L’INDIA AL BIVIO FRA DEMOCRAZIA E AUTOCRAZIA
24-04-2024 - STORIE&STORIE
Il 19 aprile sono iniziate in India le operazioni di voto più imponenti della storia e proseguiranno in ulteriori sette fasi fino al 1 giugno. La logistica è impressionante: 1,05 milioni i seggi elettorali, 15 milioni gli operatori, 2.600 i partiti, 968 milioni gli elettori aventi diritto che sceglieranno la composizione della prossima Camera bassa del Parlamento, in parole povere il colore politico del futuro governo. Il favorito è uno solo: il primo ministro Narendra Modi, 73 anni, leader del partito nazionalista indù di estrema destra Bharatiya Janata Party (BJP). Al contrario del leader dell’opposizione Rahul Gandhi, nipote di Indira e pronipote di Nehru, Narendra Modi è figlio di un povero chaiwallah, o venditore di tè. Il fatto che un appartenente alle classi inferiori sia diventato primo ministro costituisce un potente appeal per l’uomo comune, che in lui si riconosce. Modi, che gode di un indice di gradimento stellare intorno al 75% stando ai sondaggi più recenti, pare destinato a incassare il suo terzo mandato consecutivo. E’ stato lui il pioniere della trasformazione economica dell’India, grazie a un’attenta pianificazione, a massicci investimenti nelle infrastrutture di trasporto –autostrade, ferrovie, porti, aeroporti – e della rete elettrica. Grazie alla digitalizzazione dei pagamenti, che ha abbattuto l’evasione fiscale e alla produzione di veicoli elettrici, che stanno per invadere il mercato mondiale. Se tutto questo parla di una nuova India in ascesa, lo stesso vale per il programma spaziale. Il Paese può infatti vantare l’atterraggio di un veicolo spaziale sul polo sud della Luna e una missione verso il sole. Il primo ministro si presenta quindi alle elezioni sulla scia dell’economia in più rapida crescita al mondo. A differenza della vicina Cina, la sua popolazione è in aumento. Il vanto di avere la nazione più popolosa del mondo - 1,4 miliardi di persone - gli permette di affermare che è l’India è la più grande democrazia del pianeta.
Anche la posizione dell’India sulla scena globale sta diventando più ambiziosa. L’anno scorso Modi ha annunciato il “corridoio India-Medio Oriente-Europa”, visto come strumento per creare posti di lavoro e collegare il Paese ai mercati globali. L’India è inoltre un membro attivo del Quad – un’alleanza di sicurezza che coinvolge Stati Uniti, Australia e Giappone il cui obiettivo è controbilanciare la Cina – e ha siglato nuovi accordi di difesa con Vietnam e Indonesia. Quanto alla relazione con la Russia, il governo si è astenuto dalle votazioni chiave dell’ONU che condannavano la guerra in Ucraina. Già il più grande acquirente di armi russe, l’India ora importa più di un milione di barili al giorno di petrolio russo scontato, sanzionato altrove.
Modi non ha nulla da temere dall’esito delle elezioni. Sa che vincerà. Ma per il programma che si è prefissato, deve non solo vincere ma stravincere. Per questo per mesi durante la campagna elettorale non si è risparmiato. Percorrendo il Paese in lungo e in largo ha pregato, digiunato, inaugurato autostrade, templi, ponti. Perché il suo obiettivo è conquistare con la sua coalizione 400 seggi sui 543 in palio nel nuovo Parlamento, il che gli garantirebbe la maggioranza dei due terzi necessaria per attuare il suo obiettivo: rimuovere lo status costituzionale di laicità del Paese. Data la sua straordinaria popolarità, non è un traguardo impossibile. Ma non è nemmeno così scontato come potrebbe apparire, perché molte sono le ombre che aleggiano su queste elezioni. Non tutti plaudono all’ immagine di uomo forte del primo ministro. Nei due precedenti mandati quinquennali Narendra Modi ha preso il controllo sui media, la magistratura, la polizia. Il suo governo ha tagliato i bilanci per la sanità e l’istruzione. Ha limitato le attività sindacali, incarcerato leader dell’opposizione e giornalisti. Il tasso di disoccupazione è così alto che il Ministero del Lavoro non fornisce più statistiche. Nel 2019 ha fatto approvare il Citizenship Amendment Act, che per la prima volta ha reso la religione un criterio per diventare cittadino indiano. Negli ultimi anni sono aumentati gli attacchi contro i musulmani – che costituiscono il 14% della popolazione- ma anche contro i sikh e i cristiani. E’ soprattutto questo a preoccupare: l’intenzione di Modi di trasformare uno stato laico in una nazione indù senza alcuna tutela delle minoranze.
Il Partito del Congresso Nazionalista (NCP), il più grande partito di opposizione indiano, non ha nessuna chance di vincere, anche a causa della divisione e la litigiosità dei suoi leader. Domina però nella parte più ricca e tecnologica del Paese: l’India sud-orientale, dove il BJP non è riuscito a prendere piede. E per raggiungere l’obiettivo dei 400 seggi e rimodellare l’India il BJP deve conquistare seggi nel Sud, laico e prospero: compito quanto mai arduo.
