"FUKUYAMA"

26-02-2019 -

Donald Trump e anti-globalizzazione, movimenti nazionalisti in aumento e recrudescenza dell’Islam militante, ascesa dell’autoritarismo negli stati post-comunisti e ritorno del populismo sono analizzati da Francis Fukuyama nel suo ultimo saggio: “Identity – Contemporary Identity Politics and the Struggle for recognition”. Che cosa intende Fukuyama, politologo di fama mondiale nonché docente di Storia delle istituzioni politiche alla Stanford University in California, per “identity politics”? In sostanza, la lotta per la rivendicazione di rispetto e di uno status da parte di gruppi diversi: siano questi gli americani bianchi dei paesi centrali degli Stati Uniti come gli immigrati mussulmani in Danimarca.
Scrive Fukuyama: nel XX secolo la politica è stata definita dallo spettro destra-sinistra: la sinistra che voleva maggiore eguaglianza, la destra maggiore libertà. Oggi, invece, stiamo vivendo in un periodo di grandi capovolgimenti politici: la sinistra si focalizza nel promuovere gli interessi di gruppi considerati marginali - neri, immigrati, donne, la comunità LGBT, rifugiati e così via; la destra, quelli dei “patrioti che cercano di proteggere l’identità nazionale tradizionale, spesso connessa con razza, etnia o religione”. Anche se questo è un modo di guardare alle cose pervaso di americanismo, chiunque può scorgervi parallelismi con l’Italia come con la Gran Bretagna, dove il Labour Party protegge i diritti di immigrati mussulmani, gay e trasgender, rifugiati e donne che cercano maggiore eguaglianza; mentre la rivolta in favore della Brexit è rivendicata dai bianchi della costa e della zona industriale del nord, che sentono la propria identità nazionale sotto attacco.
Dice Fukuyama: fin dai tempi di Socrate, l’individuo ha rivendicato il diritto alla dignità, al rispetto e al riconoscimento della propria identità. Quando queste esigenze vengono negate, insorgono risentimenti. Oggi stiamo assistendo alla nascita di gruppi sempre più piccoli che rivendicano dignità e riconoscimento, pronti a lottare contro l’ingiustizia delle vecchie strutture di potere. Ma tutto questo produce problemi. Suddividere la società in gruppi sempre più piccoli, indebolisce le democrazie liberali. Non solo. Quando le politiche di identità (identity politics) sono utilizzate da una maggioranza, si può produrre un nuovo ordine minaccioso e intimidatorio. E’ quanto sta accadendo in Occidente, nella maggioranza bianca dell’America di Trump come nell’Ungheria di Orban, dove l’intolleranza delle culture delle minoranze è probabilmente la più grossa sfida politica del nostro tempo.
Non c’è dubbio che tutto questo ha dato inizio al declino politico delle democrazie occidentali. Fukuyama identifica cinque stadi in questa strada in discesa. Primo, la trasformazione delle moderne democrazie liberali, a causa dei rapidi cambiamenti sociali. Secondo, la globalizzazione, che crea esigenze di riconoscimento da parte di gruppi prima invisibili. Terzo, la percezione di un abbassamento della percezione del proprio status e della propria identità in tali gruppi, il che conduce, quarto, a una forte reazione. Infine, ripiegando le parti in identità ancora più ristrette, si pregiudica la possibilità di un’azione collettiva, il che conduce alla “disgregazione e al fallimento”. Stante la vecchia politica, potevi non essere d’accordo ma non chiamavi il tuo avversario “nazista”. Ma se le tue idee politiche sono radicate nel profondo di te stesso, e ritieni che la tua identità non sia stata adeguatamente riconosciuta, allora, dal punto di vista emozionale, sei convinto di combattere una guerra, non di condurre una discussione. Gli effetti verbali sono lampanti su Twitter e Facebook. Che si può fare? Occuparsi di questi cambiamenti richiede nuovi modi di pensare alla politica, incluso un nuovo linguaggio. Fukuyama invoca una cittadinanza europea, una riforma della legge sull’immigrazione e un’assimilazione più efficace delle minoranze. Soluzioni encomiabili, ma non facilmente raggiungibili.



Fonte: di GIULIETTA ROVERA