NEL CENTENARIO DELLA MORTE OFFESA LA MEMORIA DI GIACOMO MATTEOTTI di Sergio Castelli
23-07-2024 - CRONACHE SOCIALISTE
Il 6 giugno scorso, il governo Meloni presentando a Palazzo Piacentini, attuale sede del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), retto da Adolfo Urso, un francobollo ordinario appartenente alla serie tematica “lo sport” (nella foto 1 un momento della presentazione), fatto stampare dall'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. in 125.000 esemplari (francobollo “B” con valore pari a euro 1,25), per celebrare il 140° anniversario della nascita di Italo Foschi, fascista della peggior specie, che tra l'altro sostenne la legittimità dell'omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti, politico, giornalista e antifascista italiano, ha offeso la memoria del Parlamentare e Segretario del Partito socialista unitario (PSU), assassinato dai fascisti il 10 giugno 1924, per le sue idee.
Italo Foschi (nella foto 2 la cartolina obliterata) fu gerarca fascista, organizzatore dello squadrismo romano, fedelissimo di Benito Mussolini ma soprattutto noto per essersi congratulato con Amerigo Dumini (squadrista che funse da segretario privato di Cesare Rossi, capo dell'ufficio stampa di Mussolini, fu membro della Ceka del Viminale - allora sede della presidenza del Consiglio dei Ministri - e capeggiò la squadraccia che sul Lungotevere Arnaldo Da Brescia sequestrò e assassinò il deputato socialista Giacomo Matteotti), scrivendogli che era un “eroe ed era degno della loro ammirazione” per l'assassinio di Giacomo Matteotti, uomo libero, coraggioso, ucciso da cinque squadristi fascisti e il cui corpo fu ritrovato circa due mesi dopo l'omicidio nella Macchia della Quartarella, un bosco, nel comune di Riano, a 25 km da Roma.
Chi era Italo Foschi?
Nato a Corropoli, in provincia di Teramo, il 7 marzo 1884, nel 1906 si laurea in giurisprudenza a Roma. Nel 1908 entra alla Corte dei conti come scrivano straordinario avventizio; lascia la Corte nel 1922, per dedicarsi alla vita politica, avendo raggiunto il grado di segretario di prima classe. Nazionalista della prima ora, nel 1911 seguì l'esempio del padre e si iscrisse all'Associazione nazionalista italiana (ANI), di cui divenne segretario della sezione romana nel 1918 e, dal gennaio al marzo 1923, segretario della federazione laziale. Dopo la fusione dell'ANI col Partito nazionale fascista (marzo 1923) entrò nel fascio di combattimento romano. Chiamato a far parte della commissione riorganizzatrice di quest'ultimo, nominata nell'agosto del 1923 da Roberto Farinacci, dal 15 agosto 1923 fu messo a capo della federazione laziale sabina, prima come commissario straordinario poi come segretario federale, sino al 3 gennaio 1924. Nel dicembre 1923 entrò a far parte del nuovo direttorio del fascio, ottenendo il più alto numero di preferenze tra gli eletti, e dal febbraio 1924 al dicembre 1926 fu segretario politico del fascio romano, succedendo a Gaetano Polverelli. Negli anni in cui resse la segreteria attuò una riforma dell'ordinamento interno del fascio che fu riorganizzato su base rionale con il fine di diffondere il fascismo nei quartieri popolari (luglio 1924). Sempre in quegli anni fu coinvolto in numerose aggressioni contro gli avversari politici del fascismo, fungendo, tramite Cesare Rossi, da punto di riferimento di Benito Mussolini per l'organizzazione di azioni squadriste nella capitale.
