Milena era una ragazzina di sedici anni. Al mattino sua madre le aveva dato come compito quello di andare a prendere acqua alla sorgente con le secchie di rame. Quindici minuti di cammino su un sentiero quasi piano e quella mattina c'era il sole ed era una mattina davvero splendida. E poi il pensiero andava oltre, alla restante giornata, dove c'era il proposito di scendere a Ponterosso di Pietrasanta a prendere frutta insieme alla sorella Jole e una donna sfollata.
Ma nel frattempo c'era da andare a prendere l'acqua. E lungo strada Milena vide un gruppo compatto di tedeschi che si avvicinava, a salire da Monte Ornato verso l'Argentiera, in fila indiana, senza far rumore, con divise mimetiche, armati di mitragliatori, senza automezzi. Non avevano aria pacifica e quello era un periodo di forte preoccupazione. Le truppe tedesche sfollavano interi territori della Versilia per costruire roccaforti della Linea Gotica con l'organizzazione Todt. Gli scontri con i partigiani erano all'ordine del giorno sia sulla montagna sia nella piana: a Capriglia, un paese poco distante, qualche settimana prima c'era stato uno scontro importante ma i tedeschi erano stati magnanimi con le donne e non avevano fatto violenza. E gli alleati poi erano sempre più vicini.
Milena cambiò direzione di cammino per dare l'allarme. Occorreva avvertire i pochi uomini presenti in paese, quasi tutti anziani. Bastava farli scappare nei boschi vicini. Ma i tedeschi erano veloci e raggiunsero in un attimo le case dove si cercava di raccogliere il poco di necessità. E i tedeschi erano calmi. Ordinati. Erano tutti giovanissimi e biondi,
“e se non era per quei mitragliatori e nastri di proiettili a tracolla non avrebbero fatto paura” [1]. E quel giorno rastrellarono tutti comprese Jole e Milena.
"I tedeschi cominciano a parlare, ma noi non comprendiamo. Allora si muovono, ci invitano coi gesti ad uscire dalle case. (…) Ci prendono per le braccia e ci spingono. Mia sorella Jole cerca di avvertire mia madre che è a governare le bestie, ma un graduato tedesco la prende a schiaffi e la getta in terra. Le esce del sangue dalla bocca. Durante il tragitto, dieci minuti di cammino circa, la gente del mio gruppo, mezza intontita dal sonno o dalla paura, cerca di riprendersi, di capire. Qualcuno è mezzo vestito, qualcuno scalzo, i vecchi si lamentano, i bambini, separati dai genitori, piangono dallo spavento. Qualcuno chiede notizie di parenti, ma i tedeschi non ci consentono di comunicare neanche fra noi. Alcuni, i più anziani, non ce la fanno più.”E i tedeschi continuavano a raccogliere persone, per lo più donne e bambini, e li spingevano a camminare. E quando furono un po' più vicino al piccolo paese di Sant'Anna di Stazzema li fecero fermare.
“Su una foce vicino a noi c'era un posto che si vedeva bene: Monte Lieto. Hanno buttato un segnale rosso e noi ci siamo impressionati, perché ‘un si sapeva quello che poteva succedere. C'hanno rimesso in marcia. C'hanno caricato di munizioni (…) e c'hanno portato fino alla Vaccareccia.” [2] E qua ancora altri tedeschi
"che ci sospingono tutti in una buia stalla (…) Siamo fra le quaranta o cinquanta persone, ammassate in un caldo soffocante, senza aria e stanche. Altre persone sono costrette a uscire dalle case e anche queste, come noi, sono sospinte entro un altro fondo nella stalla accanto. Trascorre un'ora estenuante e le persone anziane si sentono mancare. I loro lamenti si aggiungono alle grida dei bambini. Ad un certo momento, i tedeschi decidono di farci uscire e ci costringono a entrare in un'altra stalla (…) Hanno cominciato a preparare la mitraglia, hanno aperto la porta, de fondi, e hanno cominciato a sparare. A tutto spiano. La gente, chi gridava, chi piangeva, chi si nascondeva. (…) Qualcuno non ancora colpito riesce a fuggire dal fondo e vedo fra questi mia sorella Jole, ma i tedeschi sono in agguato e gli sparano addosso, come al tiro al piccione.” E Jole venne uccisa.
