23 Novembre 2024

L’INCERTO FUTURO DI VLADIMIR PUTIN

E’ un assioma matematico per qualsiasi presidente a vita: il sostegno, come l’affluenza alle urne, non devono mai diminuire, ma solo aumentare. Nel 2000 Vladimir Putin vince le elezioni presidenziali con il 53% dei voti. Nel 2004 con il 71%. Nel 2018, è al 76%. Domenica 17 marzo, ha raggiunto la cifra record dell'87,28% dei voti su un'affluenza alle urne del 77,44%: la più grande vittoria elettorale nella storia della Russia post-sovietica. Risultati ridicoli in uno stato democratico. Ma un Paese dove i media sono controllati, dove non esiste né opposizione né alternativa, dove è stato vietato agli avversari di Putin di candidarsi, dove anche la più insignificante manifestazione di dissenso viene punita con l’arresto e la detenzione, dove gli avversari politici sono incarcerati e non occasionalmente eliminati, non è democrazia ma dittatura monopartitica.

Sia Golos, il gruppo indipendente di controllo elettorale russo, che Novaya Gazeta, un giornale d'opposizione vietato, sostengono di aver riscontrato livelli di frode senza precedenti nelle ultime elezioni presidenziali. Tuttavia, anche tenendo conto dei brogli, i risultati mostrano che la maggioranza della popolazione continua a sostenere il regime. Putin quest’anno sta affrontando uno dei periodi più turbolenti dei suoi 25 anni di governo. Queste sono state le prime elezioni da quando ha invaso l’Ucraina. Le tensioni con l’Occidente sono ai massimi livelli dai tempi della Guerra Fredda. E la Russia si trova ad affrontare sanzioni durissime. Vladimir Putin aveva quindi bisogno non solo di vincere, ma di stravincere. Per provare la legittimità del regime. Per avere un mandato pubblico per continuare la guerra in Ucraina. Per stabilizzare il governo. Per mostrare agli oligarchi che la speranza di succedergli in un non lontano futuro è irrealistica, e ai leader stranieri che il suo controllo sulla Russia è sempre più forte.

Subito dopo la proclamazione dei risultati delle elezioni, nel suo discorso della vittoria, Putin ha pronunciato per la prima volta il nome di Alexei Navalny. Ormai non ha più paura del suo acerrimo nemico né di coloro che a migliaia nel Paese e nel mondo hanno protestato contro il suo regime dittatoriale, la guerra in Ucraina e un’elezione gestita in modo tale da assicurargli un’incontestabile vittoria. La vedova di Alexei Navalny aveva invitato i suoi sostenitori a presentarsi ai seggi elettorali a mezzogiorno del 17 marzo per mostrare la loro solidarietà al movimento anti-Putin. Nonostante la procura russa abbia minacciato tutti gli elettori che avessero preso parte all'azione “mezzogiorno contro Putin” di cinque anni di carcere, l’affluenza alle proteste, sia in Russia che all’estero, c’ è stata. Immancabili, si sono verificati gli arresti: a Mosca, a San Pietroburgo, a Kazan.

Nel suo discorso della vittoria Putin ha anche tenuto a ribadire che il suo compito principale come presidente sarà la guerra in Ucraina “rafforzando la capacità di difesa e l’esercito … per creare un futuro per lo sviluppo completo, sovrano e sicuro della Federazione Russa, la nostra Patria.” La tranquilla sicurezza mostrata in questa occasione sarà di breve durata. Venerdì 22 marzo mentre quasi 7.000 persone si riuniscono al Crocus City Hall, un enorme luogo di ritrovo a Krasnogorsk nei sobborghi di Mosca per un concerto del complesso rock Picnic, un gruppo di uomini in mimetica fa irruzione nell'atrio, spara con fucili d'assalto, dà fuoco all'edificio e fugge. Il bilancio provvisorio parla di 137 morti, centinaia di feriti, parte dell’edificio raso al suolo dall’incendio. Nel giro di qualche ora vengono arrestate 11 persone: quattro uomini armati e sette ritenuti loro complici. Alcuni degli undici, se non tutti, sono tagiki. L’attacco è rivendicato dallo Stato Islamico Khorasan (Isis-K), un’affiliata regionale del movimento dello Stato Islamico (Isis). L’Isis-K ha preso il posto dei ribelli ceceni come autori degli attacchi più gravi nel Paese, compreso l’attentato alla metropolitana di San Pietroburgo nel 2017, che ha provocato 15 morti. Con sede in gran parte in Afghanistan e in Asia centrale, l’Isis-K è sempre più concentrato sulla Russia, che considera equivalente agli Stati Uniti nel suo “odio” per l’Islam. Non irrilevante è il fatto che oltre il 10% della popolazione russa è musulmana e i movimenti jihadisti sono arrivati a dominare le insurrezioni locali, soprattutto nel Caucaso settentrionale.

Il terrorismo ha già mietuto più di 1300 vittime da quando Putin è al potere. Ora, impegnato nella guerra in Ucraina, il neo rieletto presidente si trova a fare i conti con il peggior attacco terroristico sul suolo russo da vent'anni a questa parte. 19 ore dopo l’inizio della sparatoria Putin rompe il silenzio e pronuncia un breve discorso televisivo alla nazione, in cui suggerisce – senza prove – che Kiev potrebbe essere stata coinvolta nell’attacco, sostenendo che gli aggressori avevano pianificato di fuggire in Ucraina. Accusa l’Ucraina e non fa alcun riferimento alle rivendicazioni di responsabilità dell’Isis. (Per inciso: il 7 marzo, gli Stati Uniti avevano segnalato alle autorità russe che “gli estremisti hanno piani imminenti per prendere di mira grandi raduni a Mosca”, compresi i concerti. Ma Putin aveva respinto l’avvertimento definendolo “provocatorio”).

Che farà ora Vladimir Putin? È probabile che utilizzi l’attacco come strumento per aumentare l’ostilità pubblica nei confronti dell’Ucraina, intensificare la guerra e giustificare una mobilitazione generale. Che si avvalga del risultato delle elezioni come un segno di legittimità per una maggiore repressione. Che allenti le misure populiste adottate dal governo per controllare i prezzi della benzina e del cibo. (I principali birrifici hanno già avvertito i rivenditori che i prezzi della birra aumenteranno dell’8-15%.). Con il 40% del bilancio federale destinato a una guerra senza fine in vista, le industrie della difesa vanno avanti giorno e notte, ma l’economia civile e soprattutto i servizi pubblici sentono la pressione. E’ probabile quindi che il malcontento cresca man mano che le privazioni della guerra e della repressione si faranno sentire, indebolendo il regime. In base alle modifiche costituzionali da lui orchestrate nel 2020, Putin ha il diritto di candidarsi per altri due mandati di sei anni, il che gli permette di rimanere al potere fino al 2036. Entro il 2029 il suo mandato avrà superato quello di Joseph Stalin, che governò l’Unione Sovietica per 29 anni, rendendo Putin il leader più longevo del Paese dai tempi dell’impero russo. L’anniversario annuale della morte improvvisa di Stalin, avvenuta all’età di 74 anni, viene celebrato dall’opposizione russa con lo slogan: “Quello è morto; lo farà anche questo."





Fonte: di Giulietta Rovera
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