Nel novembre del 1923 fu tra gli organizzatori dell'aggressione alla residenza romana di Francesco Saverio Nitti, l'11 aprile 1924 organizzò spedizioni contro le sedi di alcuni giornali dell'opposizione e ancora, dopo la seduta alla Camera dei deputati del 30 maggio 1924, fu incaricato, insieme con altri dirigenti del fascio, di dar vita a una dimostrazione contro i deputati dell'opposizione. Dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti fu chiamato a far parte del direttorio nazionale provvisorio del Partito fascista, nominato da Mussolini il 16 giugno in sostituzione del quadrunvirato, dove rimase sino alla nomina di un nuovo direttorio da parte del Consiglio nazionale del partito (8 agosto). Nei mesi seguenti l'omicidio del deputato socialista, la sua posizione fu di netto e deciso appoggio al duce e al fascismo; sostenne anche apertamente la campagna contro la massoneria dalle colonne di Roma fascista, il settimanale nato il 19 luglio 1924 e da lui diretto insieme con Umberto Guglielmotti, con l'obiettivo di «affermare l'unità inscindibile e saldissima della disciplina fascista, messa a dura prova dalle umiliazioni e dalle provocazioni di questo ultimo mese».
Dopo il ritrovamento del corpo di Giacomo Matteotti, avvenuto il 16 agosto 1924, Roma fascista pubblicò (6 settembre 1924) Un appello ai fascisti romani con il quale Italo Foschi, segretario del fascio, incitava i suoi gregari alla ricostruzione delle squadre. Questa volta però la ripresa squadrista, che si verificò durante gli ultimi mesi dell'anno in tutto il paese, danneggiò anche il Foschi, che, prima provvisoriamente e poi in modo definitivo, fu allontanato dalla segreteria del partito.
Nell'ottobre 1925 fu espulso dal partito in seguito alle tentate aggressioni contro le sedi di entrambe le massonerie, avvenute il 12 ottobre nella capitale, dopo che il Gran Consiglio del fascismo aveva deciso lo scioglimento delle squadre (5 ottobre 1925). L'espulsione durò pochi giorni - venne riammesso in occasione dell'anniversario della marcia su Roma, per ordine di Farinacci - ma nel dicembre del 1926 il Foschi fu infine costretto ad abbandonare sia la segreteria del fascio romano sia quella della federazione dell'Urbe, a capo della quale era stato nominato il 17 marzo 1926.
Dopo la sostituzione di Farinacci con Augusto Turati alla segreteria nazionale politica del partito (marzo 1926) il Foschi fu, infatti, perentoriamente «invitato… a diminuire per proprio conto (e a impedire ai suoi coadiutori) tutti gli eccessi di inopportuno esibizionismo». Alle critiche che gli piovevano dall'alto «per non aver soppresso convenientemente lo squadrismo, e di esserne stato coinvolto, si aggiunse una violenta contestazione» proveniente dalla stessa base fascista, e la sua posizione divenne sempre meno sostenibile. Infine, verso la metà di dicembre, Guglielmotti fu nominato in sua vece segretario federale dell'Urbe, suscitando un notevole consenso nelle file fasciste. Scopo dell'avvicendamento voluto da Mussolini fu l'immediata depoliticizzazione della federazione dell'Urbe.
Lasciata la carica di segretario federale (sui fatti di quell'anno riferì lo stesso Foschi in Un anno d'intransigenza fascista a Roma, Roma, 1926), il Foschi restò comunque nei ranghi della federazione dell'Urbe; nel 1928 lo troviamo vicepresidente dell'ente sportivo provinciale della federazione; fu anche consigliere della Federazione italiana del gioco del calcio nonché presidente dell'Associazione sportiva "Roma", da lui fondata il 7 giugno 1927 riunendo le tre associazioni sportive della capitale, vale a dire: Alba-Audace, Fortitudo-Pro Roma e Foot Ball Club di Roma (meglio noto come Roman).
Nel 1929 fu nominato segretario federale della provincia della Spezia (28 febbraio-1° luglio), dopo di che iniziò la carriera di prefetto, che durerà sino al 1943. Dal 16 luglio 1929 al 16 maggio 1931 fu a Macerata; a Pola, dal 16 maggio 1931 al 10 settembre 1933; a Taranto, dal 20 gennaio 1934 al 1° agosto 1936; a Treviso, dal 1° agosto 1936 al 1° agosto 1939; a Trento, dal 21 agosto 1939 al 16 agosto 1943.
