government, una scuola finanziata dall'oligarca russo ucraino e adesso anglo americano Sir Leonard Valentinovich Blavatnik, perché questi aveva finanziato la campagna elettorale di Donald Trump e la campagna per le primarie repubblicane di Marco Rubio.
L'articolo rilancia in maniera forte il socialismo liberale di Carlo Rosselli, affiancandolo con quello teorizzato e praticato dal padre del welfare svedese il socialdemocratico Gustav Möller, influenzato dalle idee di Alva e Gunnat Myrdal.
Una specificazione va fatta circa la terminologia che utilizziamo in Italia e che non trova corrispondenza nella lingua inglese. Infatti, il termine anglosassone utilizzato è “Liberal Socialism” che potrebbe confondersi, come spesso accade in Italia con il liberalsocialismo. Tant'è che la curatrice dell'edizione americana, la Prof.ssa Nadia Urbinati, inizia la sua introduzione puntualizzando che “Carlo Rosselli era un socialista prima di diventare un socialista liberale”.
Un'altra puntualizzazione a questo punto appare necessaria, definire la differenza tra socialismo liberale e liberalsocialismo.
Questa precisazione appare necessaria non per un problema semantico, ma perché molte volte i due termini vengono interscambiati. In realtà si tratta di due teorie diverse, non sovrapponibili, con origini diverse anche se con punti di contatto importanti.
Le origini sono diverse mentre il liberalsocialismo trova le sue radici nel pensiero del grande intellettuale inglese John Stuart Mill. Il termine socialismo liberale è coniato la prima volta in Francia dal repubblicano Alfred Naquet (A. Naquet, Socialisme collectiviste et socialisme libéral, Dentu, Paris 1890, trent'anni prima di Hobhouse che con Liberalism è stato a lungo indicato come il primo autore che abbia definito il concetto). Non sappiamo se Carlo Rosselli abbia letto Naquet, sicuramente, però, conosce il pensiero di William Godwin che all'interno del radicalismo filosofico inglese guida una corrente di pensiero utilitarista “eretica”. La ricerca porta il fiorentino a studiare quel gruppo di economisti inglesi, che intorno alla metà del XIX° secolo, affrontano la questione sociale stimolati dalle tragiche condizioni dei lavoratori inglesi. Si tratta di studiosi anticapitalisti, seguaci di Ricardo o sostenitori della cooperazione, ma anche critici del comunismo sia pure con accenti diversi. (Hall, Owen, Thompson, Ravenstone, Gray e Hodgskin sono i più noti). Questi economisti cercano di dare una risposta “scientifica” alla risoluzione degli enormi problemi sociali posti dall'industrializzazione che sembrano essere irrisolvibili. Dalla filiazione di questi studiosi si arriva, nei primi del Novecento al Gildista socialista George Douglas Howard Cole, che ha idee, in quegli anni, molo simili a quelle di Rosselli.
La prima differenza è sulla forma di stato. Il liberal socialismo ritiene che il sistema parlamentare rappresentativo eletto a suffragio universale sia il miglior punto di arrivo. Carlo Rosselli immagina, come approdo finale, uno stato organizzato su basi funzionali e solo come momento intermedio uno liberal democratico basato su un Parlamento eletto a suffragio universale. Egli ritiene che “la rivoluzione italiana, ... dovrà, sulle macerie dello Stato fascista capitalista, far risorgere la Società, federazione di associazioni quanto più libere e varie possibili. Avremo bisogno anche domani di una amministrazione centrale, di un governo, ma così l'una come l'altro saranno agli ordini della società e non viceversa. L'uomo è il fine. Non lo Stato” ( C. Rosselli, Contro lo Stato in “Giustizia e Libertà”, a. I (1934), n. 19, 21 settembre, p. 1). Com'è chiaro siamo agli antipodi.
