Molte persone in piazza per protestare contro le condizioni disumane in cui si trovano i lavoratori agricoli immigrati. Salari iniqui, 14 ore continue di lavoro, senza acqua e poco cibo, vivono accampati in condizioni di fortuna privi di diritti e protezione sociale.
Il 27 febbraio scorso, all'indomani della celebrazione della Giornata mondiale del lavoro dignitoso (7 ottobre di ciascun anno), ricorrenza introdotta nel 2008 dall'International Labour Organization – ILO –, ossia l'agenzia delle Nazioni Unite specializzata in giustizia sociale e diritti umani, al fine di sensibilizzare sui diritti fondamentali e sull'occupazione sostenibile per garantire che tutti gli uomini e le donne abbiano accesso al lavoro produttivo, in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana, migliaia di persone in varie città italiane sono scese in piazza per chiedere un “lavoro dignitoso” per i lavoratori agricoli immigrati, in altre parole per reclamare la loro regolarizzazione e per denunciare le viola zioni dei diritti che queste persone subiscono quotidianamente. Infatti, solo un lavoro dignitoso può dare un volto umano all'occupazione e fornire stabilità all'individuo e alla sua rete sociale. La mancanza di una vita dignitosa mina le fondamenta della democrazia, spingendo verso quella regressione delle libertà che vediamo agire in tanti Paesi, anche non lontano dai nostri occhi.
In precedenza, nel corso delle cerimonie per la ricorrenza internazionale, si è ricordato l'ultimo rapporto annuale dell'Oxfam (ovvero Oxford Committee for Famine Relief, confederazione di organizzazioni non profit che lavora per aiutare le persone a migliorare le loro condizioni di vita, fornendo loro sostegno e risorse adeguate, favorendo processi di sviluppo sostenibili nel lungo periodo) “Disuguaglianza: il potere al servizio di pochi”, nel quale si evidenzia che ci vorranno oltre due secoli (230 anni) per porre fine alla povertà e su 1.600 tra le più grandi aziende del mondo solo lo 0,4% di esse si è pubblicamente impegna to a corrispondere ai propri lavoratori e alle proprie lavoratrici un salario dignitoso e a supportarne l'introduzione lungo le proprie catene di valore. Si è inoltre rilevato che il 29,3% delle giornate lavorate in agricoltura in Italia sono ascrivibili a stranieri e il tasso di irregolarità tra i dipendenti del settore agricolo è uguale al 34,2% (il rapporto 2020 dell'Inl, Ispettorato nazionale del lavoro, fa conoscere che il 18,6% degli oltre un milione di lavora tori nel settore agricolo è vittima di sfruttamento). Un bacino d'impiego informale dove i caporali possono agire quasi indisturbati [F. Carchedi, 2022]: nel 2021 si stima che circa 234mila occupati nelle attività di coltivazione erano irregolari, più di un quarto del totale degli addetti impegnati nel comparto primario; se il lavoro “nero o grigio” risultava particolarmente concentrato in alcune regioni meridionali quali Puglia, Sicilia, Campania, a cui si affiancava il Lazio, con un'incidenza superiore al 40%, vi erano sacche consistenti di attività lavorative irregolari nelle grandi regioni produttive del Nord e del Centro, con tassi oscillanti tra il 20% e il 30% (Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana). Il problema non si concentra quindi solo nel Mezzogiorno, ma riguarda in misura considerevole anche il Settentrione, in aree solitamente considerate più avanzate, sia per le tecniche di coltura, sia per le performance fatte registrare sui mercati.
Una giornata di mobilitazione nazionale quella del 27 febbraio, con presidi, per un lavoro dignitoso, in diverse città d'Italia, fra queste: Roma, Napoli, Palermo, Milano, Torino, No vara, Livorno, Perugia, Teramo, Reggio Calabria, Catania, Ragusa e Foggia. A fianco dei manifestanti alcune sigle sindacali e molte associazioni tra cui: Arci Roma, Movimento per il Diritto all'Abitare, Mani Rosse Antirazziste, Associazione Attiva Diritti, Perugia Solidale, SOS Rosarno e Sportello Migranti 49.
Il lavoro dignitoso, afferma l'ILO, «è una fonte di dignità e la base per la pace, la giusti zia sociale e una maggiore uguaglianza». La protesta dei lavoratori migranti è quindi legittima dal momento in cui un numero sempre maggiore di questi giornalieri di campagna è in condizione di sfruttamento approfittando del loro stato di bisogno. Nessun orario di lavoro, si inizia all'alba e si finisce al tramonto (circa 15 ore al giorno) a 5 euro all'ora, retribuzione difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali, bevendo acqua dei fossi perché molto spesso nessuno di loro neanche una bottiglietta d'acqua, poco cibo e alloggio, senza servizi essenziali, in baracche, casolari abbandonati, tende e malmesse roulotte.
