Il 36,09% di coloro che ne avevano diritto non si sono recati alle urne. È il primo dato impressionante della tornata elettorale del 25 settembre. In aumento del 9,03% rispetto alle elezioni del 2018, a cui si dovranno aggiungere le schede bianche e nulle. Non è né retorica né cercare un “benaltrismo”: è una necessità della politica che quelle persone debbano essere recuperate alla vita democratica.
Facile fare la critica il giorno dopo, riesce a tutti, ma come stare zitti se il maggiore dei partiti della sinistra ha commesso una serie di errori tattici che l’hanno visto isolarsi e da solo scontrarsi contro il centro destra. Il famigerato “Rosatellum”, dal nome del capogruppo del PD alla Camera e relatore della legge elettorale Ettore Rosato, segretario del PD Matteo Renzi, non ammette molte scappatoie, o sei capace di creare delle alleanze elettorali, anche fra partiti diversi, oppure sei destinato alla sconfitta perché l 37% dei seggi è assegnato con il sistema maggioritario a turno unico è eletto il candidato più votato, secondo il sistema dell’uninominale secco (first past the post). La somma dei partiti di centro destra, compresa la lista di Paragone, raggiunge il 45,2%, Pd, M5S, Azione, + Europa e Verdi più sinistra prendono il 48,5% a cui se aggiungiamo i voti delle altre due liste di sinistra si raggiunge il 51%. La prima obiezione che viene spontanea è che non c’è alcuna congruenza programmatica fra i partiti dell’ipotetico centro sinistra. Vero, mi sembra però che anche il centro destra in quanto a incongruenze programmatiche non abbia scherzato. Bastava trovare un minimo comun denominatore (la difesa dell’attuale Costituzione, vista la denuncia del pericolo fascista alle porte poteva costituire un punto di partenza) e poi essere liberi sotto gli aspetti programmatici. A questa mancanza si è sommata una campagna elettorale tutta in difesa del governo Draghi e delle politiche comunitarie. Il massimo si è raggiunto quando durante un’intervista all’On. Letta gli è stato chiesto se il PD avesse vinto le elezioni lui sarebbe diventato Premier, la risposta è stata imbarazzata e sostanzialmente un no, tutti hanno capito che il posto era per qualcun altro. Lo schiacciamento sul Governo Draghi e sulla Comunità Europea è stato eccessivo e non ha permesso quel minimo di autonomia politica necessaria in una campagna elettorale. Quello che mi ha colpito è stato il comportamento rilassato avuto nei confronti dell’On. Meloni. Due esempi su tutti, l’On. Meloni, da Ministro del Governo Berlusconi e da Parlamentare ha approvato il famigerato MES, sempre la stessa Meloni da parlamentare ha approvato l’altrettanto famigerata “Legge Fornero”. Nessuno ha mai cercato di metterla seriamente in difficoltà su questi aspetti, perlomeno a far notare l’incongruenza del suo comportamento. Un’altra cosa che il PD ha accettato senza ribattere è quella di aver sempre governato senza mai aver vinto un’elezione. In una Repubblica parlamentare non sono sufficienti i voti popolari, bisogna raggiungere la maggioranza parlamentare. In queste elezioni la maggioranza del voto popolare è stata contraria al centro destra, ma appunto in una Repubblica parlamentare governa chi ha la maggioranza del Parlamento. Questi errori tattici si sono sommati ad alcuni errori strategici che stanno impiombando da anni la vita del PD. Da troppo tempo oramai ha abbandonato al proprio destino quella parte di società che soffre economicamente e che non crede più ad un miglioramento della sua vita. Il “core businnes” dei partiti della sinistra è quello di tutelare i più deboli e garantire i diritti civili. Se uno degli aspetti della diade viene meno tutto il castello non si tiene in piedi. Soprattutto però non è riuscito a dare una visione del futuro, sia pure partendo dalle difficoltà dell’oggi, “perché un volgo disperso repente si dest[i]”. La mancanza di ogni ideologia porta un partito a diventare un territorio di scontro fra bande che hanno un solo fine: occupare il potere.
Passare dalla dittatura del proletariato all’abbracciare il capitalismo più sfrenato è stato un errore culturale e politico senza precedenti. I gruppi dirigenti di provenienza comunista non hanno mai voluto fare i conti con i fantasmi del loro passato, mentre quelli di origine democristiana hanno individuato nell’occupazione del governo l’unico scopo della loro azione (per la verità gli ex comunisti, in nome della modernità, si sono beatamente adeguati).
In queste condizioni un partito non può svolgere alcuna azione nella società e creare quelle narrazioni, nell’antichità si chiamavano ideologie, che permettano di creare un rapporto solido che superi la mutevole congiuntura.
La situazione richiede interventi urgenti e razionali da attuare rapidamente. Fa sorridere l’idea che il PD celebrerà a marzo il suo congresso. Se non affronterà i nodi prima ricordati sarà un congresso inutile che servirà a riaprire la guerra per bande.
In questa situazione occorre che fra le forze di sinistra si materializzi un federatore capace di ricreare quel minimo comun denominatore che consenta di ripartire e di svolgere una profonda azione nel Paese e nel Parlamento. “Vaste programme” avrebbe detto il Generale De Gaulle, se non c’è questo scatto l’unica speranza (deleteria) sarà di sperare, da parte del PD, in una rottura di questa maggioranza e rientrare al Governo attraverso il gioco parlamentare.
Speriamo che questa idea sia solo un mio cattivo pensiero.