L'altra differenza essenziale tra Socialismo Liberale e Liberal socialismo è sul controllo del sistema produttivo. Secondo Rosselli: «Resterebbero invece escluse da una socializzazione immediata le due principali industrie italiane – tessile e meccanica - e tutta una serie di industrie minori […]. La loro eclusione non significa che esse non possano formare più tardi oggetto, sulla base di esperienze compiute di provvedimenti di socializzazione; né significa che esse vengano abbandonate completamente all'iniziativa privata.» (C. Rosselli, Chiarimenti al Programma in «Quaderni di Giustizia e Libertà» a. I (1932), n. 1, p. 16). Mi sembra opportuno far notare che usa il termine socializzazione e non nazionalizzazione. Anche in questo caso non si tratta di una questione semantica, essa ne nasconde una sostanziale, per evitare la inevitabile burocratizzazione di un sistema economico centralizzato e la conseguente mancanza di libertà, propone un sistema autogestito e decentrato. Queste considerazioni non paiono condivise dal filosofo Guido Calogero, uno dei maggiori esponenti del liberalsocialismo, che si ferma ad una economia a due settori e a un sistema industriale senza monopoli. (G. Calogero, La terza via di Wilhelm Röpke in G. Calogero In Difesa del liberalsocialismo ed altri saggi, Marzorati, Milano 1972, pp. 99-103).
Quando sopra abbiamo ricordato gli economisti inglesi sui quali si è formato non si è citato John Stuart Mill ritenuto il precursore del liberalsocialismo, di questa scelta, fino a questo momento, non abbiamo trovato nessun documento esplicativo. L'unica cosa che possiamo rilevare è che Rosselli esprime concetti diversi da John Stuart Mill sulla produzione. Per Carlo la democrazia in fabbrica è l'elemento portante della sovranità popolare. John Stuart Mill, nei Principi (J. S. Mill, Principi di economia politica, Torino, UTET, 1983, vol. I, p. 333 e p. 334), ritiene che l'aspetto produttivo sia retto da leggi intangibili, mentre quello distributivo sia subordinato alla volontà degli uomini. Mentre sulla concezione dell'utilitarismo le posizioni paiono meno distanti. J.S. Mill enuncia una definizione di utilitarismo che potrebbe essere condivisa da Carlo Rosselli. (Fare, come si vorrebbe che si fa cesse a noi, e amare il prossimo come noi stessi; ecco la perfezione ideale della morale utilitaria. J.S. Mill, Utilitarismo, Torino, Favale, 1886, p. 41)
Questa premessa, un po' pedante, serve per delimitare il campo in cui si muove l'articolo di Rothstein (peraltro tradotto in italiano sul numero 205/2023 di Etica e Economia) che rilancia il dibattito sul Socialismo liberale partendo proprio da uno dei punti apparentemente più difficili da realizzare come quello della gestione del sistema industriale. Dopo aver ricordato le idee di Carlo Rosselli e di Gustav Möller, Rothstein affronta il problema del ruolo del lavoratore. Ovviamente non dà soluzioni finali, ma da buon riformista offre le soluzioni che sono davanti a noi e che possono essere utilizzate fin da ora, è chiaro che poi sarà necessario compiere enormi ulteriori passi per andare verso la soluzione indicata in Socialismo liberale. Certo, visti i danni che il capitalismo sta portando all'uomo e al suo ecosistema, appare orami necessario imboccare una strada che porti a mutare i rapporti di forza fra i possessori del capitale (sempre meno, ma sempre più ricchi) ed il resto della popolazione (sempre di più e sempre più povera).
Speriamo che questo articolo sia foriero di novità importanti e che stimoli l'emersione di leaders della sinistra capaci di saper tracciare una nuova via che ci conduca ad una vita migliore dove le libertà individuali siano garantite insieme a quelle sociali. Il leader è condizione necessaria ma non sufficiente per raggiungere questi obbiettivi. È indispensabile che ciascuno di noi esca dall'apatia e partecipi attivamente a questo processo.