Con la caduta del fascismo fu collocato a riposo; aderì, quindi, alla Repubblica sociale italiana, per conto della quale fu a Belluno, come "capo di provincia", dal 24 settembre al 4 novembre 1943. In seguito, nominato dall'amministrazione militare tedesca della zona d'operazioni delle Prealpi, fu “prefetto commissario” delle province di Bolzano, Trento e Belluno. In questa veste non risparmiò il proprio generoso impegno accanto ad alcuni famigerati capi delle SS, tra i quali Wolfram Sievers, il colonnello che faceva collezione di crani e scheletri, dopo aver scelto accuratamente le vittime tra i suoi prigionieri. Per ragioni scientifiche, naturalmente: antropometria. Per catalogare gli autentici ariani.
Dopo la Liberazione Italo Foschi fu processato per avere partecipato alla Repubblica sociale e quindi assolto (o forse amnistiato).
Tornato a Roma, riprese i contatti con l'ambiente sportivo romano. Morì a Roma il 20 marzo 1949, colpito da una paralisi cardiaca, mentre allo Stadio Nazionale assisteva alla partita di calcio Lazio-Genoa (5-1) e dagli altoparlanti si diffuse la notizia della sconfitta al campo sportivo Luigi Ferraris della Roma contro la Sampdoria (2-0).
Il francobollo di Italo Foschi segue nel tempo l'altro gesto compiacente al fascismo, fatto da Renata Polverini, allora presidente della Regione Lazio, che ad Affile [RM], vicino Subbiaco, nel 2012 non si oppose alla costruzione, con i soldi del contribuente, costo 127mila euro presi dai fondi stanziati dalla Regione per il «completamento del parco di Radimonte», del mausoleo al maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani detto “Leone di Neghelli”, governatore della Cirenaica prima e viceré dell'Etiopia dopo, dispotico governante dell'Etiopia e della Somalia, ministro della Difesa di Salò, fu «il più sanguinario assassino del colonialismo italiano». Nel 1930 il maresciallo d'Italia coordinò la deportazione dalla Cirenaica di centomila uomini, donne, vecchi, bambini costretti a marciare per centinaia di chilometri in mezzo al deserto fino ai campi di concentramento allestiti nelle aree più inabitabili della Sirte. Diecimila di questi poveretti morirono in quel viaggio infernale. Altre decine di migliaia nei lager fascisti. Nel 1935 ordinò l'uso di gas asfissianti, iprite e fosgene (vietato dalla convenzione di Ginevra del 1925, ma autorizzato da Mussolini), contro la popolazione civile causando la morte di migliaia di etiopi. Il corpo gassoso usato provoca la necrosi del protoplasma cellulare ed è sicuramente mortale con inenarrabile sofferenza per gli esseri viventi.
Fu ancora lui a scatenare nel '37 la rappresaglia in Etiopia per vendicare l'attentato che gli avevano fatto i patrioti. Trentamila morti, secondo gli etiopi.
Negli stessi giorni, accusando il clero etiope di essere dalla parte dei patrioti che si ribellavano alla conquista, Graziani ordinò al generale Pietro Maletti di decimare tutti, ma proprio tutti i preti e i diaconi di Debrà Libanòs, quello che era il cuore della chiesa etiope. Una strage orrenda che secondo gli studiosi Ian Leslie Campbell e Degife Gabre- Tsadik, autori de La repressione fascista in Etiopia, vide il martirio di almeno 1.400 religiosi vittime d'un eccidio affidato, per evitare problemi di coscienza, ai reparti musulmani inquadrati nel regio esercito italiano.
