L’EDUCAZIONE NEGLI USA (E IN OCCIDENTE) SECONDO HENRY A. GIROUX
di Luciana Bellatalla

24-02-2025 -

Prima di avvicinarci al saggio di cui intendo occuparmi, è bene presentare l’autore, intellettuale molto noto negli Stati Uniti, ma forse meno conosciuto da noi.

Henry Armand Giroux, nato nel 1943, fin dalla sua formazione ha privilegiato gli studi sociali, per poi approdare, già dai tardi anni Settanta del secolo scorso, al suo specifico interesse per l’educazione e per una teoria critica della cultura. Nella sua formazione e nel suo orientamento teorico-educativo, confluiscono suggestioni di autori disparati e di disparate prospettive politiche, benché tutti interessati alla libera crescita dei soggetti, ad uno stile di vita democratico e addirittura con simpatie evidenti per il radicalismo ed il socialismo: si va da Adorno a Dewey, da Foucault a Marx, da Freire a Marcuse.

Forse il maggiore esponente di quella che egli stesso definisce “Critical Pedagogy”, Giroux si è dedicato, nell’insegnamento accademico, in vari saggi e attraverso riviste esplicitamente intitolate all’educazione, a riflettere sui legami tra educazione e società, scuola e cultura, educazione e politica, opinione pubblica e vita civile.

Il libro che voglio suggerire ai nostri lettori in questa breve recensione è uscito lo scorso anno presso la Casa Editrice Anicia di Roma per la traduzione di Teresa Savoia e con prefazioni e postfazione di studiosi italiani ed americani, quali Elena Madrussan (dell’Università di Torino), Cristiano Casalini (docente al Boston College) e Brad Evans, collega ed amico dello stesso Giroux.

Il titolo è programmatico: Pedagogia della resistenza. Contro la fabbrica dell’ignoranza. E così formulato basta da solo a qualificare il lavoro come una sorta di manifesto contro il trumpismo e contro quelle deviazioni culturali e politiche ad un tempo, che, per un verso, hanno costituito un terreno fertile per la nascita dei nuovi fascismi e, per un altro, ora che le ideologie autoritarie ed estremistiche si sono affermate in maniera decisa (e preoccupante) ne vengono alimentate.

Se dovessi esercitare qui il mio mestiere di storica dell’educazione avrei molto da ridire sulle definizioni citate di Pedagogia critica e perfino di Pedagogia della resistenza.

Non argomento, ché questa non è la sede adatta, e mi limito a notare, anche per rendere il discorso di Giroux più chiaro, che più corretto sarebbe parlare educazione critica (o alla critica) e, quindi, di educazione alla resistenza.

A che cosa si debba resistere per Giroux è chiaro: Trump e quanto egli significa, implica e porta avanti sono il suo obiettivo polemico. E, si badi, poiché il saggio è stato pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 2022, quando la pandemia ha acuito i mali già presenti ed esacerbato sempre di più opinioni e convincimenti, al centro del discorso di Giroux non è il Trump apertamente fascista di questi giorni, ma il Trump del primo mandato.

Ma già in quel primo mandato Giroux ha letto, con intelligenza ed evidenza, tutte le generazioni e i disastri che l’America avrebbe subito. L’America, ma possiamo ben aggiungere, tutto l’occidente, che per decenni ha gravitato nell’orbita dell’America, in quanto, si diceva, portatrice di messaggi e comportamenti democratici.

Giroux tratta il suo tema in maniera appassionata, talora anche cedendo a qualche tratto retorico ed a qualche eccesso verbale, che rendo conto della volontà psicagogica dell’Autore: egli infatti intende persuadere il lettore che siamo dinanzi ad una deriva culturale, educativa, politica e, in fin dei conti, umana. Ad aver perso la partita è l’umanità, visto che gli individui sono diventati oggetto di stigma, persecuzione, esclusione e rifiuto.

