Il caso Palamara-Lotti sta agitando la placida vita della magistratura italiana che pare abbia scoperto solo ora come, suo malgrado, la gestione dell’ordine giudiziario possa subire inquinamenti di varia natura. Lo shock prodotto da questo intreccio politico-giudiziario è stato certamente molto forte.
Tutti i soggetti interessati – a partire dal Quirinale che si chiama fuori da ogni contaminazione – cercano di ridurre il caso a un episodio conviviale, sia pure grave ma isolato: una cena a lume di candela tra magistrati del CSM e politici, che non ne fanno parte, con chiacchiere in libertà sulla nomina di qualche procuratore della repubblica, sia pure importante come quello di Roma (ma i procuratori della repubblica non sono tutti importanti?).
Come si sa, una rondine non fa primavera!
Il fatto però che si tratti di un episodio conviviale ci fa sovvenire un celebre aforisma: in vino veritas!
Non è vero che le nomine dei magistrati, i procedimenti disciplinari, etc. etc., sono stati sempre al centro di trattative più o meno lampanti tra le correnti della magistratura organizzata in associazione con la politica: chi non ricorda la battaglia che si svolse tra le ‘correnti’ politico-giudiziarie nel CSM intorno alla nomina di Giovanni Falcone a capo dell’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo?
Si può negare che queste correnti abbiano una matrice politico-partitica?
Il c.d. organo di autogoverno della magistratura, il CSM, esiste dal 1907 e ha operato sia sotto la monarchia che sotto il fascismo.
Con quale indipendenza?
Siamo tutti montesquieuviani ma ci permettiamo di dubitare che soltanto lo stato assoluto o quello totalitario o, in Italia, soltanto il fascismo possano interferire con il potere giudiziario.
Non è vero che la procura di Roma ha avuto in tempi recenti la fama di porto delle nebbie? Non è vero che un famoso Procuratore capo del Tribunale di Milano, dichiarò che l’inchiesta c.d. mani pulite potette svolgersi soltanto dopo la caduta del muro di Berlino?
Forse egli intendeva dire che, prima di questa caduta liberatoria, la magistratura aveva le mani politicamente legate. E perché avrebbe dovuto averle legate? Chi o che cosa le impediva di adempiere al suo dovere se non i suoi legami con la politica?
Proprio al fine di garantire la piena indipendenza della magistratura ordinaria, l’art. 104 della costituzione ha conferito al CSM dignità di organo costituzionale – carattere che è stato sottolineato con ancora maggiore evidenza affidandone la presidenza al Presidente della Repubblica – e poteri quasi assoluti di autogoverno.
Il Presidente della Repubblica presiede anche altri organi come il Consiglio supremo di difesa, e non solo formalmente perché indice le sue riunioni e vi partecipa e, certamente, non fa mancare il suo parere autorevole; egli ha pure il comando supremo delle forze armate: forse questo è ancora una carica formale – un altro dei retaggi della monarchia – ma ha un senso perché la costituzione non ha visto nel Presidente del consiglio dei ministri quella autorità politica stabile cui è necessario sottoporre, in democrazia, l’autorità militare.
Nel caso del CSM, si tratta invece di una presidenza sostanzialmente formale perché la funzione è di fatto esercitata dal vicepresidente, eletto dal CSM tra i suoi cosiddetti membri laici e che è né più né meno che un autorevole politico anzi un rappresentante del partito politico cui appartiene.
Bisognerebbe però ripensare al carattere formale di questa carica di presidente del CSM che il Presidente della Repubblica ricopre. Infatti questa ibridazione, questa surroga, non giova alla funzionalità quell’organo né permette di sottrarre il Presidente alla responsabilità di quanto vi avviene. Il Presidente della Repubblica, come presidente del CSM, non è una foglia di fico e non lo può diventare. Per tenerlo fuori da quella responsabilità, non basta affermare, come ha fatto l’attuale vicepresidente Ermini, che il Presidente della Repubblica non sa nulla delle nomine dei magistrati. Sarebbe necessario che il Capo dello Stato o partecipi direttamente ai lavori di quell’organo o ne esca formalmente e definitivamente.
Un autorevole ‘quirinalista’ del Corriere della Sera scrive che, dopo la scoperta di questo ‘verminaio’, il Presidente della Repubblica vuole «voltare pagina presto».
Ma non era il caso di voltarla prima?
Il Presidente della Repubblica, nella qualità di presidente del CSM, anche allo scopo di restituire a quest’organo il prestigio e l’autorevolezza intaccati da quest’organo, ha accettato all’istante le dimissioni di due dei membri togati del Consiglio coinvolti nella penosa vicenda ma pare che si sia rifiutato financo di pensare ad un suo possibile scioglimento soprattutto perché, a suo avviso, sarebbe necessario che si faccia prima una riforma delle norme che ne regolano l’elezione.
Come nominare i componenti del CSM? A parte il fatto che, una riforma non sarebbe ottenibile in tempi brevi anche per le battaglie che si svolgerebbe intorno al sistema da adottare (e sappiamo bene che, dalle nostre parti, i sistemi elettorali vengono piegati alle esigenze di parte, ai calcoli dei loro effetti rispetto al potere che si vuole ottenere o conservare), non v’è dubbio che non è solo il metodo d’elezione che va riformato bensì, e soprattutto, il CSM stesso nei suoi poteri e nel suo funzionamento.
Se la magistratura deve governarsi da sé, e su questo non possiamo avere alcun dubbio, è bene che si pensi ad altre modalità di funzionamento del CSM; è necessario che lo si liberi da ogni rapporto con la politica e con gli altri poteri dello stato.
Per sottrarre il funzionamento di quell’organo alle varie trattative politiche e quindi limitarlo a una gestione indipendente e onesta delle vicende dei magistrati, forse non basterebbe sorteggiarne i componenti ma ciò sarebbe senz’altro utile per far cessare le modalità sguaiate della campagna elettorale per la loro elezione.
Senza illudersi che si possa trovare la soluzione perfetta, bisogna ripensare anche alle modalità di formazione e di nomina dei magistrati:la nomina politica o l’elezione – a tempo o a vita – oppure i concorsi.
Questi ultimi, sia per il reclutamento che per gli avanzamenti di carriera e la copertura dei vari uffici giudiziari, hanno i difetti che tutti conosciamo, dal familismo al correntismo, etc.., ma forse rimangono il criterio di selezione meno pericoloso se si riuscisse ad attenersi a parametri di merito. Una pia illusione?