Il contesto attuale mostra un quadro complesso nel quale i diritti di molti non sono tute lati come dovrebbero, rendendo la situazione sempre più critica. Ogni giorno, i lavoratori e le lavoratrici migranti si trovano a dover affrontare ostacoli significativi, che vanno dalla registrazione presso le questure ad altri aspetti pratici della vita quotidiana. Molti rimangono in fila per giorni e notti, solo per fissare un appuntamento necessario per il permesso di soggiorno. Tra le difficoltà più rilevanti ci sono la mancanza di accesso ai servizi sanitari, il blasone dell'affitto di una casa e le complicazioni nell'aprire un conto corrente.
Una sigla sindacale, tramite il proprio responsabile lavoro migranti, ha fatto conoscere che «queste persone non godono degli stessi diritti quando si rivolgono alle istituzioni, ad esempio per ottenere la residenza o la tessera sanitaria.» Il problema dell'accesso all'IBAN (International Bank Account Number, serve a effettuare pagamenti rapidi e sicuri in Italia e all'estero) è emerso come uno dei punti più critici, special mente per i richiedenti asilo, che si trovano a dover affrontare un sistema burocratico complesso.
Un ulteriore aspetto complesso è rappresentato dalla situazione dei richiedenti asilo. Quando presentano la loro richiesta alla Questura, ricevono un attestato nominativo che funge da sostituto del permesso di soggiorno, valido in attesa della valutazione da parte della Commissione. Il paradosso che ne deriva, hanno evidenziato i sindacati, è che: «spesso, quando questi individui cercano di aprire un conto in banca o in posta, l'attestato vie ne rifiutato.»
Federica Remiddi, avvocatessa di Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, persona giuridica, senza scopo di lucro che persegue finalità civiche, solidaristi che e di utilità sociale), ha aggiunto che in molte questure, inclusa quella di Roma, il rilascio di tale documento non prevede una scadenza. Gli uffici postali, al contrario, esigono che ci sia una validità limitata per procedere ad aprire un conto. Tali discrepanze tra le normative degli uffici pubblici e le pratiche adottate dalle banche e dalle poste creano complicazioni notevoli per chi cerca di integrarsi e di accedere ai servizi essenziali.
Il FattoQuotidiano.it ha condotto un'inchiesta, visitando vari uffici postali della capitale e riscontrando concretamente le difficoltà che i richiedenti asilo affrontano. Quando Poste Italiane S.p.A. è stata contattata per fornire chiarimenti sulla questione, ha confermato che un richiedente asilo deve presentare documentazione specifica, tra cui il codice fiscale e la ricevuta della richiesta di protezione internazionale, ancora in corso di validità. Nel corso del 2024, Asgi ha ricevuto circa 50 segnalazioni riguardo a problemi nell'apri re conti bancari. La risposta dell'associazione è stata intraprendere azioni legali contro le prassi considerate discriminatorie. Sono state avviate circa dieci cause e i risultati, in gran parte, sono stati favorevoli, con il tribunale civile di Roma che ha ordinato l'apertura dei conti anche con la ricevuta provvisoria.
L'assenza di un IBAN per i lavoratori migranti si traduce in difficoltà ancora più gravi, come la perdita di opportunità di lavoro regolare. Senza la possibilità di essere contrattualizzati, molti si ritrovano costretti a lavorare in “nero”, con tutte le conseguenze negative che questo comporta. Infatti, l'impossibilità di ricevere stipendi in modo legittimo stia con tribuendo a un sistema di sfruttamento, aumentando il rischio di caporalato.
L'attività di mobilitazione del sindacato e delle associazioni coinvolte si propone di porre rimedio a queste ingiustizie, affinché i diritti dei lavoratori stranieri siano finalmente rispettati e riconosciuti in ogni ambito della società. La mobilitazione rappresenta non solo una lotta per la regolarizzazione, ma anche un appello alla solidarietà e all'inclusione socia le in un periodo di crescente disuguaglianza.
Prima di concludere è opportuno rimarcare l'importanza dei lavoratori stranieri e migranti nel settore agricolo. Ciononostante, si osserva una scarsa inclinazione da parte dei datori di lavoro a investire nella formazione professionale dei propri dipendenti. In questo contesto, sarebbe opportuno un intervento pubblico volto a garantire sia la sostenibilità sociale che la competitività dell'agricoltura italiana, la quale rischia di essere compromessa dalla crescente mancanza di capitale umano qualificato nel settore.
Simultaneamente, e in qualche modo legato a quanto appena esposto, è fondamentale rendere più efficienti le procedure di reclutamento per contrastare il lavoro “sommerso”, una questione che amplifica la vulnerabilità dei lavoratori.