L'articolo rilancia in maniera forte il socialismo liberale di Carlo Rosselli, affiancandolo con quello teorizzato e praticato dal padre del welfare svedese il socialdemocratico Gustav Möller, influenzato dalle idee di Alva e Gunnat Myrdal.
Una specificazione va fatta circa la terminologia che utilizziamo in Italia e che non trova corrispondenza nella lingua inglese. Infatti, il termine anglosassone utilizzato è “Liberal Socialism” che potrebbe confondersi, come spesso accade in Italia con il liberalsocialismo. Tant'è che la curatrice dell'edizione americana, la Prof.ssa Nadia Urbinati, inizia la sua introduzione puntualizzando che “Carlo Rosselli era un socialista prima di diventare un socialista liberale”.
Un'altra puntualizzazione a questo punto appare necessaria, definire la differenza tra socialismo liberale e liberalsocialismo.
Questa precisazione appare necessaria non per un problema semantico, ma perché molte volte i due termini vengono interscambiati. In realtà si tratta di due teorie diverse, non sovrapponibili, con origini diverse anche se con punti di contatto importanti.
Le origini sono diverse mentre il liberalsocialismo trova le sue radici nel pensiero del grande intellettuale inglese John Stuart Mill. Il termine socialismo liberale è coniato la prima volta in Francia dal repubblicano Alfred Naquet (A. Naquet, Socialisme collectiviste et socialisme libéral, Dentu, Paris 1890, trent'anni prima di Hobhouse che con Liberalism è stato a lungo indicato come il primo autore che abbia definito il concetto). Non sappiamo se Carlo Rosselli abbia letto Naquet, sicuramente, però, conosce il pensiero di William Godwin che all'interno del radicalismo filosofico inglese guida una corrente di pensiero utilitarista “eretica”. La ricerca porta il fiorentino a studiare quel gruppo di economisti inglesi, che intorno alla metà del XIX° secolo, affrontano la questione sociale stimolati dalle tragiche condizioni dei lavoratori inglesi. Si tratta di studiosi anticapitalisti, seguaci di Ricardo o sostenitori della cooperazione, ma anche critici del comunismo sia pure con accenti diversi. (Hall, Owen, Thompson, Ravenstone, Gray e Hodgskin sono i più noti). Questi economisti cercano di dare una risposta “scientifica” alla risoluzione degli enormi problemi sociali posti dall'industrializzazione che sembrano essere irrisolvibili. Dalla filiazione di questi studiosi si arriva, nei primi del Novecento al Gildista socialista George Douglas Howard Cole, che ha idee, in quegli anni, molo simili a quelle di Rosselli.
La prima differenza è sulla forma di stato. Il liberal socialismo ritiene che il sistema parlamentare rappresentativo eletto a suffragio universale sia il miglior punto di arrivo. Carlo Rosselli immagina, come approdo finale, uno stato organizzato su basi funzionali e solo come momento intermedio uno liberal democratico basato su un Parlamento eletto a suffragio universale. Egli ritiene che “la rivoluzione italiana, ... dovrà, sulle macerie dello Stato fascista capitalista, far risorgere la Società, federazione di associazioni quanto più libere e varie possibili. Avremo bisogno anche domani di una amministrazione centrale, di un governo, ma così l'una come l'altro saranno agli ordini della società e non viceversa. L'uomo è il fine. Non lo Stato” ( C. Rosselli, Contro lo Stato in “Giustizia e Libertà”, a. I (1934), n. 19, 21 settembre, p. 1). Com'è chiaro siamo agli antipodi.