Quest’ anno circa metà della popolazione mondiale andrà alle urne in più di 80 Paesi per votare per nuovi leader e nuovi governi. I risultati sono di cruciale importanza: determineranno se le fragili democrazie ne usciranno rafforzate o se gli autocrati potranno aumentare il loro spazio di manovra. Si profila pertanto un nuovo ordine globale, dove l’India è nella posizione di stato chiave. Essendo ormai una potenza economica, attira investimenti da tutto il mondo. E’ diventata un partner importante per Paesi come Stati Uniti, Regno Unito e Francia, ma anche Norvegia e Emirati Arabi Uniti che hanno recentemente firmato accordi e perseguito rapporti più stretti con Delhi come contrappeso alla Cina.
Proprio perché l’India è il Paese più popoloso del mondo, con una delle economie in più rapida crescita, l’esito delle elezioni avrà un impatto anche a livello internazionale. Il 4 giugno quando verranno dichiarati i risultati sapremo se ha vinto la democrazia o se Narendra Modi potrà realizzare il suo obiettivo di rafforzare la sua presa sul potere e trasformare uno stato laico, unitario e coeso in uno stato fondamentalista religioso: un programma di esclusione che alienerebbe centinaia di milioni di indiani.
Anche la posizione dell’India sulla scena globale sta diventando più ambiziosa. L’anno scorso Modi ha annunciato il “corridoio India-Medio Oriente-Europa”, visto come strumento per creare posti di lavoro e collegare il Paese ai mercati globali. L’India è inoltre un membro attivo del Quad – un’alleanza di sicurezza che coinvolge Stati Uniti, Australia e Giappone il cui obiettivo è controbilanciare la Cina – e ha siglato nuovi accordi di difesa con Vietnam e Indonesia. Quanto alla relazione con la Russia, il governo si è astenuto dalle votazioni chiave dell’ONU che condannavano la guerra in Ucraina. Già il più grande acquirente di armi russe, l’India ora importa più di un milione di barili al giorno di petrolio russo scontato, sanzionato altrove.
Modi non ha nulla da temere dall’esito delle elezioni. Sa che vincerà. Ma per il programma che si è prefissato, deve non solo vincere ma stravincere. Per questo per mesi durante la campagna elettorale non si è risparmiato. Percorrendo il Paese in lungo e in largo ha pregato, digiunato, inaugurato autostrade, templi, ponti. Perché il suo obiettivo è conquistare con la sua coalizione 400 seggi sui 543 in palio nel nuovo Parlamento, il che gli garantirebbe la maggioranza dei due terzi necessaria per attuare il suo obiettivo: rimuovere lo status costituzionale di laicità del Paese. Data la sua straordinaria popolarità, non è un traguardo impossibile. Ma non è nemmeno così scontato come potrebbe apparire, perché molte sono le ombre che aleggiano su queste elezioni. Non tutti plaudono all’ immagine di uomo forte del primo ministro. Nei due precedenti mandati quinquennali Narendra Modi ha preso il controllo sui media, la magistratura, la polizia. Il suo governo ha tagliato i bilanci per la sanità e l’istruzione. Ha limitato le attività sindacali, incarcerato leader dell’opposizione e giornalisti. Il tasso di disoccupazione è così alto che il Ministero del Lavoro non fornisce più statistiche. Nel 2019 ha fatto approvare il Citizenship Amendment Act, che per la prima volta ha reso la religione un criterio per diventare cittadino indiano. Negli ultimi anni sono aumentati gli attacchi contro i musulmani – che costituiscono il 14% della popolazione- ma anche contro i sikh e i cristiani. E’ soprattutto questo a preoccupare: l’intenzione di Modi di trasformare uno stato laico in una nazione indù senza alcuna tutela delle minoranze.
Il Partito del Congresso Nazionalista (NCP), il più grande partito di opposizione indiano, non ha nessuna chance di vincere, anche a causa della divisione e la litigiosità dei suoi leader. Domina però nella parte più ricca e tecnologica del Paese: l’India sud-orientale, dove il BJP non è riuscito a prendere piede. E per raggiungere l’obiettivo dei 400 seggi e rimodellare l’India il BJP deve conquistare seggi nel Sud, laico e prospero: compito quanto mai arduo.
Quest’ anno circa metà della popolazione mondiale andrà alle urne in più di 80 Paesi per votare per nuovi leader e nuovi governi. I risultati sono di cruciale importanza: determineranno se le fragili democrazie ne usciranno rafforzate o se gli autocrati potranno aumentare il loro spazio di manovra. Si profila pertanto un nuovo ordine globale, dove l’India è nella posizione di stato chiave. Essendo ormai una potenza economica, attira investimenti da tutto il mondo. E’ diventata un partner importante per Paesi come Stati Uniti, Regno Unito e Francia, ma anche Norvegia e Emirati Arabi Uniti che hanno recentemente firmato accordi e perseguito rapporti più stretti con Delhi come contrappeso alla Cina.
Proprio perché l’India è il Paese più popoloso del mondo, con una delle economie in più rapida crescita, l’esito delle elezioni avrà un impatto anche a livello internazionale. Il 4 giugno quando verranno dichiarati i risultati sapremo se ha vinto la democrazia o se Narendra Modi potrà realizzare il suo obiettivo di rafforzare la sua presa sul potere e trasformare uno stato laico, unitario e coeso in uno stato fondamentalista religioso: un programma di esclusione che alienerebbe centinaia di milioni di indiani.
Fonte: di Giulietta Rovera