"LE COLPE DEI GIORNALI"
07-11-2023 - NO ALLA TERZA REPUBBLICA
di Marco Cianca
Titoli di prima pagina, sabato 4 novembre. I grandi giornali annunciano “la madre di tutte le riforme”. Il Corriere della Sera: “Sì al premierato, così sarà la riforma. Meloni: basta ribaltoni”. Amichevole. Libero: “Via alla riforma contro i ribaltoni”. Fiancheggiatore. Il Giornale: “Il Cambia Italia”. Entusiasta. Il Messaggero: “Premierato, via libera alla legge anti-ribaltoni”. Solidale. Il Tempo: “Primo sì alla riforma del premierato. Governi eletti dal popolo, stop ai tecnici”. Partecipativo. La Verità: “Contorsioni per evitare che possano decidere gli elettori” e “Una riforma che la fa finita con i re del Quirinale”. Squadrismo mediatico.
La Stampa: “Via al premierato, i dubbi di Meloni”. Spiazzante, la presidente del consiglio oppositrice di se stessa. Il Sole 24 Ore: “Via libera al premierato, superato il veto sul ballottaggio”. Neutro. L'Avvenire: “Un premier all'italiana”. Ironico ma tollerante. La Repubblica: “Assalto alla Costituzione”. Già sulle barricate. Il Manifesto: “Terza repubblichina”. Beffardo.
Di fatto, solo gli ultimi due quotidiani si schierano apertamente contro l'annunciato sovvertimento della Costituzione. Tra i contrari andrebbero aggiunti il Fatto Quotidiano, che comunque non si scalda più di tanto, il Domani, volenteroso ma donchisciottesco, e L'Unità, se avesse un qualche peso. Il Riformista di Matteo Renzi appare pronto a correre in soccorso della maggioranza mentre il Foglio fa l'avvocato difensore giudicando il dibattito in corso “ben peggio della riforma”.
Desolante. Un annunciato colpo di Stato, con un premier, o una premier, incoronato dal popolo e una legge elettorale che regalerebbe il 55 per cento dei seggi al partito o alla coalizione che prende un anche un solo voto più degli altri, meriterebbe un sonoro e unanime pernacchio. Anche perché si tratta di un conclamato pasticcio, tanto ridicolo quanto pericoloso. In ogni caso, l'obiettivo è chiaro; la dittatura della presunta maggioranza. Con buona pace dei diritti delle minoranze e degli organismi di garanzia, che verrebbero tutti occupati dai trionfatori, stile Rai.
Il Pd e i Cinque Stelle, persino Carlo Calenda, annunciano una netta opposizione. Ma dove sono gli intellettuali, dov'è la società civile? Dove sono i Girotondi, dove sono le Sardine? Una sorda recessione delle coscienze va di pari passo con l'acquiescenza dell'informazione. Slogan come “basta con gli inciuci e i giochi di palazzo” vengono riportati in modo stolido e compiacente quando invece andrebbero denunciati come insulti al sistema democratico, fatto di trattative, dialoghi, compromessi, convergenze.
Il danno è grave. Anni e anni di sputi sul parlamentarismo, troppo spesso avallati nella rincorsa di un fantomatico populismo, le forsennate campagne di stampa contro la casta, la demonizzazione dei costi della politica, il giustizialismo forcaiolo, hanno lacerato la fiducia nelle istituzioni delineate dai nostri padri costituenti. E la gente, come rivelano i sondaggi, è sempre più propensa ad un'elezione diretta e rabbiosa del capo, o capa, qualunque sia la formula. I grandi giornali hanno ancora tempo per emendarsi dalle proprie colpe. Lo faranno?
La Stampa: “Via al premierato, i dubbi di Meloni”. Spiazzante, la presidente del consiglio oppositrice di se stessa. Il Sole 24 Ore: “Via libera al premierato, superato il veto sul ballottaggio”. Neutro. L'Avvenire: “Un premier all'italiana”. Ironico ma tollerante. La Repubblica: “Assalto alla Costituzione”. Già sulle barricate. Il Manifesto: “Terza repubblichina”. Beffardo.
Di fatto, solo gli ultimi due quotidiani si schierano apertamente contro l'annunciato sovvertimento della Costituzione. Tra i contrari andrebbero aggiunti il Fatto Quotidiano, che comunque non si scalda più di tanto, il Domani, volenteroso ma donchisciottesco, e L'Unità, se avesse un qualche peso. Il Riformista di Matteo Renzi appare pronto a correre in soccorso della maggioranza mentre il Foglio fa l'avvocato difensore giudicando il dibattito in corso “ben peggio della riforma”.
Desolante. Un annunciato colpo di Stato, con un premier, o una premier, incoronato dal popolo e una legge elettorale che regalerebbe il 55 per cento dei seggi al partito o alla coalizione che prende un anche un solo voto più degli altri, meriterebbe un sonoro e unanime pernacchio. Anche perché si tratta di un conclamato pasticcio, tanto ridicolo quanto pericoloso. In ogni caso, l'obiettivo è chiaro; la dittatura della presunta maggioranza. Con buona pace dei diritti delle minoranze e degli organismi di garanzia, che verrebbero tutti occupati dai trionfatori, stile Rai.
Il Pd e i Cinque Stelle, persino Carlo Calenda, annunciano una netta opposizione. Ma dove sono gli intellettuali, dov'è la società civile? Dove sono i Girotondi, dove sono le Sardine? Una sorda recessione delle coscienze va di pari passo con l'acquiescenza dell'informazione. Slogan come “basta con gli inciuci e i giochi di palazzo” vengono riportati in modo stolido e compiacente quando invece andrebbero denunciati come insulti al sistema democratico, fatto di trattative, dialoghi, compromessi, convergenze.
Il danno è grave. Anni e anni di sputi sul parlamentarismo, troppo spesso avallati nella rincorsa di un fantomatico populismo, le forsennate campagne di stampa contro la casta, la demonizzazione dei costi della politica, il giustizialismo forcaiolo, hanno lacerato la fiducia nelle istituzioni delineate dai nostri padri costituenti. E la gente, come rivelano i sondaggi, è sempre più propensa ad un'elezione diretta e rabbiosa del capo, o capa, qualunque sia la formula. I grandi giornali hanno ancora tempo per emendarsi dalle proprie colpe. Lo faranno?