L'altra differenza essenziale tra Socialismo Liberale e Liberal socialismo è sul controllo del sistema produttivo. Secondo Rosselli: «Resterebbero invece escluse da una socializzazione immediata le due principali industrie italiane – tessile e meccanica - e tutta una serie di industrie minori […]. La loro eclusione non significa che esse non possano formare più tardi oggetto, sulla base di esperienze compiute di provvedimenti di socializzazione; né significa che esse vengano abbandonate completamente all'iniziativa privata.» (C. Rosselli, Chiarimenti al Programma in «Quaderni di Giustizia e Libertà» a. I (1932), n. 1, p. 16). Mi sembra opportuno far notare che usa il termine socializzazione e non nazionalizzazione. Anche in questo caso non si tratta di una questione semantica, essa ne nasconde una sostanziale, per evitare la inevitabile burocratizzazione di un sistema economico centralizzato e la conseguente mancanza di libertà, propone un sistema autogestito e decentrato. Queste considerazioni non paiono condivise dal filosofo Guido Calogero, uno dei maggiori esponenti del liberalsocialismo, che si ferma ad una economia a due settori e a un sistema industriale senza monopoli. (G. Calogero, La terza via di Wilhelm Röpke in G. Calogero In Difesa del liberalsocialismo ed altri saggi, Marzorati, Milano 1972, pp. 99-103).
Quando sopra abbiamo ricordato gli economisti inglesi sui quali si è formato non si è citato John Stuart Mill ritenuto il precursore del liberalsocialismo, di questa scelta, fino a questo momento, non abbiamo trovato nessun documento esplicativo. L'unica cosa che possiamo rilevare è che Rosselli esprime concetti diversi da John Stuart Mill sulla produzione. Per Carlo la democrazia in fabbrica è l'elemento portante della sovranità popolare. John Stuart Mill, nei Principi (J. S. Mill, Principi di economia politica, Torino, UTET, 1983, vol. I, p. 333 e p. 334), ritiene che l'aspetto produttivo sia retto da leggi intangibili, mentre quello distributivo sia subordinato alla volontà degli uomini. Mentre sulla concezione dell'utilitarismo le posizioni paiono meno distanti. J.S. Mill enuncia una definizione di utilitarismo che potrebbe essere condivisa da Carlo Rosselli. (Fare, come si vorrebbe che si fa cesse a noi, e amare il prossimo come noi stessi; ecco la perfezione ideale della morale utilitaria. J.S. Mill, Utilitarismo, Torino, Favale, 1886, p. 41)
Questa premessa, un po' pedante, serve per delimitare il campo in cui si muove l'articolo di Rothstein (peraltro tradotto in italiano sul numero 205/2023 di Etica e Economia) che rilancia il dibattito sul Socialismo liberale partendo proprio da uno dei punti apparentemente più difficili da realizzare come quello della gestione del sistema industriale. Dopo aver ricordato le idee di Carlo Rosselli e di Gustav Möller, Rothstein affronta il problema del ruolo del lavoratore. Ovviamente non dà soluzioni finali, ma da buon riformista offre le soluzioni che sono davanti a noi e che possono essere utilizzate fin da ora, è chiaro che poi sarà necessario compiere enormi ulteriori passi per andare verso la soluzione indicata in Socialismo liberale. Certo, visti i danni che il capitalismo sta portando all'uomo e al suo ecosistema, appare orami necessario imboccare una strada che porti a mutare i rapporti di forza fra i possessori del capitale (sempre meno, ma sempre più ricchi) ed il resto della popolazione (sempre di più e sempre più povera).
Speriamo che questo articolo sia foriero di novità importanti e che stimoli l'emersione di leaders della sinistra capaci di saper tracciare una nuova via che ci conduca ad una vita migliore dove le libertà individuali siano garantite insieme a quelle sociali. Il leader è condizione necessaria ma non sufficiente per raggiungere questi obbiettivi. È indispensabile che ciascuno di noi esca dall'apatia e partecipi attivamente a questo processo.
“Come sosteneva Rosselli, il socialismo è l'idea di libertà del liberalismo portata al suo logico compimento”
(B. Rothstein, L'idea di un socialismo liberale)
Fonte: di Enno Ghiandelli