La perdita della centralità dell’umano è, in fondo, il vero scacco all’educazione ed è stata perseguita ed attuata in maniera sempre più ampia, ormai da decenni finché la coscienza collettiva si è anestetizzata e, quindi, convinta di vivere in un mondo senza alternative. Non a caso tra gli esergo che Giroux pone all’inizio dei suoi vari capitoli, ce n’è uno, da Ernst Bloch, che meglio degli altri mi pare rispecchi l’animus dell’Autore: “La perdita più tragica non è la perdita della sicurezza; è la perdita della capacità di immaginare che le cose possano diverse”.

Il lavoro procede con tre parti distinte, ma tra loro collegate perché analizzano – dopo un’introduzione che fa da cornice all’intero discorso – le deviazioni e le degenerazioni in cui l’America sta vivendo, complice un’organizzazione economica, che Giroux definisce “capitalismo da gangster”, e la prospettiva ideologica che la interpreta e la incarna in Donald Trump.

Le pagine di Giroux si soffermano, richiamando accadimenti degli anni recenti, sulle crescenti violenze, il suprematismo bianco, la demonizzazione dei diversi, la manipolazione dell’informazione con la diffusione di notizie false, la misoginia sempre più diffusa, con l’aperto attacco ai diritti civili ed umani, la crisi delle istituzioni liberali e della democrazia, ormai apertamente in declino. Ma soprattutto il suo interesse va alla crisi dell’educazione accompagnata dal trionfo di un’ignoranza utile ai nuovi fascisti.

È evidente che, sebbene parli degli Usa e si serva di esempi e di eventi del suo mondo, il discorso si adatta in maniera netta anche alla situazione della vecchia Europa e della nostra piccola Italia. Ed anche a quanto ci aspetta ed a breve, viste le prime mosse di Trump e dei suoi consiglieri a pochi giorni soltanto dal suo secondo insediamento.

Neoliberismo e capitalismo sfrenato non vogliono individui capaci di esercitare il pensiero critico e, per questo, hanno asservito tutte le agenzie formative – dalla scuola all’extra-scuola – al mantra dell’economia, sottraendo la sfida educativa al dominio del bene pubblico. L’esito disastroso, in queste condizioni, era inevitabile fino a generare quella che Giroux definisce come “pedagogia dell’apartheid”, intrisa di spirito censorio e ispirata ai princìpi della pulizia razziale.

Che cosa opporre a questa apocalisse in atto? Le proposte si possono ricondurre a quattro fondamentali, ossia

1. risvegliare l’immaginazione per sviluppare progetti che lavorino in vista di democrazia e socialismo;

2. accettare – soprattutto da parte degli insegnanti – una teoria critica dell’educazione, che li metta in grado, ad un tempo, di analizzare e comprendere i contesti, di affinare il linguaggio e di sviluppare negli alunni capacità interpretative e volontà di trasformazione dell’esistente;

3. recupero di quello spirito utopico, che Giroux vede ben esemplificato nel principio speranza di Ernst Bloch;

4. rivolgersi al modello teorico e pratico di Paulo Freire, facendo della crisi una sorta di grimaldello per la trasformazione e per il futuro.

In estrema sintesi, il messaggio di Giroux da manifesto contro il nuovo fascismo, nella parte conclusiva del saggio, diventa un manifesto in difesa dell’educazione, cui l’Autore affida compiti culturali e politici: non basta dare agli individui strumenti di conoscenza, bisogna anche guidarli verso un’etica dell’equità e della giustizia, del rispetto e della solidarietà, sollecitarli a pensare il mondo in maniera non ripetitiva, confidando nell’intelligenza e dell’immaginazione. E per riuscire a realizzare questa mission dell’educazione, bisogna prima di tutto essere forti e resistere chi questa mission vuole cancellare o neutralizzare.

E ciò sia per i singoli individui sia per la società intera: “Ripensare il futuro significa rendere l’educazione critica centrale per la politica, agendo come una forza trasformatrice che consente alle persone di affrontare importanti problemi sociali e i modelli di resistenza necessari a sconfiggerli. Un simile futuro è impossibile senza un impegno politico che comprenda che una democrazia sostanziale non può esistere senza una società informata e attiva” (p. 219).





Fonte: di Luciana Bellatalla