"LO SPIRITO REPUBBLICANO" di Paolo Bagnoli
22-02-2021 - EDITORIALE
Se volessimo andare per usualità giornalistiche potremmo dire che, con il governo di Mario Draghi, l’Italia è arrivata al traguardo della “quarta repubblica”. Infatti, se la prima è durata dal 1948 al 1994; la seconda, dal 1994 al 2018; la terza, ha coperto solo l’arco di due anni, nascendo nel 2018 con la strabordante affermazione dei 5Stelle.
Può essere pura pratica giornalistica, ma non solo poiché questi archi temporali hanno segnato stagioni precise della vita della Repubblica: mettere in colonna quella originaria fondata sui partiti; quella successiva caratterizzata dalla loro disgregazione e quella successiva nella quale il processo decompositorio della democrazia italiana ha maturato il proprio percorso con l’affermazione del populismo. Esso è divenuto, subito populismo di governo; prima con il Conte uno, presente la Lega, poi sempre con Conte presente il Pd. Il primo periodo della Repubblica è durato 46 anni ed è caduto per Tangentopoli; il secondo, 24 anni e, il terzo solo due anni. Il tramonto della democrazia dei partiti – senza, peraltro, assolvere le pratiche corruttive di cui sono stati protagonisti – ha sostanzialmente destabilizzato la struttura costituzionale della Repubblica che è stata concepita come un sistema fondato sui partiti quali soggetti fondanti del meccanismo democratico del Paese e sul Parlamento quale organo centrale della rappresentanza e della sovranità. Sui partiti, corpi intermedi centrali e fondamentali per la relazione tra la gente e la politica, cui competeva pure la selezione della classe politica.
La rinuncia allo strumento partitico ha innestato un processo corruttivo dello spirito e dei valori repubblicani. L’egemonia berlusconiana ha rappresentato il primo scenario di sfarinamento del senso stesso della politica democratica; l ’opposizione, anche quando è risultata vincente, non ha saputo contrapporre niente di veramente alternativo al fenomeno e la sua esperienza di governo basata su formule evocative e fasulli esperimenti innovativi, ha dimostrato solo il proprio non essere all’altezza del momento, il non aver capito a quale bivio la vicenda postangentopoli poneva il Paese. E’ bastato il torpiloquio di un comico della riserva, unito alle fantasticherie lunari di un predicatore che indicava la terra promessa di una nuova democrazia negante e destrutturante un’intera storia, per insediare il populismo. Il resto e le conseguenze di ciò è una vicenda che ci porta all’odierno, al contempo drammatico e paradossale.
Se vogliamo continuare nella periodizzazione delle stagioni della Repubblica, il governo di Mario Draghi inaugura una quarta fase, quella della “responsabilità di avviare una Nuova Ricostruzione”, come egli ha detto nel discorso di presentazione alle Camere. Speriamo ci riesca poiché proprio di ricostruire c’è bisogno. Draghi ha definito il suo gabinetto “semplicemente il governo del Paese”, motivandolo con richiami precisi a un qualcosa che non si sentiva da tempo, a nostra memoria, risuonare nelle aule parlamentari; vale a dire a “lo spirito repubblicano di un governo che nasce in una situazione di emergenza raccogliendo l‘alta indicazione del capo dello Stato.”
Su queste pagine abbiamo spesso richiamato la necessità, per la ripresa dell’Italia, del recupero dello spirito repubblicano, fattore fondamentale per avere un’indispensabile bussola positiva per leggere la situazione e operare, appunto, in una logica ricostruttiva. La ragione è perché, ha detto sempre Draghi riferendosi al governo da lui presieduto, ”siamo tutti semplicemente cittadini italiani, onorati di servire il proprio Paese, tutti ugualmente consapevoli del compito che ci è stato affidato. Questo è lo spirito repubblicano del mio governo.”
Così dicendo Draghi ha evidenziato una questione di moralità politica fondamentale. Vogliamo sperare che le forze che lo sostengano l’abbiano capito anche se le loro prime mosse non sembrano andare in tale direzione e, pure, di non aver capito bene cosa sia effettivamente successo con l’uscita di scena di Giuseppe Conte.
Tralasciando le buone intenzioni programmatiche – al proposito va detto che, finalmente, Draghi non ha contrapposto il pubblico al privato e viceversa - ci ha colpito il ritorno alla dimensione etico-politica della questione nazionale; della politica, ossia dello Stato.
Replicando al dibattito svoltosi alla Camera Draghi ha pronunciato parole importanti in merito al rapporto tra i cittadini e i processi decisionali pubblici che devono svolgersi “in un virtuoso rapporto di collaborazione tra istituzioni e collettività amministrate, che veda rispettato il principio del coinvolgimento attivo della cittadinanza nelle scelte e riesca ad alimentare e consolidare la fiducia nelle istituzioni ma anche il necessario controllo sociale.”
Vedremo se così sarà, naturalmente. Di sicuro, il richiamare lo spirito repubblicano quale “fiducia reciproca nella fratellanza nazionale, nel perseguimento di un riscatto civico e morale”, Draghi ha dimostrato di essere all’altezza del momento. Ha dimostrato di essere classe politica nel mezzo di una mediocrità generalizzata che sa solo fare dichiarazioni. E l’Italia ha necessità di avere una classe politica degna di questo nome come l’aria che si respira.
E’ chiaro che non tutto dipenderà da lui; ma le sue parole hanno rimesso in alto l’operare della politica e la dignità dello Stato; di ciò non possiamo che dargliene atto. I fatti che verranno, diranno.