Milena raccontò tutta la vita di quelle ore drammatiche con i corpi dei morti a fargli da scudo. Lei che si trovava a metà della stanza. E raccontò di come fu ferita.
“Una raffica m'investe, non so esattamente dove, ma sento correre sangue alle gambe, al fianco, alle braccia. È la fine. Intravvedo vicina la cara Soave; mi avvicino, l'abbraccio, e mi abbandono. Cado e sento altri colpi al ventre. Sento perdermi. Mi sento al di là.” E raccontò delle fiamme.
“Poi hanno buttato dentro delle fascine di legne e hanno dato fuoco. Ha incominciato a brucià la gente e la porta del fondo, dove eravamo noi, sicché noi ‘un si poteva più uscire. Un si poteva più perché c'era il fumo, la puzza, tutta la roba che poteva esiste'. Siamo stati diverse ore li. Non si poteva più resiste dal calore che c'era. C'era il soffitto, era tutto deformato. Ho preso un pezzo di tavola, l'ho appoggiata al muro, ho alzato su il pavimento della cucina che c'era al piano di sopra. C'erano du' altri ragazzi, tre ragazzi, più piccoli di me e l'ho aiutati a tirarsi su. Sono andata su, in questa cucina e poi ho tirato su questi ragazzi perché sennò soffocavino dal fumo e dal calore che c'era. Siamo stati un po' fuori. A un certo punto, ho cominciato a sentì una voce che ci chiamava, perché li buffava da tutte le parti il fuoco, il calore. Non si resisteva più.” E la voce era quella di un altro ragazzino, Ennio, fuggito quando avevano iniziato a mitragliare. Si era infilato sopra un forno dove i tedeschi avevano messo paglia e dato fuoco. Ma lui era rimasto anche quando il calore era divenuto insopportabile.
“Venite su, sopra questo forno, perché possono tornare questi tedeschi”. E Milena e i ragazzi salirono fin sulla cupola del forno. E rimasero là per ore. Finché non udirono altre voci.
“Passò una bimba. Ci disse che avevano bruciato tutti. Anche il mio babbo, la mamma. Disse: “Tutti!”, si chiamava Nara: era una bimba che era sortita da un forno di una stalla. Era andata a casa, andava a casa sua perché era tutta bruciata, era nuda senza nulla, tutta bruciata (…) E a un certo punto siamo scesi giù da questo forno, siamo andati fuori (…) Ma eravamo tutti sangue, tutti neri (…) Tutti bruciati dal fuoco, dal fumo. Poi, a un certo punto, è cominciata a arrivà della gente in aiuto. C'ha preso, c'ha portato via, c'ha portato a casa mia all'Argentiera, perché era l'unico posto che era rimasto. Non avevino bruciate né le case, né nulla. Siamo arrivati là e erano tutti disperati perché avevino portato via tutte le famiglie e nessuno aveva notizie su quello che poteva esse successo.”
Milena Bernabò era una delle tre giovani donne di Sant'Anna di Stazzema insignite di Medaglia d'oro al Valor Civile. La più piccola delle tre. Era il 12 ottobre 2004, sessanta anni da quel giorno, e questa fu la motivazione della consegna del riconoscimento.
“Sedicenne a seguito di un rastrellamento veniva condotta insieme ad altri compaesani in una stalla, riuscendo a sfuggire ai colpi di mitragliatrice sparati dai soldati tedeschi protetta dai corpi della sorella e di un'amica. Sebbene gravemente ferita, si apriva un varco attraverso il soffitto della stalla, data alle fiamme dalla furia nazifascista, e portava in salvo, con istintivo e generoso slancio, altri tre bambini destinati a morte sicura. Luminosa testimonianza di coraggio e di elevato spirito di abnegazione”.
Le altre due donne si chiamavano Cesira Pardini morta nel 2022 e Genny Bibolotti Marsili uccisa quel 12 agosto del 1944. Una strage che per troppo tempo non vide giustizia.
Milena è morta il 2 febbraio scorso a 96 anni ed ha sempre portato testimonianza di quello che visse quel 12 agosto 1944 a Sant'Anna di Stazzema. Perché lo si doveva a chi era stato strappata alla vita con tanta feroce violenza. Perché ciò che era accaduto a Sant'Anna di Stazzema non sarebbe dovuto più accadere.