Quando decidemmo di misurare empiricamente la collaborazione tra Alleanza Giellista e Critica liberale, gettandoci a capofitto nella creazione di un comitato per i referendum sulla Giustizia, nessuno di noi pensò che potessimo stravincere. Questi Referendum interessavano solo una modesta parte dei cittadini italiani, in particolare quelli che per sfortuna o per inciviltà si erano trovati ad avere a che fare con il sistema giudiziario italiano. Come tutte le istituzioni italiane, la Giustizia sconta, da sempre, mali e limiti inaccettabili, ma ai promotori del referendum questo non interessava. Essendo per lo più partiti di governo avrebbero potuto facilmente promuovere una riforma in parlamento. Ma la riforma che sta a cuore a questi personaggi la conosciamo bene: licenza totale per loro e per i loro sodali e restrizioni pesanti per gli emarginati, i poveri, i deboli. Nonostante il Parlamento abbia fatto di tutto per agevolarli: firme digitali, estensione del potere di autentica a Consiglieri Regionali, Parlamentari e avvocati, hanno avuto grosse difficoltà a raccogliere le 500.000 firme necessarie per presentare questi referendum. Allora hanno utilizzato un’agevole scorciatoia: il voto nei Consigli Regionali dove avevano una maggioranza, e così miracolosamente 9 regioni governate dalla destra hanno promosso il referendum. Nessuno dei consiglieri regionali di quelle regioni aveva messo nel suo programma elettorale “promozione di un referendum per la giustizia” ma loro, senza alcun mandato politico da parte dei loro elettori, hanno deciso di agevolare il referendum, sostenendo che la Giustizia è “di tutti” e che gli italiani dovessero esprimersi per poterla migliorare. In questo paese la rappresentanza della gente “per bene”, dei cittadini leali, rispettosi delle leggi, che pagano regolarmente le tasse, per troppi anni è stata appannaggio di soggetti politici populisti, talvolta anche “forcaioli”, era per noi un imperativo morale quello di affrontare, pur con mille dubbi, questa battaglia di civiltà, per respingere il tentativo di “vendetta” di una certa politica nei confronti della magistratura. Noi siamo orgogliosamente garantisti, ma non a giorni alterni, come la Lega. Siamo convinti che i mali della giustizia non si risolvono con l’eliminazione degli strumenti male utilizzati da alcuni giudici, ma si risolvono con serie riforme che garantiscano, come prevede la nostra Costituzione, un rapido processo. Lo strumento del referendum abrogativo era stato pensato per ben altro. Nell’idea, per certi versi ingenua, dei legislatori d’altri tempi, doveva essere uno strumento “eccezionale”, di assicurazione dei cittadini, nel caso il Parlamento avesse approvato leggi non allineate con il comune sentire della maggioranza dei cittadini. Quella richiesta di “verifica”, promossa da 500.000 elettori doveva portare all’attenzione dei cittadini questioni importanti, sentite, discusse e facilmente comprensibili. Divorzio e Aborto, per prendere due esempi classici, furono messi in discussione e il popolo si pronunciò in entrambi i casi confermando il deliberato del Parlamento. In altri casi, per esempio nucleare e acqua pubblica, il popolo decise di non condividere l’orientamento dei loro rappresentanti e le leggi relative furono abrogate. Ma i legislatori non potevano sapere che i “furbetti” avrebbero piegato i referendum ad altri scopi, violando il principio costituzionale che da prevalenza alla democrazia rappresentativa, ma non violando tecnicamente la norma. Quando è in gioco il funzionamento di uno dei poteri dello Stato, non si può giocare con i testi, levare due frasi, per cambiar senso alla legge e introdurre, surrettiziamente, un meccanismo riformatore al posto di uno abrogativo. In questa campagna referendaria ci siamo indignati di fronte alle pagliacciate di un Calderoli imbavagliato che protestava contro l’assenza di informazione. Ad ogni telegiornale di tutte le reti nazionali pubbliche e private veniva dedicato un ampio spazio all’informazione referendaria, la RAI ha messo in campo 75 dibattiti in diretta, stravolgendo il suo palinsesto. Per la prima volta nella storia dei referendum abrogativi il voto è stato abbinato a quello delle elezioni amministrative. Insomma le istituzioni hanno favorito questo referendum in modo ineguagliato e forse ineguagliabile, ciononostante l’80% degli elettori non ha partecipato al voto. La nostra posizione era scomoda, ma abbiamo sentito un dovere morale impedire questo scempio: il combinato disposto di un referendum distorto da abrogativo a propositivo, con il tentativo di trasformarlo infine in un plebiscito contro la Giustizia italiana, avrebbe definitivamente trascinato le istituzioni repubblicane nel fango e avrebbe annientato l’istituto stesso del referendum. Ancora una volta i cittadini hanno dimostrato di saper discernere e, forse grazie anche al nostro piccolo impegno, hanno colto l’opportunità di respingere la manovra populista e nichilista della peggior politica, quella che voleva “vendicarsi” dei torti subiti dai giudici. Ora la battaglia non finisce, la democrazia rappresentativa va difesa, non tanto da coloro che in modo trasparente propongono la democrazia diretta, ma dai furbi che attraverso una certa democrazia diretta puntano a garantire i loro privilegi e il loro potere.