Graziani fu processato dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 2 maggio 1950 condannato a 19 anni di carcere (poi, tramite le amnistie, scontò solo 4 mesi di prigione), ma i reati che gli furono contestati riguardarono il suo ruolo di capo militare delle forze della Repubblica di Salò per avere, dopo l' 8 settembre 1943 e fino al maggio 1945, «in Roma e nei territori dell'Italia del Nord, commesso delitti contro la fedeltà dello Stato, collaborando con il tedesco invasore: e ciò col farsi animatore, organizzatore e capo dell'esercito dei rinnegati e traditori al soldo del governo fascista repubblicano e con l'assumere la carica di ministro per la difesa nazionale dello stesso governo ed emanando, in tale qualità, ordini di rastrellamento e bandi, con minaccia di pene terroristiche, disponendo rastrellamenti sistematici, reprimendo con le armi ogni attività dei patrioti contro i tedeschi, facendo così affrontare alle truppe da lui comandate, sino alla disfatta, combattimenti di una guerra fratricida contro gli Italiani». Graziani non fu mai processato per i crimini commessi in Etiopia, sia durante l'invasione che dopo, durante il periodo in cui ebbe la carica di viceré. Graziani fu invece definito dalla Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra (United Nations War Crime Commission) un criminale di guerra per aver comandato l'uso di 300 tonnellate di gas tossici, vietati da tutte le convenzioni, e per aver ordinato rappresaglie indiscriminate e persino per aver prescritto il massacro di 1.400 sacerdoti e religiosi etiopi. L'Etiopia chiese la sua estradizione per processarlo, ma la richiesta non fu mai accolta.
Rodolfo Graziani partecipò poi alla vita politica italiana come presidente onorario del Movimento Sociale Italiano (MSI), dal quale però uscì nel 1954 e nel gennaio 1955 muore a Roma.
In contrapposizione alle rimostranze degli antifascisti in occasione dell'inaugurazione del mausoleo, sabato 11 agosto 2012 (cerimonia presenziata dall'allora assessore regionale ai trasporti Francesco Lollobrigida, cognato di “Giorgia” e oggi ministro dell'Agricoltura in Italia), Francesco Storace arrivò a dettare all'Ansa una notizia intitolata «Non infangare Graziani» e a sostenere falsamente che «nel processo che gli fu intentato nel 1948 fu riconosciuto colpevole e condannato a soli due anni di reclusione per la semplice adesione alla Rsi».
Si dirà che Rodolfo Graziani eseguiva solo degli ordini, ma anche Heinrich Himmler, anche Joseph Mengele, anche Max Simon, che macellò gli abitanti di Sant'Anna di Stazzema e di Vinca, si discolpavano e dicevano la stessa cosa, ma nessuno ha mai speso soldi pubblici per erigere loro un infame mausoleo o produrre e stampare un turpe francobollo, in deroga alla norma che prevede la possibilità di ricordare con opere le persone che si sono distinte nella storia d'Italia per servizi offerti alla Patria.
L'iniziativa filatelica di oggi pro Italo Foschi (nella foto 3 la stampigliatura di annullo del francobollo), così come il mausoleo di Affile pro Rodolfo Graziani, mette nuovamente in luce l'atteggiamento negazionista e revisionista di fatti storici ed è il peggior messaggio per i nostri giovani dato che in Italia e altrove non possono esserci simboli di una cultura fascista che è stata sconfitta dalla Storia. Doveroso quindi denunciare questa grave offesa alla Repubblica democratica e antifascista, gridando tutto il nostro disappunto a un governo che onora chi era dalla parte sbagliata della Storia. Opportuno quindi che l'attuale governo, dopo l'emissione filatelica dedicata a Matteotti (nella foto 4) nel centenario della scomparsa e una precedente a Guglielmo Marconi, senza dimenticare la celebrazione in tutta Europa dell'ottantesimo anniversario dello sbarco degli Alleati in Normandia, comunichi oggi, per le ragioni sopraddette, l'incenerimento dei restanti francobolli con l'effige del gerarca Italo Foschi anche perché, secondo le Linee Guida del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che sovraintende alle emissioni, la celebrazione di persone su carta valore postale, deve riguardare personaggi che «interpretano il sentimento della Comunità Nazionale». Evidentemente all'attuale governo sembra non solo normale ma anzi degno di nota celebrare un picchiatore fascista, tra l'altro a poche ore dal centenario dell'uccisione di Giacomo Matteotti, per la quale Foschi si complimentò con l'assassino Dumini. Costituzionalmente corretto essere di destra ma ossequiare l'abominio dei fascisti è antistorico e orripilante: “errare humanum est, perseverare autem diabolicum”.
Fonte: di Sergio Castelli