"SHORT-TERMISM"

22-06-2020 -

La Comunità Europea, dopo un inizio stentato all'apparire della pandemia quando l'egoismo nazionale sembrava essere l'unica guida della politica rischiando di disintegrarla, ha cambiato completamente registro mettendo a disposizione degli Stati membri una notevole potenza di fuoco in prestiti praticamente a tasso zero ed in contributi a fondo perduto, attraverso Mes (European Stability Mechanism), Sure (Support to mitigate unemployment risks in emergency), Bei (European Investment Bank) e Next Generation EU (meglio noto come Recovery Fund) che assommano a circa 2.300 miliardi a cui si deve aggiungere la sospensione da parte della BCE (European Central Bank) della limitazione per l'acquisto di Titoli di Stato e bond emessi da enti internazionali e sovranazionali nel suo nuovo programma straordinario e temporaneo PEPP (Pandemic emergency purchase programme). La motivazione di questa scelta è quella di rispondere alle minacce poste all'economia e ai mercati europei dalla pandemia.
L'unico vincolo che la Comunità chiede è quello di presentare progetti coerenti con le finalità dei vari fondi. Il Recovery Fund è quello che non ha ancora una strutturazione ben definita a causa dell'opposizione di alcuni Paesi (il gruppo di Visegrád Polonia, Ungheria, Slovacchia e Cechia e i così detti paesi frugali Austria, Olanda, Danimarca, Svezia e la Finlandia).
Il negoziato sarà duro e nessuno è in grado di stabilire il punto di arrivo. Intanto il nostro Presidente del Consiglio potrebbe suggerire ai leaders europei recalcitranti la lettura di un libro scritto nel 1919, ma attualissimo, da John Maynard Keynes ed intitolato “Le conseguenze economiche della guerra”. Dove si spiega come i liberali inglesi (George Lloyd) abbiano sbagliato completamente l'impostazione politica alle elezioni generali del 1918. Se “si fossero imperniate su una visione di prudente generosità invece che di avidità imbecille, quanto migliori potrebbero essere adesso le prospettive finanziarie dell'Europa” (Adelphi p. 124). Tanto per rimanere in tema ancora oggi attuale vale la pena di ricordare che un punto del programma elettorale di Lloyd prevedeva “Britain for British socialmente e industrialmente” (p.121). Più attuale di così!
Ritorniamo all'oggi. Il problema per l'Italia è abbastanza serio perché oramai da più di quaranta anni non esiste nel nostro Paese una capacità da parte delle classi dirigenti di progettare un percorso virtuoso rivolto al futuro. Addossare all'attuale Governo (che pure di errori ne ha fatti) tutte le colpe di cinquant'anni di inazione mi sembra ingiusto e politicamente sbagliato. Se non si riesce a fare un'analisi corretta dei nostri punti critici si fa soltanto spicciola propaganda politica. Siamo convinti che un sistema capitalista, per sua natura instabile, produce ricchezza soltanto attraverso la capacità dei suoi Animal spirits e del lavoro umano. Negli ultimi quarant'anni i nostri imprenditori di maggiore dimensione, coll'accordo di una classe politica a loro subalterna, hanno invece estratto ricchezza dal sistema produttivo. Mentre da un lato chiedevano meno imposte e meno costi per le imprese, dall'altro abbandonavano i settori merceologici dove l'Italia aveva posizioni di primo piano nello scacchiere internazionale per rifugiarsi nei meandri della finanza. La diminuzione dei costi, così come insistentemente richiesta, ed una riforma aziendalistica della Pubblica amministrazione (di cui parleremo fra poco) come richiedono gli imprenditori sono in grado di far crescere dimensionalmente l'industria italiana? La risposta non può che essere negativa. La gran parte della nostra industria si basa su un diffuso sistema di medie imprese, peraltro efficientissime, che fanno parte di filiere i cui centri decisionali sono tutti collocati all'estero. Quindi il problema principale non è quello dei costi, ma quello di far ingrandire le imprese. Su questo versante è notte fonda. L'attuale Presidente di Confindustria come contributo al fantasmagorico e francamente inutile dibattito di Villa Pamphili non ha saputo che , oltre al solito refrain sulle tasse, cercare, attraverso minacce ridicole, di partecipare direttamente alla spartizione degli aiuti comunitari.
L'altro tema ricorrente in questi giorni è quello della eccessiva pesantezza delle procedure amministrative. Molti sperano così di avere mano libera per compiere le più inverosimili nefandezze. In realtà il problema non risiede tanto nella quantità di documenti da produrre per avere il sospirato timbro, ma nella discrezionalità che i funzionari hanno rispetto all'oggetto della richiesta di autorizzazione. Questo stato di cose porta ad una inevitabile trattativa fra il pubblico funzionario e l'utente che rende opaco il rapporto. Non sarebbe più semplice fissare ex-ante quali sono i criteri e i documenti necessari per poter esercitare un'attività che ha bisogno della tutela pubblica?
Certo la grande assente da questo dibattito è la politica con la p maiuscola. Lo short termism, cioè l'ossessione che ha colpito il sistema economico per le performances a breve termine, si è trasferito alla politica attraverso i sondaggi che ogni giorno ci danno indicazioni sulle intenzioni di voto dei cittadini e sulle loro aspettative. Questo modo di intendere la politica ha portato al definitivo crollo dei partiti. Ve lo immaginate oggi un signore che predica di lottare per obbiettivi utopistici? I Partiti ci hanno messo del loro per raggiungere il ciglio del precipizio per poi caderci dentro. Parrebbe una questione di poco conto, in realtà l'art. 49 della nostra Costituzione attribuisce un ruolo fondamentale ai partiti. Non solo perché come recita "tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, ma in quanto i partiti costituiscono quel tessuto connettivo indispensabile, in una democrazia rappresentativa, fra cittadini e istituzioni per far funzionare correttamente il sistema.
Se non ripartiamo da qui temo che avremo quanto prima una diminuzione della qualità della nostra democrazia.



Fonte: di ENNO GHIANDELLI